10/01/14

Scienza come spettacolo? si può anche accettare, ma con attenzione. *

Negli Stati Uniti, l’appuntamento con il meeting biennale dell’Associazione Astronomica Americana è un’occasione che non si può perdere. Tutti gli Istituti fanno a gara per arrivare a quella data con qualche presentazione che faccia “notizia”. Mettersi in particolare luce davanti a un foltissimo pubblico di professionisti e giornalisti vuol dire acquistare prestigio, ma anche possibilità di ottenere qualche fondo in più. Niente di male, ovviamente, anche perché è una vetrina importantissima per i più giovani che hanno l’occasione di rompere il ghiaccio di fronte ai professionisti più celebri ed esperti.

Vi è proprio una specie di regola “geometrica” automatica: le prime file (la prima soprattutto) sono occupate dai “mostri” sacri e poi, via via, si va verso i più inesperti. E’ una regola, però, non basata sull’importanza (in America Professori e studenti hanno rapporti ben più aperti e amichevoli che da noi), ma sul fatto che chi non ha alcun timore di fare domande durante le discussioni che seguono ogni presentazione verbale sono proprio i più esperti. La loro posizione avanzata dona una maggiore facilità nel rivolgersi alla platea generale. E’ una specie di lenta avanzata dalle file più arretrate fino alla prima. Come dicevo, non è vincolata da gerarchie professionali, ma dalla crescita dell’autostima che porta lentamente fino alla prima fila, quando si accetta di essere un punto di riferimento sia per fare le domande sia per fronteggiare le risposte e le critiche dei colleghi “scientificamente” importanti.  Un  sistema meritocratico basato sulla propria coscienza e conoscenza che normalmente rispecchia molto bene la capacità e l’esperienza acquisite. Quando ti sedevi vicino a Shoemaker, a Whipple, a Sagan, a Kresak, a Chapman, a Harris, a Kozai, ecc. non voleva  solo dire che eri diventato "importante", ma che avevi raggiunto la maturità per fronteggiare qualsiasi discussione.

Non pensate però che quelli in prima fila si scatenino contro i giovani che si presentano un po’ impauriti e alla loro prima esperienza. No, quando ci si accorge di una certa difficoltà e di paura si preferisce non fare domande dirette, ma di farle, nel caso, privatamente. Questo è un altro sistema per valutare la posizione scientifica raggiunta. Se dopo la presentazione, le domande fioccano a grappoli, vuol dire che si è stati accettati tra coloro che non hanno timore di rispondere, ossia che hanno ormai una base solida e che non hanno scuse nell’essere “strizzati”. Chi viene lasciato in pace, sa che deve ancora conquistarsi i gradi sul campo.

Ogni due anni (una volta era annuale) si ha, quindi,  una chiara visione dei veri valori in campo e non del potere politico o finanziario. In queste cose gli USA sono veramente all’avanguardia.

Tenere una comunicazione è già di per sé un gioco di prestigio, dato che (almeno ai miei tempi) si hanno a disposizione 5 minuti per presentazione e discussione (3 + 2) o , solo in certi casi, 5 + 2. Il tempo a disposizione è scandito da una sveglia rumorosissima che non si può coprire con le parole. Condensare una ricerca in 3 o 5 minuti non è facile, dato che si deve far capire l’importanza, l’accuratezza e lo sviluppo futuro. Anche in questi casi, i vecchi “marpioni” sono avvantaggiati, ma i giovani non hanno normalmente molta paura a provare dato che, prima o poi, da lì devono passare per ottenere una giusta visibilità.

Oltretutto, la maggior parte delle comunicazioni viene spostata tra i “poster”, ossia in una sala dove su decine e decine di pannelli sono inserite le ricerche eseguite con le relative figure. Sicuramente, un metodo più rilassato per presentare il proprio lavoro, ma giudicato, normalmente, di serie B, ossia ritenuto dal Consiglio Scientifico di importanza meno generale delle presentazioni dirette.

Ovviamente, ci sono, a volte, scelte non condivisibili e prese di posizioni non strettamente basate su motivazioni scientifiche (nessuno è perfetto). Più importante è però il saper vendere la propria merce.

E’ una preparazione a volte lunga e complessa quella che porta a dire tanto in pochi minuti e a sollevare l’interesse. Ossia, fare uno “scoop” scientifico, anche magari con una notizia non proprio esaltante. Succede, così che certe comunicazioni sembrino veramente innovative, ma che poi, riflettendo attentamente sui dati reali, ci si accorge che è basata su qualcosa di molto aleatorio e poco approfondito. Insomma, tutto il mondo è paese.

C’è da dire, però, che la Scienza (vera) può anche permettersi queste vetrine di tipo mediatico, dato che poi ogni singolo lavoro deve essere scritto dettagliatamente, con tutti i dati osservativi e/o teorici, e valutato da almeno un paio di scienziati “giudici” (i referee), prima di essere pubblicato su una vera rivista scientifica di livello internazionale. Molti scoop che sembravano cambiare il mondo si ridimensionano facilmente. I casi di questo tipo non sono moltissimi, ma gli spettatori di prima fila spesso se ne accorgono subito e riescono a mettere “grosse” pulci nelle orecchie delle file posteriori. Ma sì, una specie di teatro della Scienza, dove però non c’è mai vera frode o inganno. Solo qualche forzatura eccessiva destinata comunque a spegnersi nel giro di pochi mesi.

Ad esempio, il lavoro sull’asteroide doppio presentato dai collaboratori di Lorenzo non corre questi rischi. Esso non presenta astrusi modelli che cerchino di rendere il caso unico, ma si basa su dati osservativi sicuri, su confronti e discussioni, su ripetute conferme osservative. Lo “scoop” deriva veramente da ciò che si è presentato e non da “come” si è presentato. Invece, a volte, capita che un dato osservativo molto dubbio e aleatorio sia la base di partenza per costruirci attorno un castello di carte, destinato in breve a essere smontato. Ma, intanto, ha concesso qualche minuto di gloria e di attenzione.

Essendo stato molti anni in “prima fila”, riesco ormai a riconoscere quando l’“abstarct” di una presentazione appartiene probabilmente alla seconda categoria. Ne approfitto per mostrarvi un caso che ho letto proprio ieri e che ha tutte le caratteristiche dell’esagerazione mediatica. Poi magari mi sbaglierò, dato che ormai la prima fila è un ricordo di tanti anni fa (direi otto…).

Il lavoro a cui mi riferisco parla di stelle a ipervelocità, tali da avere tutte le caratteristiche per essere astri in fuga dalla nostra galassia. Non è più una novità, ovviamente. Tuttavia, nei casi già scoperti e confermati, si sapeva che le stelle provenivano dalle vicinanze del buco nero centrale e per loro si è anche definito un processo dinamico più che sostenibile (utilizzato, nel suo piccolo, anche per la cattura di Tritone, ricordate?): un sistema doppio si avvicina troppo al “mostro” centrale e il legane gravitazionale viene spezzato. Una stella viene catturata dal buco nero e l’altra (sempre per le solite ragioni di conservazione di momenti) viene catapultata verso l’esterno a velocità enorme.

Il caso, presentato dai ricercatori dell’Università Vanderbilt, va, però, oltre. Le stelle fuggitive sono una ventina e non sono giganti blu appena formatesi nei pressi del centro, ma stelle di tipo solare ben lontane dalla “fionda” gravitazionale. I ricercatori pensano di aver trovato una nuova categoria di fuggitive e auspicano (ma non ipotizzano ancora) un nuovo metodo di lancio nello spazio. Penso (ma è una mia illazione dovuta solo a tanti anni di esperienza) che al congresso si siano mostrati decisi, sicuri, attori di uno scoop vero e proprio.

Vedo però che il lavoro è stato già mandato a una rivista prestigiosa come Astrophysical Journal e lì le cose si smorzano di molto. Gli autori presentano i dati come tutti da verificare, mettendo in luce uno degli aspetti più importanti: come si sono misurate le velocità? E qui casca l’asino… Le posizioni delle stelle hanno un certo loro errore intrinseco che diventa insostenibile se l’intervallo di tempo, relativo alle misure effettuate, è troppo corto. Si possono ottenere velocità con errori mostruosi. E’ come dire che per due punti passa una e una sola retta. Sì, teoricamente è vero, ma provate a prendere due punti vicinissimi tra loro che abbiano un errore abbastanza grande. Trovereste che all’interno degli errori la retta potrebbe essere inclinata di quanto volete e la distanza tra i punti troppo incerta per ottenere una velocità attendibile. Ci vorrebbe un  terzo punto, molto distante nel tempo, per dare valore al risultato. In questo caso anche un errore piuttosto grande nella posizione della stella avrebbe un impatto decisamente minore sul calcolo della velocità finale.

stelle fuggitive
Visione frontale e di taglio della Via Lattea, in cui sono state tracciate le presunte traiettorie di quattro stelle a ipervelocità. La velocità ipotizzata è dell’ordine di un milione e mezzo di chilometri all’ora, sufficiente per la loro fuga dalla galassia. Fonte: Julie Turner, Vanderbilt University.

Gli autori dicono che per qualche stella gli errori sembrano sufficientemente piccoli, ma offrono, in ogni caso, solo un’ipotesi tutta da verificare, ben lontana dalla sicurezza mostrata, probabilmente, nel congresso. Non ci vorrà molto a verificare questa scoperta che potrebbe essere piuttosto importante, se vera. La missione Gaia osserverà un miliardo di stelle per solo due o tre anni, ma con una precisione tale che anche per un intervallo di tempo così piccolo la velocità assumerà valori estremamente attendibili. Attendiamo e vedremo se Gaia confermerà queste strane fuggitive.

Ovviamente, ho preso un esempio qualsiasi. Non ce l’ho minimamente con i simpatici ricercatori di Venderbilt. Hanno fatto il loro dovere e magari hanno pienamente ragione. Mi sono servito di loro e della loro “dubbia” scoperta solo per alzare il sipario su una delle rappresentazioni scientifiche più importanti negli USA, con i suoi (tanti) pregi e i suoi (pochi) difetti. Comunque, chi parla al congresso ha tutto il diritto di sentirsi contento del proprio lavoro.

Tanto di cappello, quindi, nuovamente, al lavoro svolto da Lorenzo Franco (scusate se mi ripeto, ma lo merita proprio), aspettando le prossime osservazioni per capire la geometria e la fisica di quel piccolo doppio pezzo di roccia, tanto importante per affrontare problemi di meccanica celeste sempre nuovi e stimolanti. Magari, la prossima volta, sarà proprio lui ad andare al Congresso per la presentazione e noi saremo tutti con lui (almeno moralmente!).

Lavoro originario QUI

9 commenti

  1. beppe

    Purtroppo il mondo è fatto così, credo lo sia sempre stato. L'importante non è quello che puoi divulgare, far conoscere, ma quello di farsi conoscere, basta pensare alla scoperta di Nettuno.
    In ogni campo l'importante è che si parli di te (possibilmente bene) indipendentemente da ciò che hai da dire.
    Così nasce l'importanza di pubblicare per chi si occupa di scienza e di apparire in televisione o sui giornali per chi si occupa di politica...

  2. davide1334

    bell'articolo enzo ,anche per il fatto che ci sveli un pò di  "dietro le quinte" sulle attuali conoscenze e su come venga affrontato il work in progress a livello diciamo "istituzionale" degli addetti ai lavori....colgo l'occasione per fare anch'io i complimenti al lavoro di lorenzo franco(ho sbirciato l'articolo proprio ora)
    una domanda,sull'esempio citato sulle stelle iperveloci: mi sembra di aver capito che,se fondamentalmente rimane un un mistero il fatto che le galassie riescano a stare "unite" con le velocità discordanti tra le stelle  delle zone  centrali e quelle delle zone periferiche,come possiamo stabilirne una precisa velocità di fuga dalla galassia stessa?

  3. caro davide,
    la faccenda è molto diversa... le stelle periferiche hanno velocità solo lievemente discordanti con la massa supposta della galassia  in generale, mentre le stelle iperveloci hanno modulo nettamente superiore e direzione qualsiasi...

  4. Pier Francesco

    Caro Enzo,
    A questo punto, mi viene da pensare che i membri della commissione che hanno accettato di pubblicare un articolo, nel quale gli stessi autori mettono le mani avanti sui risultati dei loro studi, siano da far sedere nelle file posteriori... :-P
    Una mia curiosità: è vera la storia, che ho letto da qualche parte, che Einstein mandò un articolo a una rivista di Fisica ma che gli fu rifiutato (la qual cosa lo fece MOLTO risentire...) ?

  5. caro Pier,
    così si dice, ma si dice anche che da giovane Einstein non fosse troppo bravo in matematica... Penso siano solo aneddoti più o meno inventati. Tuttavia, teniamo presente che quando si presenta un lavoro che si scontra con la visione "normale" è facile che ci si trovi davanti a un muro difficile da superare. Tuttavia, è solo questione di tempo...  Riguardo al Congresso... sai, sono piccoli peccati veniali: l'importante è che il lavoro ufficiale sia onesto!

  6. alexander

    cosi come descritto il congresso sembra un ring fatto di pugili gentiluomini!
    bello, magari ci fossero cose cosi in italia, non solo in campo scientifico... 

  7. caro Alex,
    i congressi astronomici (ma penso scientifici in genere, quando non ci sono di mezzo i soldi) sono simili in tutto il mondo. Anche in Italia se ne organizzano e come... Te lo posso dire con sicurezza perché ne ho organizzato e diretto due ormai celebri; quello del 1993 a Belgirate e quello del 2001 a Palermo.... Nel primo si era dato l'annuncio dell'esistenza della Kuiper Belt e della Shoemaker-Levy; nel secondo si celebravano i duecento anni del primo asteroide (Cerere) scoperto proprio a Palermo nel 1801 da Piazzi. In entrambi i casi abbiamo rasentato i 500 partecipanti da più di 40 nazioni... Un bel ring, te lo assicuro!

  8. Pier Francesco

    Ho appena visto che la notizia delle stelle fuggitive superveloci, scoperte dai ricercatori della Vanderbildt, è comparsa anche sul Televideo RAI a pagina 165.

  9. Sì, sì, ne danno rilievo... ma io continuo a dire che aspetto una precisione maggiore nelle posizioni... Spero, comunque, di essere pessimista... :wink:

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