09/10/20

"Cadono sempre in piedi": 5° pillola di storia

Questo è il settimo articolo della serie "Il fantastico mondo del gatto"

 

Da sempre l'umanità è ossessionata dalla costruzione di automi: macchine che si muovono e si comportanto come essere viventi, precursori dei robot moderni.

Celebre il leone meccanico progettato da Leonardo da Vinci, su commissione di papa Leone X, che, al cospetto del Re di Francia, attraversò la sala e concluse la passeggiata facendo fuoriuscire dal petto una cascata di gigli. Eravamo all'inizio del '500 e potete immaginarvi la meraviglia (e, perché no?, forse anche un po' la paura) di chi assistette a quello storico spettacolo. Per quanto ne sappiamo, si tratta dell'unico progetto di automa certamente realizzato da Leonardo, mentre non vi è alcuna prova che l'automa cavaliere, un umanoide meccanico destinato probabilmente ad allietare qualche festa della corte sforzesca a Milano, i cui disegni compaiono nel Codice Atlantico, abbia mai preso "vita".

Ma Leonardo, si sa, era sempre più di un passo avanti rispetto ai suoi tempi e nessuno raccolse il suo testimone nel percorso verso la robotica. Dobbiamo, infatti, aspettare ben quattro secoli prima che un altro umanoide si decida a calpestare il suolo terrestre: siamo nel 1893 e stiamo parlando dello Steam Man di George Moore, un automa di forma umana che, alimentato da una caldaia a vapore inserita nel torace, riusciva a camminare alla velocità di sette-otto km/h, sbuffando vapore dal naso. Contrariamente al cavaliere di Leonardo, l'uomo a vapore non sarebbe servito a dare spettacolo, bensì a trainare carri, ponendosi, così, come alternativa tecnologica ai cavalli che, è risaputo, hanno il brutto vizio di voler mangiare, dormire ed essere accuditi (oltre ad avere un caratterino piuttosto permaloso).

Tutto a posto, quindi? Non proprio... almeno stando a quanto racconta un articolo del Washington standard nel 1901. Vale la pena riportarlo pari pari:

"Hercules, l'uomo di ferro, è un uomo meccanico a vapore in grado di camminare [...] E' alto due metri e quaranta e, quando si accende al suo interno il fuoco alimentato dal petrolio, che genera vapore, cammina spingendo una specie di carretto con le ruote di ferro. Sfoggia un cappello a tesa stretta e un ghigno diabolico; dalle narici soffia il vapore di scarico. Una sera tardi alcuni campeggiatori del parco [dove era in esposizione, ndr] accesero il fuoco di Hercules quando tutto era chiuso e il proprietario dell'automa era andato via [...] Hercules si mise a girare nel parco. Per un po' fu meglio del mostro di Frankestein. Nessuno sapeva come fermarlo [...] Si dovette svegliare chi dormiva sul suo cammino perché si scansasse, dato che era impossibile controllare i movimenti dell'uomo a vapore [...] Terrorizzò il parco per un'ora, ma ebbe un incidente al bancone del bar. Ci arrivò spedito come se volesse ordinare qualcosa, vi sbattè contro e lo rovesciò. Hercules cadde insieme al bancone e atterrò di testa dall'altra parte. Rimase lì ribaltato, scalciando coi piedi in aria fino a quando non calò la pressione del vapore"

Non sappiamo dove finisca la realtà dell'accaduto e dove inizi la fantasia del giornalista, ma una cosa la sappiamo: la vicenda di Hercules è emblematica del problema che ha afflitto (e, nonostante gli enormi progressi tecnologici, tuttora affligge) le macchine autonome, ovvero l'incapacità di adattarsi agli ostacoli imprevisti del mondo reale.

Non migliore sorte di Hercules toccò, infatti, un secolo dopo, a Dante II, supertecnologico robot autonomo a otto zampe, inviato a raccogliere campioni di gas tossici e a mappare la topografia del cratere di un vulcano attivo in Alaska. I campioni furono raccolti e il cratere fu mappato, ma... se non fosse stato per l'opera di salvataggio compiuta personalmente dai geologi a seguito di un incidente occorso al robot sulla via del ritorno, i preziosi dati raccolti da Dante II sarebbero rimasti lì... a fare compagnia ad un robot del peso di una tonnellata, ribaltatosi per colpa di un dispettoso pendio inclinato di circa 30°.

Ma non dovevamo parlare di gatti? Ah già... non indugiamo oltre, quindi, e vediamo cosa c'entrano i gatti con questi robot imbranati!

I problemi di Dante II, in realtà, non erano frutto di errori di progettazione, ma rischi temuti e già messi in conto, a fronte dell'incapacità dei robot di adattarsi alla complessità di un ambiente reale. E, visto che l'evoluzione darwiniana questi "errori di progettazione" li aveva già brillantemente risolti, perché non cercare di emulare le abilità degli organismi biologici?

Ecco che nasce la Biorototica ("area scientifico-tecnologica che fonde robotica e bioingegneria, in particolare, è la scienza e tecnologia della progettazione e della realizzazione di sistemi robotici di ispirazione biologica e di applicazione biomedica" fonte Treccani) ed ecco che i nostri amici gatti ci entrano a zampa tesa (e in caduta libera)!

Infatti, tra i tanti problemi di stabilità che un robot deve affrontare quando si avventura nel mondo reale, uno dei più ricorrenti è la presenza di dislivelli più grandi dei robot stessi (si pensi, per esempio, al caso limite di un robot che deve arrampicarsi lungo una parete verticale)... è facile intuire come un robot che sappia replicare il riflesso di raddrizzamento aereo felino, abbia buone probabilità di "sopravvivere" ad una caduta e continuare il lavoro per il quale è stato progettato e sul quale, spesso, sono state investite molte risorse sia umane che finanziarie.

Però, come abbiamo visto nelle precedenti puntate, come non esiste una serie di movimenti precisa che il gatto adotta per raddrizzarsi in aria in ogni circostanza, allo stesso modo non può esistere una semplice serie di regole da fare applicare al robot per ottenere lo stesso risultato.

Come progettare, allora, un robot che, in una frazione di secondo: "capisca" che sta cadendo, "valuti" la situazione e "scelga" la strategia migliore per limitare i danni della caduta?

Prototipo di micio-robot che attende, impaziente e perplesso, la soluzione ai tre problemi, prima di avventurarsi tra le insidie del mondo reale...

Il problema più difficile da risolvere è la SCELTA della strategia migliore. Infatti, se in sede di progetto non si dà una definizione univoca di "strategia migliore", il robot in caduta non sarà in grado di decidere tra due metodi che appaiano "ugualmente migliori" (e farà la fine dell'asino di Buridano, che morì di fame perché non era in grado di decidere a quale delle due equidistanti mangiatoie avvicinarsi!).

Per questo motivo gli ingegneri si sono rassegnati a chiedere aiuto ai matematici per la ricerca di quelle regole matematiche che possano approssimare nel miglior modo possibile quello che non esitiamo più a definire un vero e proprio PROCESSO DECISIONALE prodotto dall'evoluzione (altro che riflesso condizionato!).

Nonostante l'alacre lavoro di matematici e ingegneri, reso ancora più difficoltoso dalla nota incompatibilità tra matematici e ingegneri (1), ad oggi sono stati realizzati soltanto prototipi che vanno nella giusta direzione, ma l'obiettivo finale appare ancora lontano.

Una sola cosa è certa... "se in un lontano futuro vedrete un robot terrificante che vi balza addosso dall'alto, potrete dare la colpa al gatto" (2)

 

Gatti 1 - Robot 0      palla al centro...

 

(1) Un fisico un ingegnere ed un matematico stanno viaggiando nella campagna scozzese quando vedono una pecora nera. Il fisico esclama: "Però... non sapevo che le pecore scozzesi fossero nere!". L'ingegnere precisa: "In realtà possiamo dire solo che alcune pecore scozzesi sono nere!". E il matematico: "Tutto ciò che sappiamo è che in Scozia esiste almeno una pecora con uno dei due lati nero!"

(2) "Purr-plexed? Cats teach a robot how to land on its feet"- Wagstaff, 2016

 

 

Tutti gli articoli della serie "Il fantastico mondo del gatto" li trovate QUI

La fonte delle informazioni su cui si basano le nostre pillole di storia è il libro "Perché i gatti cadono sempre in piedi e altri misteri della Fisica" di Gregory G. Gbur, professore di Fisica alla University of North Carolina e grande amante dei gatti.

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