14/11/17

I MIEI AMICI ASTEROIDI (9): Datemi un punto luminoso e vi svelerò un mondo

Questo articolo racconta una parte importante degli inizi della mia vita professionale. Niente di speciale, ma penso sia apprezzato da chi ama la geometria.

Come si ottiene il periodo di rotazione, attorno al proprio asse, di un asteroide? E’ semplicissimo rispondere. Basta misurare il flusso di luce che riceviamo e costruire la relativa curva di luce in funzione del tempo. Dato che gli asteroidi emettono solo luce riflessa e sono corpi di forma irregolare, la quantità di luce che inviano verso terra dipende soltanto dalla superficie apparente che mostrano all’osservatore. Durante la rotazione completa questa cambia continuamente, passando da un massimo di luce (area massima) a un minimo (area minima) e poi ancora a un massimo e a un altro minimo (Fig. 1).

Figura 1. La curva di luce di un asteroide, ottenuta dal nostro amico Lorenzo Franco
Figura 1. La curva di luce di un asteroide, ottenuta dal nostro amico Lorenzo Franco

Questa doppia onda è tipica delle forme irregolari. Se avessimo una sfera mezza chiara e mezza scura avremmo, invece, solo un massimo e un minimo di luce (come, ad esempio, capita per Vesta).

Le osservazioni fotometriche permettono di stabilire in una sola notte, o, più frequentemente in una serie di notti, la curva di luce completa dell’oggetto celeste. Il periodo di rotazione è la durata di tempo che intercorre tra un massimo (o minimo) e la sua successiva apparizione. Normalmente, quasi tutti gli asteroidi sono di forma irregolare e quindi le loro curve di luce complete sono caratterizzate da due massimi e da due minimi per periodo.

Se ci pensate bene, già questo risultato è ammirevole: l’analisi della luce inviataci da un punto che appare tale anche con i maggiori telescopi, permette di conoscere un’entità fisica come il periodo di rotazione. Non è stata conquista da poco e io sono estremamente contento e onorato di aver fatto parte del limitato numero di “pionieri” di questa “semplice” tecnica osservativa applicata ai piccoli corpi del sistema solare (anni ’70). Oggi, è alla portata di tutti, ma continua a regalare dati di estrema importanza per lo studio dell’evoluzione fisica della fascia asteroidale.

Queste cose, però, le sapete già. Tuttavia, lo studio della curva di luce va ben oltre. Può, sotto certe ipotesi non eccessivamente restrittive, permettere la ricostruzione della forma “generale” del corpo celeste e la direzione del suo asse di rotazione. Parametri, tra l’altro, molto importanti per lo studio dell’evoluzione del momento angolare e della forma dei frammenti di un corpo andato catastroficamente distrutto. Vi prego di ricordare che proprio la forma di alcuni asteroidi medio-grandi ci aveva permesso di individuare gli ellissoidi a tre assi e la struttura ad “ammasso di pietre”, oggi universalmente riconosciuta (qui).

Mentre la determinazione del periodo di rotazione è normalmente cosa rapida e facile (una volta bastava un buon fotometro fotoelettrico, oggi un buon CCD), più complicata è la determinazione della forma e dell’asse di rotazione. In questo articolo voglio raccontarvi uno dei vari metodi, quello che ho usato più spesso (in quanto messo a punto proprio da… me) e che risulta anche il più semplice da spiegare geometricamente e senza utilizzare formule più o meno complicate.

L’ipotesi fondamentale che bisogna fare per poter arrivare a un risultato accettabile è che la forma dell’asteroide sia assimilabile a un ellissoide a tre assi (a>b>c), rotante attorno al semiasse minore c. Attenzione! Questo non vuol dire che tutti gli asteroidi siano forme di equilibrio, ma solo che, come tutti i frammenti collisionali, hanno forme più o meno allungate e non simmetriche (molti sono a forma di nocciolina americana, come questo). La rotazione intorno all’asse minore è comprovata dalla teoria e dalla casistica, e si lega a condizioni che si riferiscono al momento angolare.

Le forme a tre assi sono più che giustificabili, guardando i sassi di una spiaggia ciottolosa in cui il mare abbia smussato gli angoli delle pietre (Fig. 2).

Figura 2. Sassi che il mare ha consumato: bellissimi ellissoidi a tre assi!
Figura 2. Sassi che il mare ha consumato: bellissimi ellissoidi a tre assi!

Ammettiamo, quindi, che il nostro asteroide si presenti come un ellissoide a tre assi, rotante attorno all’asse minore. Magnifico. Tuttavia, noi continuiamo a vedere, da terra, solo un punto luminoso e quindi l’ellissoide può essere orientato in qualsiasi modo nella sua posizione celeste.

La sua prima curva di luce, in genere, ci aiuta già a capire la forma grossolana: se l’ampiezza, ossia la differenza tra massimi e minimi, è abbastanza rilevante vuol dire che l’ellissoide è piuttosto allungato. Come mai? Presto detto. Prendiamo ad esempio un oggetto che abbia l’asse di rotazione perfettamente perpendicolare alla linea di vista. In Fig. 3, nella parte alta, vi è l’ellissoide visto dal polo (e quindi l’ellisse mostra proprio gli assi maggiori a e b), mentre le due rappresentazioni sottostanti si riferiscono a vari istanti.

Figura 3. In alto un ellissoide a tre assi visto dalla direzione dell’asse polare. Durante la sua rotazione l’area rimane costante. Se, invece, viene visto dalle posizioni 1, 2, 3, 4 l’area cambia continuamente e passa da un minimo a un massimo. Come conseguenza, durante un intero periodo di rotazione d’identificano due massimi e due minimi di luce.
Figura 3. In alto un ellissoide a tre assi visto dalla direzione dell’asse polare. Durante la sua rotazione l’area rimane costante. Se, invece, viene visto dalle posizioni 1, 2, 3, 4 l’area cambia continuamente e passa da un minimo a un massimo. Come conseguenza, durante un intero periodo di rotazione d’identificano due massimi e due minimi di luce.

In particolare, l’area della superficie ellittica vista da terra passa da un minimo (1) quando si vede l’asse intermedio b (πbc) a un massimo (2) (dopo novanta gradi di rotazione) quando si vede l’asse maggiore a (πac). Poi, dopo altri 90°, di nuovo πbc (3), seguita da πac (4), per concludersi, infine, nuovamente con πbc (1). L’asse minore c si vede sempre, proprio perché l’asse di rotazione è perpendicolare alla linea di vista.

In questo caso così favorevole si potrebbe immediatamente risalire al rapporto tra gli assi maggiori dell’ellissoide (a/b), scrivendo la formula (ormai ben conosciuta da tutti):

m2 – m1 = – 2.5 log (Imax/Imin) = – 2.5 log (Amax/Amin) = – 2.5 log (πac/ πbc) = – 2.5 log (a/b)

notando che m2 – m1 è proprio l’ampiezza della curva di luce in quanto è la differenza di magnitudine tra massimo e minimo, mentre l’intensità luminosa che entra nel logaritmo è, nel caso di luce riflessa, proporzionale solo all’area apparente vista dall’osservatore. In altre parole, più uno “specchio” è grande e più luce riflette.

Se fossimo sicuri di essere nelle condizioni della Fig. 3 avremmo già ottenuto un risultato importante. Purtroppo, esso è solo un caso fortunato, che, però, si verifica sempre (prima o poi) per qualsiasi asteroide e per qualsiasi orientazione del suo asse di rotazione. Basta avere pazienza. Ora vi mostro perché…

Consideriamo due casi estremamente particolari, ma molto indicativi. L’asteroide si trova su un’orbita circolare e complanare con quella terrestre. La direzione del suo asse di rotazione è perpendicolare all’orbita stessa (Fig. 4).

Figura 4. Asteroide e Terra rivolvono su orbite complanari e l’asse di rotazione è perpendicolare al piano orbitale.
Figura 4. Asteroide e Terra rivolvono su orbite complanari e l’asse di rotazione è perpendicolare al piano orbitale.

Le mutue posizioni Terra-asteroide sono mostrate per 4 particolari opposizioni. In realtà, sarebbe stato inutile, in quanto l’angolo tra asse di rotazione e linea di vista rimane sempre uguale a 90° (visione equatoriale). In qualsiasi opposizione si osservi, si ricade nel caso di Fig. 3 (in basso). Otteniamo sempre la stessa ampiezza di curva di luce.

Già dalla prima curva di luce, si ricava subito il rapporto tra gli assi maggiori a/b, ma nessuna informazione sul rapporto a/c o b/c. Sappiamo anche la direzione dell’asse di rotazione (non variando l’ampiezza nelle varie opposizioni l’asse deve essere perpendicolare). Se facciamo un diagramma dove in ascissa mettiamo, ad esempio, la longitudine dell’asteroide e in ordinata l’ampiezza della curva di luce, otteniamo dei punti perfettamente allineati lungo una parallela all’asse delle ascisse.

Altrettanto peculiare, ma più interessante, il caso mostrato nella Fig. 5.

Figura 5. Come la Figura 4, ma l’asse di rotazione giace sul piano orbitale.
Figura 5. Come la Figura 4, ma l’asse di rotazione giace sul piano orbitale.

In questo caso le orbite sono sempre complanari, ma l’asse di rotazione giace sul piano orbitale (un po’ come Urano). Vi è allora un punto in cui la Terra vede l’asteroide proprio lungo l’asse di rotazione (posizione a destra), ossia l’osservatore non rileva nessuna variazione luminosa durante il periodo di rotazione dell’oggetto celeste (visione polare). Siamo, infatti, nel caso mostrato in alto nella Fig. 3. Per un opposizione che cada a 90° da questa si ha, invece, un angolo tra asse di rotazione e linea di vista uguale a 90° (come in Fig. 3, in basso) e quindi l’ampiezza della curva raggiunge il suo valore massimo (visione equatoriale). Dopo altri 90° ricadiamo nella visione polare (anche se si vede il polo opposto)  e poi ancora nella visione equatoriale.

Nelle configurazioni intermedie tra questi quattro casi peculiari, l’asse di rotazione dell’asteroide forma un angolo variabile tra 0° e 90°, che prende il nome di angolo di aspetto A. In realtà l’angolo andrebbe da 0° a 180° o da – 90° a + 90°, a seconda di come si misuri. Questo fatto ha poca importanza (per adesso, ma ne parleremo più avanti), dato che abbiamo assunto come forma dell’asteroide quella di un ellissoide perfetto, la cui luminosità dipende solo dall’area apparente mostrata all’osservatore.

Al variare dell’angolo di aspetto, l’ampiezza assume valori intermedi tra il valore minimo, uguale a zero (visione polare), e il valore massimo (visione equatoriale). Osservazioni eseguite in varie opposizioni permettono di costruire la curva ampiezza-longitudine. Questa volta non è più una retta parallela all’asse delle ascisse, ma una curva continua che assomiglia, in qualche modo, a una curva di luce. Il valore massimo è sicuramente la visione equatoriale e quindi ci permette di conoscere nuovamente a/b. Inoltre, la posizione in cui l’ampiezza diventa zero, indica proprio la longitudine del polo.

In questo caso peculiare, sappiamo anche che la latitudine della direzione dell’asse di rotazione è zero, dato che l’ampiezza minima è nulla e quindi l’asse deve giacere sul piano orbitale dell’asteroide. Calcolando, infine, la differenza di magnitudine tra la visione polare (valore costante durante l’intera rotazione) e quella della visione equatoriale al massimo della curva di luce, si ottiene subito anche il rapporto tra b e c. Si usa la solita formula:

mP – mE = – 2.5 log (A(polare)/Amax(equatoriale)) = – 2.5 log (πab/ πac) = – 2.5 log (b/c)

Il “caso” è risolto completamente.

Come già detto, però, questa è una situazione del tutto peculiare, molto didattica, ma poco realistica. La situazione “normale” è decisamente più complicata. Ciò che capita è quanto raffigurato in Fig. 6.

Figura 6. Come Figura 5, ma questa volta l’asse forma un angolo qualsiasi col piano orbitale.
Figura 6. Come Figura 5, ma questa volta l’asse forma un angolo qualsiasi col piano orbitale.

L’inclinazione del’asse di rotazione sul piano orbitale è diversa da 0° e da 90° (o, se preferite, la latitudine, nel caso di orbita complanare con quella dell’eclittica). Tuttavia, dobbiamo notare due cose importanti.  Anche in questo caso realistico, prima o poi, si avrà un’opposizione con una visione equatoriale (angolo di aspetto A uguale a 90°).

Se questa asserzione vi lascia un po’ dubbiosi, pensate alle stagioni terrestri. Esistono sempre due punti in cui l’asse di rotazione della Terra è perpendicolare al piano dell’eclittica e questi sono gli equinozi. Essi vi sono comunque, indipendentemente da quanto vale l’angolo tra asse ed eclittica. La visione polare è invece impossibile da ottenere e si ha soltanto un valore minimo di ampiezza, in corrispondenza, però, della posizione a 90° dalla visione equatoriale. In altre parole, il minimo della curva ampiezza-longitudine indica, ancora una volta, la longitudine del polo dell’asteroide. Nel caso terrestre questi sono i punti dei solstizi. Alcuni esempi di curve ampiezza-longitudine sono riportate nella Fig. 7.

Figura 7. Alcune curve ampiezza-longitudine. Qualsiasi asteroide raggiunge sempre il massimo di ampiezza (visione equatoriale). Il minimo, invece, può essere più alto o più basso, Indica comunque abbastanza bene la longitudine del polo.
Figura 7. Alcune curve ampiezza-longitudine. Qualsiasi asteroide raggiunge sempre il massimo di ampiezza (visione equatoriale). Il minimo, invece, può essere più alto o più basso, Indica comunque abbastanza bene la longitudine del polo.

Possiamo calcolare, come al solito, il rapporto a/b, sfruttando l’ampiezza misurata nella visione equatoriale (che si ha sempre, ripeto). Resta più problematica la determinazione del rapporto b/c e della latitudine del polo. Ci aiuta la Fig. 8 che riporta la situazione per un’opposizione e per un orientamento qualsiasi dell’asse di rotazione. L’osservatore vede, in realtà, una proiezione dell’asteroide-ellissoide su un piano perpendicolare alla linea di vista. Essa si ottiene, visivamente, come la sezione perpendicolare di un cilindro ellittico che abbia la direzione Terra-asteroide come asse e che sia tangente all’asteroide.

Figura 8
Figura 8

L’angolo tra asse del cilindro e asse di rotazione è proprio l’angolo di aspetto A. La proiezione è anch’essa un’ellisse, ovviamente, ma i suoi assi sono, momento per momento, delle funzioni abbastanza semplici che legano angolo di aspetto e rapporti tra i semi-asse dell’asteroide.

Particolare rilevanza hanno, ovviamente, quelli relativi al massimo e al minimo della curva di luce. Non intendo sviluppare le formule, in quanto approfittano di un po’ di trigonometria e di qualche passaggio più o meno noioso, ma posso assicurarvi che esiste una soluzione che dona sia la forma che i rapporti tra gli assi.

Abbiamo fatto qualche ipotesi restrittiva, ma le applicazioni ai casi reali confermano che l’approccio è più che sufficiente per una determinazione abbastanza accurata. I risultati ottenuti per Eros, Kleopatra e Vesta (anche se in modo più elaborato) sono perfettamente in accordo con quanto osservato “in loco” (Eros e Vesta) o attraverso le immagini radar (Kleopatra).

La determinazione dell’asse di rotazione resta, comunque,  un po’ ambigua. In altre parole, esistono quasi sempre due soluzioni altrettanto valide. Questo fatto si può notare nella Fig. 9.

Figura 9. Si vedrebbe la stessa superficie apparente per qualsiasi posizione dell’asse lungo il cono con centro nella posizione dell’asteroide e ampiezza uguale all’angolo di aspetto.
Figura 9. Si vedrebbe la stessa superficie apparente per qualsiasi posizione dell’asse lungo il cono con centro nella posizione dell’asteroide e ampiezza uguale all’angolo di aspetto.

Qualsiasi sia la configurazione dell’asteroide nello spazio, la curva di luce non cambia se l’asse di rotazione descrive un cono circolare, di ampiezza uguale all’angolo di aspetto A.

Fortunatamente, questa enorme ambiguità si ha solo per una singola opposizione. Se ne abbiamo altre e raffiguriamo, nel piano longitudine-latitudine celeste, le circonferenze che hanno centro nella posizione dell’asteroide e raggio uguale all’angolo di aspetto, esse hanno due soli punti in comune (Fig. 10).

Figura 10. Se l’orbita non è inclinata ed è circolare, l’ambiguità tra i due poli non non può essere risolta.
Figura 10. Se l’orbita non è inclinata ed è circolare, l’ambiguità tra i due poli non non può essere risolta.

La loro longitudine e latitudine sono i possibili valori del polo dell’asteroide. In modo analitico questo fatto si traduce  dicendo che l’angolo di aspetto è calcolato solo in valore assoluto (ossia può essere sia positivo che negativo, come già accennato in precedenza).

Per risolvere l’ambiguità, è necessario che l’orbita non sia complanare con l’eclittica e, magari, che sia anche piuttosto ellittica. In questi casi vi è una piccola differenza tra le due soluzioni: una delle due intersezioni è meno “buona” dell’altra.

Tuttavia, dato che gli errori sono  molti (macchie di albedo, forma non assimilabile completamente a un ellissoide a tre assi, rugosità superficiale, effetto dell’angolo di fase solare sulla luminosità della superficie esposta all’osservatore (ossia l’ombra su una superficie convessa), ecc.), l’ambiguità è difficilmente risolta e le differenze riscontrate negli errori stimati per le due soluzioni sono comparabili o minori di quelli introdotti da altre cause.

In ogni modo, si ottengono valori più che accettabili per lavori di tipo statistico e anche per pianificare missioni spaziali dirette agli asteroidi, per le quali è necessario avere una stima dell’asse di rotazione e della forma.

Insomma, un giochino che penso sia piaciuto agli amanti della geometria. Gli altri portino pazienza e pensino a quante cose, nel Sistema Solare, si riescono a determinare da un punto di luce, solo perché  è variabile.

 

QUI il report osservativo del "mio" asteroide 2813 Zappalà

 

QUI tutti gli articoli finora pubblicati della serie "I miei amici asteroidi"

 

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