20/07/17

La leggenda dell’Aeroplano Selvatico

Domenica scorsa è morto un grande Amico, un celebre produttore di barolo, Domenico Clerico, ma soprattutto un Uomo dotato di un’umanità e di una generosità più uniche che rare. Proprio perché persona sincera e libera al pari di un bimbo, ha sempre avuto molti detrattori che ben poco avevano capito di lui. Era un Uomo che sapeva piangere senza vergognarsi, se le sue corde più sensibili venivano toccate. Ma era anche Uomo che non si fermava davanti a nessun ostacolo, sicuro di fare ciò che voleva con la massima sincerità.

Una di quelle persone sempre in movimento, in giro per il mondo. Era idolatrato ovunque andasse dalla Cina agli Usa, dal Giappone alla Russia e forse era compreso meglio all’estero che non in un paese come il nostro, dove invidia, gelosia, rabbia sono le doti più frequenti. Vedere qualcuno che non nasconde il proprio benessere, guadagnato con tanta fatica (le sue mani lacere e indurite erano il miglior biglietto da visita), e che cerca di aiutare i più deboli, invece che inserirsi nei vari intrighi da furbetti del quartierino, è una specie di alieno, da cui prendere le distanze e, magari, cercare di distruggere. Ma per Domenico ci voleva ben altro. Sì, ci voleva un male incurabile, che per qualche anno ci aveva fatto sperare… Poi il crollo improvviso, inaspettato.

Lo so, non è questo il posto per celebrare un Amico di “bicchiere”. Ma lui era molto di più e ci legava un filo invisibile a tutti (o quasi), ma resistentissimo. Ci vedevamo poco, a causa dei suoi impegni, ma lo sentivo sempre vicino… In fondo anche adesso…

Lui e la sua uva erano una sola cosa: l’amava, la coccolava, la curava con dedizione paterna, come era riuscito a fare per poco tempo con la sua adorata figlia Cristina, volata in cielo ancora bambina. Proprio a lei aveva dedicato il suo vino più prezioso e chi non si accorgeva del luccichio nei suoi occhi, quando lo faceva assaggiare, non avrebbe mai potuto capire il suo vero carattere. Ogni goccia era un po’ di Cristina che tornava a vivere… ma non voglio essere “lacrimoso”, anche se faccio molta fatica.

Giuliana, la moglie, ha una forza davvero incredibile, l’unica che poteva cercare di tenerlo a freno, ma anche di stimolarlo e di regalargli coraggio nei momenti di debolezza. Una donna che ha perdonato tanto e che ha amato tanto. Una vera Donna! Non commetterò lo stesso errore con lei e cercherò di starle vicino il più possibile. Lo devo a Lei, ma anche a Domenico.

Quel filo invisibile che ci legava aveva creato un piccolo miracolo, una fantastica decisione che aveva riempito di gioia entrambi e che ho voglia di raccontarvi perché ha avuto una parte importantissima nel mio modo di essere e di agire. Io avevo scritto una favola dedicata al nome con il quale lo chiamava il papà, quand’era piccolo: Aeroplan Servaj, ossia aeroplano selvaggio, senza freni, sempre pronto a volare, a distaccarsi dalla realtà, ma anche pronto a rientrare nei ranghi, anche se con dispiacere.

Dopo aver acquistato una nuova vigna in una posizione eccezionale, Domenico aveva deciso di chiamare il nuovo barolo proprio con il soprannome datogli dal papà. E allora ecco l’idea che aveva quasi avuto paura di propormi: incidere la mia favola sulla scatola del nuovo vino (venduto solo in casse da sei, una vera chicca). Un onore grande per me, ma che lo era anche per lui. Una stretta di mano tra veri Amici… e così è stato.

Di seguito, il breve racconto, inciso nella scatola, che fa parte del libro “Canti enonotturni di Langa” scritto insieme a un altro grande Amico e vignaiolo, Giorgio Viberti.

Accettate questo mio piccolo-grande sfogo… mi fa stare un po’ meglio…

aeroplano

C’è chi dice di sentire spesso un lontano rumore di aeroplano senza però scorgere la sagoma di alcun oggetto in volo. Altri dicono che è solo il ronzio continuo e sommesso dei trattori che percorrono avanti e indietro le colline di Langa. Qualcuno giura che sia solo il brontolio di un maestro di vino scorbutico, mai pronto a facili compromessi. Nessuno forse saprà mai la verità. Io però credo fortemente che sopra le vigne aleggi davvero uno spirito libero e capace di volteggiare al di sopra delle piccolezze umane. Uno spirito che conosce la fatica e che ama la sua terra anche quando le mani si screpolano e la schiena si piega dolorante.

Esiste una leggenda che racconta di un bambino mai cresciuto, che ha sempre voluto volare senza regole, selvatico nell’anima e nel cuore. Forse nessuno lo ha mai visto veramente o, meglio, nessuno è mai stato in grado di riconoscerlo o ha mai voluto credere nella sua esistenza. Lui sa mimetizzarsi molto bene e nel mondo di oggi riesce facilmente a passare inosservato. Ma ogni leggenda ha un fondo di verità. E a me questa sembra proprio vera.

Riesco a credere e a sognare che vi sia ancora un fanciullo il cui amore per la Natura e per i valori umani più profondi non sia stato scalfito dalle sofferenze subite in tanti anni di lavoro rude e sincero. Un bambino cresciuto fisicamente, ma rimasto ingenuo, capace di sopportare le tragedie con rassegnazione e le fortune con umiltà. I suoi piedi sono profondamente radicati al suolo, quasi fossero anch’essi radici contorte che lottano con le dure marne sottostanti. Le sue mani sfiorano con tenerezza e con vigoria i grappoli a cui vorrebbero trasmettere (forse riuscendoci) ancora più forza e tenacia. Sembra creatura plasmata con la terra e quasi parte integrante della roccia sotterranea.

Sembrerebbe impossibile staccarlo dal suolo. E invece, quando è solo e nessuno può notarlo, si alza con estrema facilità e comincia a volare tra le colline. Allora è finalmente felice. Volteggia e descrive traiettorie impossibili. A volte sfiora le foglie dei vigneti per poi passare a grande velocità tra le merlature dei castelli. Poi sale sempre più in alto fino a vedere le cascine come piccoli punti persi nel verde, senza più identità. Si sofferma un attimo a guardare e a gioire della purezza che a quelle altezze sembra pervadere tutto, uomini e cose. Poi, con dispiacere, ripiomba in basso e poco alla volta le meschinità e le bassezze tornano ad assumere i loro ben noti contorni. Quella è la realtà e bisogna conviverci.

Ma più tardi … Adesso è bello continuare a volare come un aeroplano senza rotta e senza pilota. Un aeroplano selvatico e libero. E poco importa se il suo rombo si sente da lontano. Nessuno riuscirà mai a scoprirlo. Nessuno potrà mai pensare che esista davvero. Oggi non c’è più tempo e spazio per i sogni. Tutto deve essere concreto e prestabilito. La fantasia è un lontano ricordo.

Io però non mi rassegno e riesco a vedere benissimo il piccolo aeroplano. Lo riesco a scorgere anche tra le nuvole e senza udirne il rumore. Posso anche chiudere gli occhi e sono sicuro di volare con lui, senza freni e per sempre. Possiamo  andare insieme sulla Luna e sui pianeti. Lasciare il nostro Sole e volteggiare tra milioni di stelle. Io la strada la conosco bene e l’aeroplano mi segue senza timore. E gli astri ci sorridono: loro non sanno cos’è l’invidia, la gelosia o il rancore. Vivono in completa armonia e non hanno bisogno di esibirsi a tutti i costi. Loro sanno di essere perfetti e bellissimi e non devono dimostrarlo a nessuno.

Vorremmo restare con loro a chiacchierare in completo silenzio, parlare di libertà, di amicizia, di speranze, ma dobbiamo tornare. Siamo costretti a lasciarci, ma basta un mezzo sorriso per capirci profondamente. Vi è una scarica elettrica che ci lega in modo invisibile, ma reale. L’aeroplano si ferma, non è più selvatico e irrequieto. Torna a scavare la terra con le sue radici. Ma io aspetto con trepidazione la prossima volta, in cui magari lasceremo anche la galassia e arriveremo ai confini dell’Universo. O forse basterà soltanto assaggiare un bicchiere di barolo, chiudere gli occhi e sentire le vibrazioni selvagge del piccolo aereo. E tornerò comunque a sognare ed a volare.

E poco importa che sia solo una leggenda, a cui nessuno crede.

Grazie per la comprensione…

aero

6 commenti

  1. Franco Mantovani

    Bellissimo scritto che obbliga ad una profonda riflessione sui valori umani e spirituali indipendentemente se si è credenti o meno.

    Anche io ho vissuto una esperienza simile alla tua alcuni anni fa avendo perso un carissimo amico, quindi credo di comprendere cosa stai provando.

    Grazie Vincenzo !

    Franco.

  2. oreste pautasso

    Sono passati solo quaranta giorni da quando ho potuto toccare il coperchio di quella scatola di vini  che vedo nella fotografia e leggervi la bella "leggenda" dell' aeroplanino selvaggio. Quando me ne hai parlato sentivo la tua commozione, Vincenzo, e il grande affetto per il tuo amico. Mi spiace non averlo conosciuto perché era certamente una persona speciale, a giudicare dallo splendido ricordo che ti ha lasciato. Come molti ho perso amici e Amici nel corso della mia vita e non mi sono mai completamente rassegnato a non vederli più, anche se in realtà sono presenti nei mille ricordi che ho di loro e che ancora oggi, a distanza di anni ritornano nelle conversazioni. Così sarà anche per il piccolo aereo selvaggio, che potrà volteggiare finalmente  leggero e felice nel cielo, senza limiti e senza mai doversi posare al suolo.

  3. Gianni Bolzonella

    Quel vino,quelle vigne,le colline dove sono piantate fanno parte di un mondo che esiste,perché lo spirito di quell'uomo le ha plasmate a sua immagine,creando una forma e soffiandogli un' anima,era ed è tuttora una piattaforma con una dimensione precisa,e occupa uno spazio definito.

  4. Club dei Maghi

    il mondo non ci dà nessuna gioia simile s quella che ci toglie

    Byron

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