05/12/20

Un paragone... inappropriato (?) ovvero c'è "referee" e "referee"

Un articolo di puro sfogo, ma penso anche con un po' di logica. So che non dovrei occuparmi di tutto questo, ma la mia mente non è capace di nascondermi dubbi e riflessioni e ho bisogno di esprimerli ad alta voce. Ho cercato di fare un paragone con la mia vita lavorativa passata, sicuramente fortunata e libera di permettersi qualche sbaglio senza causare tragedie. Poi ho tratto qualche conclusione del tutto personale che potete fare a meno di leggere e sicuramente di condividere. D'altra parte questo è un blog ed è giusto che io possa esprimermi attraverso di esso, finché mi sarà permesso. Evitiamo solo commenti alla "facebook", altrimenti sarò costretto a cancellare il tutto.

Appena laureato, nel lontanissimo 1970, sapevo abbastanza bene la matematica, la geometria, la fisica e un po' di astrofisica (non c'era ancora il corso di specializzazione). Fui subito assunto (allora esistevano gli "incarichi") all'Osservatorio di Pino Torinese, in attesa di un concorso e di effettuare il servizio militare. Finita questa parentesi, vinsi il concorso (allora se ne svolgevano parecchi) e iniziai a "lavorare" veramente (questo - e molto altro - l'ho raccontato QUI).

Dapprima mi limitai a fare lastre con il nostro piccolo astrografo da 20 cm (oggi sarebbe ripudiato da molti "astrofili"), riprendendo immagini di piccoli pianeti (allora si chiamavano così). Attraverso il misuratore di lastre si misuravano le coordinate x e y e con formule abbastanza banali si ricavavano le coordinate alfa e delta che venivano inviate al centro di raccolta internazionale di Cambridge, nel Massachusetts, dove servivano per migliorare sempre più le orbite di meno di un paio di migliaia di asteroidi allora conosciuti. Un lavoro di routine che faceva parte da anni del compito dell'Osservatorio.

Un po' alla volta, l'argomento piccoli pianeti mi coinvolse e mi accostai alle ricerche di tipo fisico che erano appena nate per merito di astronomi americani, tra cui nientemeno che Kuiper, proprio quello della fascia dei transnettuniani, allora del tutto sconosciuta. Era ora che pensassi a pubblicare qualche articolo di "vera" ricerca e non solo di routine. Volevo o non volevo contribuire, nel mio piccolo alla ricerca astrofisica?

La biblioteca dell'Osservatorio era ben fornita, ma sicuramente ben al di sotto della vastità bibliografica oggi reperibile sulla rete. Iniziai a leggere, a studiare e a partecipare a qualche congresso (non certo seduto nelle prime file). Qualche idea che mi sembrava innovativa e non ancora approfondita cominciò a insinuarsi nella mente. A quel punto, affrontai il primo vero problema della ricerca: una cosa è studiare, leggere, imparare e anche pensare e un'altra cosa è sapere interpretare correttamente i dati che si ottengono direttamente al telescopio o pubblicati a livello internazionale.

Vi era una specie di "rumore di fondo": che cosa era veramente significativo e che cosa era invece una leggera diversità del tutto trascurabile nel contesto generale? Bisognava sapere discriminare e, per far ciò, era necessario prendere dimestichezza con la realtà della ricerca. Prima di pubblicare qualcosa, era ovvio che ne parlassi con chi aveva più esperienza nel campo e che sapeva come trattare i dati sempre più numerosi. Lezione di umiltà scientifica fondamentale, in cui bisognava costruirsi una mentalità da ricercatore e non solo buttare giù idee, la cui validità era tutta da provare.

Mi recai presso vari istituti europei per affinare le tecniche osservative e la loro analisi, e feci capolino negli USA per discutere a tu per tu con chi era già immerso da tempo in un campo ancora tutto da scoprire. Imparai tanto e, alla fine, mi sentii all'altezza delle prime conclusioni. Tuttavia, non inviai certo il primo articolo a una rivista, ma lo inviai a qualche amico-collega più esperto perché mi desse un parere e, senza falsità, mi indicasse dove avevo mostrato carenze,  gravi imprecisioni o superficialità nell'accettare certi dati senza valutarli ed averli epurati dal rumore di fondo di cui parlavo prima.

Ovviamente non c'era internet e nemmeno le email, per cui bisognava accettare i tempi della posta. Tuttavia, riuscii a pubblicare il mio primo lavoro "serio", mandandolo a una rivista non certo tra le più prestigiose. Fu accettato e cominciai a pensare un po' più in grande, dato che l'esperienza si stava costruendo piano piano. Continuando in questa tattica di scrivere e di chiedere a chi era più esperto, fui indirizzato verso un altro giovane ricercatore americano che stava svolgendo ricerche simili alla mia.

Cominciò un contatto assiduo e continuo, dove non solo cominciammo a costruire qualcosa di veramente innovativo, ma dove iniziai a prendere sicurezza in me stesso, accorgendomi sempre meglio di cosa vi era di veramente importante nei dati e di cosa era frutto di variazioni ininfluenti nel contesto generale. Riuscimmo a pubblicare un lavoro che fu abbastanza rivoluzionario e dove si mettevano le basi per le strutture del tipo "pile of rubble", ossia oggetti formatisi a seguito dalla riaccumulazione dei frammenti causati da urti catastrofici tra asteroidi.

Si stavano aprendo le porte per l'evoluzione collisionale dell'intera fascia, per l'interpretazione corretta delle proprietà rotazionali, per un vero passaggio da punti luminosi, molto utili ai meccanici celesti, a entità fisiche, ricche di caratteristiche peculiari ed essenziali per ricostruire la storia del Sistema Solare.

Affrontammo i primi referee "ufficiali" e non ebbi più paura a ribattere alle loro critiche, dato che, finalmente, mi sentivo preparato. Poi nacquero altre collaborazioni, anche italiane, e la strada divenne sempre più ripida e faticosa, ma  mi accorsi di avere i mezzi per affrontarla con sicurezza, dimenticando, provvisoriamente, anche la mia "scoperta" delle famiglie asteroidali che erano già state trovate più di 50 anni prima. Una grossa delusione (avevo "plottato" a mano circa duemila punti nel diagramma semiasse-eccentricità e semiasse-inclinazione) causata dal fatto che in biblioteca non c'era traccia delle pubblicazioni giapponesi. Me lo segnai, però, e mi convinsi che prima o poi avrei avuto un ruolo importante nella descrizione delle famiglie di asteroidi, dando una svolta statisticamente valida e aprendo la possibilità di verifica attraverso i dati osservativi di tipo fotometrico e spettroscopico.

E ci riuscii ed è di grande soddisfazione intima vedere ancora oggi il proprio nome associato a questo argomento.  Niente di speciale, intendiamoci... una normale e comune "gavetta" più che necessaria per affrontare seriamente la ricerca scientifica. Possiamo essere preparati, aver letto tutto e di più, ma senza un confronto diretto con i dati veri, che siano osservativi o anche solo frutto di teorie e simulazioni, non puoi considerarti un ricercatore, ma solo un apprendista in attesa che l'esperienza ti faccia fare il salto di qualità. Il salto di qualità che, almeno una volta, era indicato chiaramente dall'accettazione di un lavoro innovativo da parte dei referee, ossia di colleghi ben più esperti e preparati, e dal numero di citazioni che venivano fatte da altri colleghi richiamando (positivamente) il tuo lavoro.

A questo punto, fatemi cambiare (apparentemente) argomento e passiamo nel campo della medicina. Beh... molte cose sono simili: prima di essere in grado di fare una diagnosi e decidere una cura o un particolare esame è necessario fare esperienza. Se io tentavo di pubblicare un lavoro non accettabile, il referee me lo avrebbe subito bocciato. Un po' di imbarazzo, ma poi , in fondo, poco cambiava. Una nuova esperienza che non poteva che migliorarti.

Nella medicina le cose sono molto diverse. In certi casi, se regna ancora l'inesperienza, il referee potrebbe essere un ricovero in ospedale rimandato un po' troppo o, nei casi peggiori, la cara signora con la falce. Sì, servirebbe come esperienza, ma a che prezzo? No, certi rifiuti da parte dei referee dell'attività medica vanno evitati il più possibile!

E allora, cosa si dovrebbe fare? I giovani medici appena laureati che sanno molto, ma che poco hanno a avuto a che fare con i "dati" osservativi diretti, con cosa è il "rumore di fondo" trascurabile e cosa è un sintomo fondamentale, non possono permettersi di tentare e di dire: "Accidenti, ho sbagliato l'interpretazione... andrà meglio la prossima volta". Fermo restando che in tutte le Scienze non vi è mai la certezza (soprattutto in medicina dove le variabili indipendenti o dipendenti sono praticamente infinite), risulta fondamentale che chi deve affrontare le malattie in modo diretto, e non solo in simulazioni di laboratorio o leggendole sui libri, deve avere la giusta esperienza, maturata sul campo.

La cosa più ovvia sarebbe, perciò, obbligare tutti i medici appena laureati, non solo a specializzazioni "teoriche", come già avviene, ma inserirli da "apprendisti" all'interno di strutture ospedaliere, dove possano acquisire esperienza, sicurezza in se stessi, prima di affrontare gli implacabili "referee" reali.

Tutto ciò, secondo me, non vale solo oggi che c'è il COVID, ma dovrebbe essere un obbligo morale e scientifico di sempre. E, invece, ecco che i medici di "prima linea", quelli del territorio, di famiglia (resi celebri da Sordi con "Il medico della mutua"), figure importantissime e decisive, sono sempre di più resi simili a dei burocrati alle prese con formulari, programmi, foglietti rossi, verdi, gialli e chi più ne ha più ne metta. Chi aveva esperienza e senso etico vero sta ormai andando in pensione e i "troppo" giovani e inesperti, magari potenzialmente bravissimi, vengono sbattuti subito in prima linea, dove dovranno sicuramente affrontare dei "referee" che non permettono errori.

Un piccolo, insignificante, caso personale. Il mio bravissimo ed espertissimo medico sta per andare in pensione e al suo posto si ipotizza una giovane, sicuramente bravissima, ma inesperta collega. Essendo assente il medico per qualche giorno, mia figlia si reca da lei per una forte infiammazione. Negli occhi della dottoressa vede un po' di sgomento... poi l'invito a recarsi al pronto soccorso (proprio adesso?!) e, infine, la somministrazione di un antibiotico, pur sapendo le problematiche di tipo neurologico che il gravissimo incidente di alcuni anni fa le ha lasciato. Meno male che il farmacista è uomo esperto e coscienzioso e rifiuta di darle quel farmaco. E' infatti probabilissimo che le causerebbe delle complicazioni molto gravi alle problematiche esistenti. Conclusione? Mia figlia decide di andare "a pagamento" da una dottoressa privata.

Questo è quello che le istituzioni e la politica, più o meno avvinghiata all'interesse privato, vogliono? Bene... e poi ci chiediamo perché le terapie intensive non si svuotano, con tutti i morti che ci sono. Finalmente (sembra quasi che abbiano letto questo blog...), gli organi di stampa si sono decisi a pubblicare il NUMERO DI ENTRATE in terapia intensiva. Ma manca ancora qualcosa di fondamentale: il NUMERO DI USCITE PER MORTE! Non è difficile immaginare perché... la maggior parte delle morti non avviene in terapia intensiva, ma in corsia o, ancora più frequentemente, a casa (vedi appendice), dove molti malati gravi sono  lasciati sia per l'inesperienza di molti giovani medici (prendi una tachipirina e poi vediamo) che per la mancanza assoluta di un miglioramento significativo e quantitativo di medici esperti.

No, la colpa non è certo loro, ma di un  sistema che pensa solo a come dividersi i ministeri, le poltrone e acchiappare nuovi voti per diventare sempre più potente e, quasi certamente, per corrompere ed essere corrotto più facilmente.

Cosa dire del futuro? Non so... di sicuro non sceglierò come nuovo medico di famiglia quella giovane, bravissima, ma inesperta (e pericolosa) dottoressa. Ci saranno alternative? Dubito... e magari farò contenti i politici e andrò a pagamento in strutture private... e meno male che, fino a un certo punto, me lo posso permettere.

D'altra parte, come sperare che i meno esperti siano in grado di interpretare e criticare con logica i dati COVID che vengono forniti dalle istituzioni, dato che sono praticamente illeggibili se non del tutto inutili o non indicativi? Ad esempio, perché non dire chiaramente, giorno per giorno, quanti sono quelli che muoiono a casa e non in terapia intensiva? Niente di più facile, ma non viene fatto...

Come mai? Per avere spazio di manovra, per potere cambiare le regole senza perdere troppi consensi e via dicendo. E poi, se erano a casa, siamo sicuri che siano morti di COVID o con il COVID o magari per tutt'altro? Avevano fatto il tampone? Gli è stata mai fatta un'autopsia?

Ci sarebbe un modo statisticamente molto semplice e risolutivo: comunicare giorno per giorno la mortalità, per la stessa data, negli ultimi cinque anni. Fatte le dovute medie e correzioni (esperienza lavorativa e non dati buttati a casaccio), basterebbe considerare come morti "aggiuntivi" e, quindi, molto probabilmente per COVID, la differenza tra questi due dati, giustamente pesati e distinti da luogo a luogo. Ho provato a cercare, ma, ad esempio, i dati sulla mortalità accessibili facilmente in rete si riferiscono ad agosto scorso... Evviva l'Italia, evviva le istituzioni, evviva la pianificazione, evviva l'ignoranza al potere, evviva l'egoismo e l'arricchimento sfrenato di pochi a scapito di molti, evviva la nostra ignoranza che non ci permette di valutare certe mancanze e certe lacune. Chi ha i soldi sopravvivrà perfettamente (altro che il virus non guarda in faccia nessuno)... gli altri pazienza, il "referee" ha detto di NO.

Appendice matematica:

TI (ieri) = numero di terapie intensive di ieri

TI(oggi) = numero di terapie intensive di oggi

NTI (oggi) = nuove entrate in terapia intensiva oggi = 201

UTI (oggi) = uscite dalla terapia intensiva oggi  (morti o trasferiti in sub intensiva)

TI(ieri) - TI(oggi) = 30

Ma  questa differenza equivale a NTI - UTI, per cui

NTI - UTI = 30

Da cui

UTI = NTI - 30 = 201 - 30 = 171

In questo numero sono compresi i trasferiti in terapia sub intensiva, i morti per COVID e i morti per altre patologie.  Anche nel caso limite in cui siano tutti morti per COVID, abbiamo un numeri morti in terapia intensiva di solo 171 persone (e ricordiamoci che sono sempre persone e non numeri astratti).

Io non sono certo un medico, ma i morti per COVID risultano essere ben 814 e, di conseguenza:

814 - 171 = 643

Il che vuol dire che almeno 643 persone sono morte, per difetto, per COVID, ma non in terapia intensiva. Possibile che tutte queste siano morte nelle corsie normali, senza essere subito trasferiti in terapia intensiva? O forse la stragrande maggioranza di questi sono deceduti a casa propria per mancanza di assistenza rapida e precisa?

Aspetto, invece, una risposta rapida e precisa dagli esperti... o viene da pensare che la terapia intensiva sia una possibilità data solo a qualcuno e non a  tutti. Ai più poveri? Ai più bisognosi? O, magari, a chi ha più potere e conoscenze speciali?

 

17 commenti

  1. mauro robusti

    Mia zia di 85 anni ricoverata presso una RSA a febbraio è stata ricoverata in ospedale per una polmonite nel reparto di medicina generale. Io e mia moglie, poco esperti di medicina, ci siamo detti:  questa volta non ce la fa, potrebbe trattarsi di covid 19. Fortunatamente si è ripresa ed è stata riportata nella RSA. Dopo pochi giorni le hanno fatto il tampone ed è risultata positiva al covid. Chissà quante persone ha contagiato nel frattempo!!! Per fortuna siamo in Lombardia dove la medicina è di eccellenza!!!

  2. Mario Fiori

    Caro Enzo con me sfondi una porta aperta, personalizzare, in altre sedi, mi batto per questo e spesso invito gli sciagurati negazionisti a non negare il covid o altre questioni varie, ad essere finalmente quadrati (appello probabilmente inutile) e a occuparsi (senza violenza ovviamente ma con cervello) finalmente proprio di queste concrete cose. Poi in questa società, amico mio, si è totalmente persa l'idea della gavetta, dell'affare via via lo studio, dell'esperienza, del meno giovane che dirige e dell'anziano che tutela e insegna. Tutti i posti con Laurea (anche lo spazzino lavoro sempre e comunque nobilissimo) e subito in campo e spesso ai vertici. Non abbiamo capito niente Enzo caro. 

  3. Mario Fiori

    Perdonami per gli evidenti errori :oops:

  4. Giorgio

    Aggiungerei al gruppo anche i giornalisti, specie quelli televisivi, che vanno avanti con istogrammi dalla scala sovra o sotto dimensionata, siamo andati avanti per mesi con i morti che avevano 3.000 ! come valore in ordinata ...grazie a Dio mai nemmeno sfiorata, o quelli che hanno impiegato mesi e mesi per arrivare a fare una incidenza percentuale tra tamponi e positivi.

    Spesso i dati comunicati sono talmente "dissociati" tra loro che è difficile non pensare vengano lasciati così per "gestirli" a seconda di ciò che si vuole dimostrare; magari con le migliori intenzioni del mondo (es. evitare panico) ma a scapito della chiarezza.

    Sicuramente gli addetti ai lavori li hanno (ci mancherebbe pure !) ma è un po' come i risultati elettorali, dove vincono sempre tutti...anche coloro che hanno perso meno di quello che si pensava...

     

  5. Arturo Lorenzo

    A proposito di dati ufficiali, nella tabella di ieri, in corrispondenza della riga della regione Molise e in corrispondenza della colonna "Totale persone testate" c'è un evidente errore. Infatti il numero indicato è 897.250. Non può essere vero, visto che la popolazione residente dell'intero Molise, secondo i dati del 2019, è di 302.265 persone ! Ovviamente, il dato errato del Molise inficia anche il totale Italia delle persone testate, indicato in 14.243.149, e il rapporto tra tamponi positivi e persone testate, che  ieri precipitava, se fosse stato reale il dato del Molise, al 2%...

  6. Fabrizio

    Riporto solo qualche elemento aggiuntivo che ho sentito negli ultimi giorni. Lascio a voi l'interpretazione.

    Mi sembra che inizino ad evidenziare la consapevolezza che finora si è capito ben poco di questo fenomeno e del perché si sia manifestato in Italia in modo più grave che da altre parti.

    Da una intervista sulla Stampa del prof.Lorenzo Richiardi, professore ordinario di epidemiologia e statistica medica all’Università di Torino.

    Il motivo di tanti morti in Italia resta un mistero. Una teoria è perché abbiamo una popolazione anziana, ma non basta. Solo Regno Unito e Spagna registrano simili perdite, mentre gli Stati Uniti sono più bassi e la Germania pure. La letalità del Covid non è drammatica rispetto ad altre malattie, ma se riferita agli anziani diventa devastante».

    Intervista ripresa in una trasmissione radiofonica di venerdì scorso Radio 3. Qui il link su raiplayradio.

    Al minuto 24:50 c'è l'intervista al prof. Bacci, docente di Demografia all’Università di Firenze che conferma, da demografo, che l'attribuzione alla sola maggiore età media della popolazione italiana non è sufficiente a giustificare la più grave tasso di mortalità italiano.

    Mi sembra interessante sentire il punto di vista di esperti in statistica. Spesso le interviste sono fatte a clinici che non sono i più indicati per dare questo tipo di risposte. Ho sentito qualche tempo fa questa battuta: è come chiedere ad un meccanico della Ferrari, che certamente se ne intende di auto, se domani ci sarà più traffico del solito sulla tangenziale di Milano e sul raccordo di Roma.

    Poi ci sono alcune dichiarazioni di chi si trova in prima linea. Forse sono degli sfoghi, ma credo accendano dei piccoli riflettori su alcuni aspetti del problema che dichiarazioni più meditate tendono a sfumare.

    Nella stessa trasmissione al minuto 43:20 c'è una telefonata interessante di una infermiera riguardo le strutture e le condizioni di lavoro di chi affronta il COVID.

    Purtroppo il COVID si è abbattuto su un sistema sanitario evidentemente già in grande affanno. Basta avere avuto la necessità di rivolgersi ad un pronto soccorso, già in periodi precedenti al COVID. A me è capitato di passare una notte in un pronto soccorso di Roma per assistere un parente. Le scene che ho visto fanno impallidire l'inferno dantesco. Gravi carenze di personale, organizzative e di strumenti e spazi c'erano ben prima del COVID.

    Infine c'è il messaggio del dott.Silvestro Volpe.

    Covid, lo sfogo del primario di Avellino su Fb: "Non sappiamo come curarvi" - la Repubblica

    Certamente è stato influenzato dalla morte di un collega, ma mi sembra dica una verità che può non piacere: alcune volte anche la medicina e la scienza sono impotenti di fronte alla natura. Aggiungerei, che comunque sono gli strumenti migliori che abbiamo per cercare di capirla.

     

  7. Mario Fiori

    Condivido l'analisi Fabrizio e anche la tua conclusione; il Prof. Bacci, il quale un paio di volte ho sentito dal vivo, ha ragione pur non essendo virologo o immunologo. Aggiungerei che la politica italiana non aiuta con tutta questa ricerca di consenso e di visibilità , con un inseguire un'Europa tanto importante quanto , in questa tipologia e con questi personaggi, incapace di produrre qualcosa di buono, di innovativo e di veramente unificante. Da tutto ciò, unito alle naturalissime limitazioni della Scienza, della Medicina di non fare ovviamente miracoli , non possono  che nascere problemi e inefficienze, disguidi non voluti e disguidi invece voluti eccome e per mentalità contorte che ben conosciamo.

  8. cari amici miei,

    oltre a tutti i problemi giustamente esposti, resta, però, sopra tutti, il problema dell'ignoranza dilagante. Il che sarebbe solo da paese del quinto mondo... ma la cosa grave è che, malgrado si sia ignoranti, si vuole comunque sempre dire qualcosa e c'è anche chi ci crede e agisce di conseguenza. Il caos più completo!

    Qualcuno di voi riesce a trovare il numero di deceduti ogni giorno dell'anno, negli ultimi anni? Sarebbe veramente interessante conoscere le variazioni e avere un'idea di quanti muoiono a casa. Che poi sia covid ci posso anche credere (tamponi post mortem?), ma vorrei avere questa riprova.

    Non sono un negazionista e me ne sto tranquillo a casa, ma vorrei avere tutti i dati per capire meglio... o non si vuole che qualcuno riesca a capire?

    Non so proprio più cosa pensare...

  9. Fabrizio

    Enzo,

    ho recuperato i decessi per settimana. Non ho trovato il modo di allegarli direttamente a questo messaggio.

    Posso indicare qui il link a dove ho caricato i dati da inizio 2018 alla W40 2020 (ultima settimana disponibile). Non è necessario essere registrati o registrarsi, basta scegliere il tasto scarica che appare in alto a destra. Se prima appare anche una finestra che richiede l'iscrizione, basta chiuderla e si arriva alla pagina sottostante.

    Spero funzioni.

  10. grazie Fabry!

    Se non sbaglio, vedo un significativo aumento solo dalla settimana 11 alla 16. Poi basta!!! Confermi?

    a costo di fare come ai miei tempi, li li voglio plottare e vedere l'andamento dal 2018 ad oggi. Mi puzza di presa per il sedere....

  11. ah... ma dicono che sono aggiornati a dicembre e invece si fermano alla settimana 36 (agosto)... Alla faccia dell'aggiornamento!

  12. Fabrizio

    Questo è il grafico

    L'aggiornamento è quello generale EUROSTAT. ISTAT invia i dati non proprio tempestivamente, comunque è alla W40.

  13. fantastico Fabry... sei una potenza. Beh... la prima ondata si vede molto bene. Aspettiamo a vedere la seconda, sperando in aggiornamenti che siano veri aggiornamenti...

  14. Fabrizio

    e qui c'è il confronto con alcuni paesi europei sulla base dei dati Eurostat

    Per l'Italia non si vede la seconda ondata perché l'ultimo dato disponibile è quello della settimana 40.

  15. sempre in ritardo... tanto per cambiare. Grafici molto interessanti. Ci rimarrebbe da sapere quanti sono i morti in TI , in corsia e a casa. La situazione pandemia è bene illustrata, con i dati sulla provenienza dei morti, si avrebbe un quadro anche delle risposte sanitarie.

    Che dire Fabry? Hai tirato fuori dati che dovrebbero essere sbattuti in prima pagina invece di tante parole, libri sempre più numerosi dei virologi & co., illazioni, numeri gettati alla rinfusa. In questo modo chiunque potrebbe vedere il vero impatto del COVID e -magari- spaventarsi di più in certe fasce di popolazione e creare meno confusione in altre...

    Grazie di cuore... la logica è riuscita a vincere ancora una volta, anche se è  una molecola sempre più rara!

  16. Fabrizio

    Visto che c'ero, ho cercato di ricavare l'incremento dei decessi 2020 prendendo come riferimento la media 2018-2020 per confrontarla con quella dei decessi per COVID indicati dalla protezione civile.

    Il dato della protezione civile sembra compatibile se non sottostimato rispetto a quello ISTAT-EUROSTAT.

    Purtroppo questi non sono semplici numeri ma persone che non ci sono più. Devo dire che mi fanno sentire stonato il corrente dibattito sui cenoni.

     

  17. parole d'oro, caro Fabry... continuano a dare i numeri e a parlare di futilità e di parlamentari che pensano ai fattacci loro, ma quei numeri sono persone che non ci sono più... Bisogna toccarli con mano per capire la situazione? Inciviltà, l'unica parola che riassume il tutto.

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