29/04/16

Le Interviste di PapalScherzone: VINCENZO ZAPPALA' (alias PAPALENZO)

Seguo da anni il prof. Zappalà, da ancor prima che lui, grazie allo studio dinamico della perturbazione del moto delle comete nella nube di Oort, scoprisse il magico pianeta di Papalla e riuscisse a decodificare la stele di papalRosetta, trasformandosi così nel mio carissimo amico PapalEnzo. Ho subito apprezzato il suo modo di comunicare che, nonostante sia semplice e immediato, non rinuncia mai al rigore scientifico e alla correttezza formale. Una cosa, però, mi ha sempre lasciato perplesso... la presentazione che fa di sé nella home page di questo Circolo: troppo sintetica, troppo avara di notizie sulla sua carriera professionale! Visto che la curiosità non mi dava pace, con il pretesto di un invito a cena, gli ho rivolto un po' di domande per conoscerlo meglio. Ecco a voi il risultato... vi presento Vincenzo Zappalà, simpatico e affabile astrofisico in pensione, con una parlantina dirompente e un'adorabile erre moscia!

 

PapalScherzone: Innanzitutto, PapalEnzo, lascia che ti ringrazi per avermi concesso questa intervista! Finalmente ho l’opportunità di approfondire la conoscenza della tua vita professionale e non ho intenzione di sprecarla. Quindi mettiamoci comodi e prendiamoci tutto il tempo che servirà.

PapalEnzo: Il piacere è mio, caro Scherzy. Sai, di solito diffido dei giornalisti (specialmente dei tuttologi televisivi il cui unico scopo è cavalcare gli argomenti di moda senza minimamente preoccuparsi di verificare la validità delle informazioni che divulgano), ma tu sei un amico e risponderò volentieri ad ogni tua domanda… sempre che non sia troppo indiscreto…

P.S.: Ok, messaggio ricevuto! Sono forse troppo indiscreto se ti chiedo di raccontarmi come sei approdato all’Astronomia?

P.E. Non sei per niente indiscreto, te lo racconterò volentieri! La mia storia per arrivare alla laurea e poi all’Astronomia è piuttosto lunga. Finito il Liceo Scientifico a Savona ero davanti ad una difficile domanda, che condividevo con molti altri compagni di scuola: quale Facoltà scegliere? La mia vera passione sarebbe stata Architettura. Mi era sempre piaciuto il disegno ed ero piuttosto bravo (almeno così dicevano i miei insegnanti). Inoltre fin da piccolo ero attratto dalla storia dell’arte, soprattutto quella medioevale e rinascimentale. Il mio pittore preferito è sempre stato Masaccio.

P.S.: Ma senti, non posso crederci… e cosa ti ha fatto (per fortuna!) cambiare idea?

P.E.: Avevo 17 anni e, nel 1962, le occasioni per uscire di casa erano ben più limitate di oggi. Non vedevamo l’ora di essere più liberi e di fare baldoria tra amici (e possibilmente amiche). Io vivevo a Savona e la facoltà di Architettura era a Genova, ad un’ora di treno. Per cui non c’erano problemi a fare il pendolare. D’altro canto, in quel periodo, il Politecnico di Torino era famoso nel mondo e chi usciva da quell’istituto trovava immediatamente lavoro. Era un’ottima scusa per chiedere di frequentarlo. Ma la vera motivazione era un’altra: da Savona a Torino non si poteva fare il pendolare giornaliero. Bisognava vivere a Torino, lontano da casa. Non fu difficile allora rinunciare al sogno e puntare verso una vita libera e “spericolata”.

P.S.: Politecnico di Torino?! Pensavo che tu fossi laureato in Matematica…

P.E.: Un po’ di pazienza, Scherzone mio, dammi il tempo di raccontare… dunque, il biennio fu veramente interessante e arduo, comunque riuscii a finire gli esami nel tempo giusto ed iniziai il triennio. A quel punto le cose cambiarono molto. Mi ricordo soprattutto l’esame di Scienze delle Costruzioni. Lo scritto era sulla teoria dei tensori e presi un bel 30, ma l’orale era principalmente mnemonico. No, non era per me. Rifiutai il 20 che mi era stato proposto e decisi di cambiare Università, ben contento però di avere nel carniere gli esami fatti fino ad allora.

P.S.: Qual è il più bel ricordo che ti ha lasciato l’esperienza al Politecnico?

P.E.: Senza alcun dubbio le lezioni di Analisi 1 del grandissimo prof. Buzzano! Seguii le prime senza capire dove voleva andare a parare. Io pensavo allo studio di funzioni fatte in quinta liceo, ma qui invece si parlava di costruzione della frase, di posizione delle congiunzioni e cose del genere. Avevo forse sbagliato Facoltà? Poi finalmente capii: bisognava prima preparare la struttura del linguaggio per potere affrontare anche le più semplici dimostrazioni. Niente doveva essere ovvio e tutto andava detto nel modo e nel tempo giusto. Non era una ricerca maniacale di perfezione, ma l’essenza pura della matematica: o entri in quella logica oppure è meglio se cambi mestiere! Questa è la vera matematica: una forma di arte intrisa di genio e perfezione stilistica. D’altra parte non potrebbe essere altrimenti, dovendo descrivere con il migliore linguaggio la meravigliosa Fisica della Natura che ci circonda. Del Buzzano mi ricordo anche le stupende lezioni con più di 500 allievi in silenzio assoluto. Le sue non erano dimostrazioni, ma risoluzioni di un giallo di Agatha Christie. Una volta suonò la fine dell’ora prima che potesse dire: “come dovevasi dimostrare”. Ci fu una vera ribellione, non lo lasciammo uscire senza che ci avesse svelato il finale!

P.S.: Incredibile… purtroppo sono davvero pochi gli insegnanti che hanno la capacità di stimolare l’interesse degli studenti in modo così profondo! Scusami per l’interruzione, eravamo rimasti al cambio di Facoltà…

P.E.: Quindi mi iscrissi a Matematica, perché la sentivo più teorica e vicina al mio modo di ragionare: che begli esami Algebra, Geometria superiore, Calcoli numerici. Poi scelsi come esame complementare Astronomia: il professor Fracastoro era un simpaticissimo toscanaccio e presi anche un bel 29. Mi mancavano pochi esami e chiesi la tesi in Astronomia, sulle caratteristiche ottiche dei telescopi a specchio. Il giorno dopo la laurea, Fracastoro mi telefonò a casa e mi disse: “So che devi fare il militare tra pochi mesi e quindi nessuno ti darebbe un lavoro. Perché non vieni all’osservatorio (lui era anche il Direttore) ed elabori la tesi per farne una pubblicazione?” Accettai immediatamente e poi partii per la “guerra”. Quando tornai, ebbi la fortuna che il mese dopo c’era il concorso per Tecnico Laureato all’Osservatorio di Torino. Lo feci e lo vinsi. Da allora non mi sono più mosso. E cominciai subito a fare Fisica dei corpi minori. E poi, via via, arrivai fino all’ordinariato.

P.S.: A questo punto è “obbligatorio” parlare dei tuoi lavori scientifici. Hai all’attivo circa 250 pubblicazioni, ma la tua fama deriva principalmente dagli studi sulle famiglie dinamiche: ci vuoi spiegare cosa sono?

P.E.: Volentieri! Vorrei, però, raccontarti anche la storia della loro scoperta. All’inizio della mia carriera di astronomo, mi misi a studiare e riportare su grafici i dati orbitali del migliaio di asteroidi che, al tempo, erano catalogati (oggi sono più di centomila), in cerca di qualche correlazione. Ad un certo punto mi accorsi che la distribuzione degli asteroidi non era uniforme, ma comparivano delle concentrazioni che non potevano essere frutto del caso: sperai di avere effettuato una nuova scoperta, ma l’euforia si spense quando trovai, nella biblioteca umida e piena di ragni dell’osservatorio, un lavoro di un giapponese che risaliva al 1914 dal titolo “Family of asteroids”, famiglie di asteroidi! Con solo 200 asteroidi a disposizione, aveva tratto le mie stesse conclusioni!

P.S.: Peccato! Magari non avresti vinto il Nobel per quella scoperta, ma sarebbe stata una bella soddisfazione e ti avrebbe dato visibilità nell’ambiente scientifico!

P.E.: Aspetta, aspetta… la storia non è ancora finita, la pazienza non è il tuo forte, vero Scherzy?!

P.S.: Mmmm… no, purtroppo no… continua pure, sono tutt’orecchi!

P.E.: Non sarò stato il primo ad accorgersi dell’esistenza di queste famiglie, ma sono riuscito, circa venti anni dopo, a dimostrare che le famiglie dinamiche erano anche famiglie fisiche, in quanto composte da asteroidi aventi la stessa origine, frammenti di antiche collisioni. Quel metodo, basato sulla velocità relativa degli asteroidi, è ancora oggi universalmente riconosciuto e utilizzato per la definizione delle famiglie asteroidali!

P.S.: Perdindirindina, davvero un grande risultato! E questo metodo è anche stato verificato sperimentalmente?

P.E.: Certo! Furono le osservazioni spettroscopiche a confermare che tutti i membri di una famiglia avevano la stessa composizione chimico-fisica. Ma la più bella conferma fu quella della famiglia di Vesta (vinsi anche una scommessa con un collega americano che aveva accesso ad un grande telescopio, Richard Binzel): non solo riuscii ad individuare una famiglia di piccoli asteroidi staccatisi da Vesta in seguito ad un’antica collisione, ma dimostrai anche che altri frammenti si erano trasformati in NEA (Near Earth Asteroids, asteroidi che attraversano l’orbita terrestre) ed altri ancora (eucriti) erano caduti sulla terra e potevamo analizzarli. In seguito il telescopio Hubble identificò anche l’antico cratere su Vesta. Una bella soddisfazione, non c’è che dire… se ti fa piacere, QUI puoi approfondire i dettagli tecnici di quella ricerca.

P.S.: Una scommessa con un collega americano?! Quindi hai lavorato anche all’estero?

P.E.: Certamente! La prima volta che mi recai negli Stati Uniti era il 1974 e dovevo prendere parte ad un congresso organizzato in occasione della grande opposizione di Eros. Il mio inglese era tutt’altro che perfetto e non ero mai stato in aereo prima. Arrivato all’aeroporto di Tucson, non solo non c’era nessuno a ricevermi, ma l’unica persona presente parlava una slang terribile e non capivo niente… istintivamente mi voltai per vedere se l’aereo avesse ancora la porta aperta per poter salire e tornare a casa!

P.S.: Niente male come inizio… e poi com’è andata?

P.E.: Per fortuna riuscii a raggiungere quel congresso e fu solo l’inizio! La cosa più entusiasmante è stata la collaborazione professionale e l’amicizia con astronomi di punta: grandi scienziati ma anche gran belle persone come, per esempio, Whipple, Oort e Shoemaker (unico uomo ad avere le sue ceneri sulla Luna)… è stato questo forse il premio più appagante della mia carriera.

P.S.: Hai qualche aneddoto da raccontarci su questi tre grandi nomi?

P.E.: Come no! Con Whipple feci amicizia grazie ad una sigaretta che, grazie a me, fumò di nascosto alla sua signora. Con Oort ho condiviso un terribile piatto di spaghetti al tonno (fatto con ingredienti rigorosamente olandesi!) ma a lui piacque moltissimo e la ricetta fu ribattezzata “pasta al tonno di Oort”. Ma i ricordi più emozionanti sono legati a Shoemaker, un uomo solare, sempre allegro. Lo ricordo una volta al Gran Canyon che spiegava gli strati geologici: gli venivano le lacrime agli occhi mentre toccava quelle rocce e diceva “Qui c’è il Giurassico, invece qui passiamo al…”. Sentivi la passione che gli nasceva da dentro… e vedere un uomo così alla buona, semplice che rideva di qualsiasi cosa e pensare che era la mente scientifica delle missioni Apollo… era incredibile! Shoemaker è stato anche protagonista di due episodi che mi hanno lasciato il segno dal punto di vista professionale: il primo si verificò durante un mio seminario al Lowell Observatory sulla famiglie di asteroidi, lui arrivò trafelato a metà del mio intervento, scusandosi per il ritardo e dicendo che non avrebbe mai potuto perdersi ciò che avevo da dire; il secondo avvenne in occasione della celebrazione dei 100 anni dello stesso osservatorio: quando prese la parola al termine del mio intervento, disse che non sarebbe stato possibile per lui parlare dopo di me senza fare una figura mediocre!

P.S.: Perbacco, PapalEnzo, non avevo proprio idea che che tu avessi avuto simili frequentazioni! Ma dimmi… hai mai avuto l’occasione di lavorare all’estero stabilmente?

P.E.: Mi offrirono la direzione del mitico Lowell Observatory, ma rifiutai.

P.S.: Non ci posso credere! E come mai hai rinunciato alla possibilità di trasferirti in un paese in cui i fondi per la ricerca non mancano e le possibilità di carriera per uno scienziato sono enormemente più grandi rispetto all’Italia? Non ti sei mai pentito di questa scelta?

P.E.: Certamente no. Non mi sono mai pentito di niente. Da buon matematico ho sempre preso le decisioni dopo un’attenta lettura logica dei pro e dei contro. Sono stato onorato dell’offerta e forse questo mi è bastato. Ma avevo un gruppo da mandare avanti all’Osservatorio di Torino e ho preferito restare al mio posto. Col senno di poi, vedendo i risultati complessivi e la freddezza ottenuta in cambio, forse ho sbagliato, ma penso che rifarei la stessa cosa. Bisognava tentare e non accettare un facile successo. E poi in Italia si mangia e si beve sicuramente molto meglio!!

P.S.: Meno male… se tu avessi fatto quella scelta, oggi molto probabilmente non esisterebbe l’Infinito Teatro del Cosmo e non ci sarebbe nessuno ad insegnare, a chiunque abbia voglia di imparare, Meccanica Quantistica, Relatività Ristretta, Elettrodinamica Quantistica e chi più ne ha più ne metta! E nessuno conoscerebbe Papalla… mamma mia, non voglio neanche pensarci!!

P.E.: Dai, Scherzy, non esagerare! Così mi metti in imbarazzo…

P.S.: No, no, non esagero per niente!! Ma andiamo avanti: possibile che tu non abbia neanche il più piccolo rimpianto?

P.E.: Direi di no! In fondo ho fatto l’astronomo quasi per caso ed ho ottenuto sicuramente molto. Però, pensandoci bene, forse un rimpianto ce l’ho ed è stato quello di non aver visto volare la missione PIAZZI, proposta all’ASI negli anni ’80 da me con alcuni colleghi pisani. Anche per l’azione di disturbo di alcuni colleghi che temevano di veder ridotti i propri fondi, la missione fu finanziata solo per un succinto studio preliminare e poi abbandonata. La missione doveva dirigersi verso Eros e mettersi in orbita attorno all’asteroide. La spesa sarebbe stata relativamente modesta e l’impresa tutta italiana. Molti anni dopo ci ha pensato la Nasa ad organizzare quella missione…

P.S.: A proposito di asteroidi, mi risulta che ce ne sia uno che se ne va tranquillamente a spasso, insieme a tanti altri, nella fascia principale situata tra Marte e Giove, e si chiama 2813 Zappalà. Cosa mi racconti di lui?

P.E.: Potrei raccontarti che è stato scoperto da Edward Bowell il 24/11/1982 presso il Lowell Observatory e che ha un diametro di circa 37 km... e potrei anche raccontarti di quanto mi abbia fatto piacere che all'inizio del 2016 il mio amico Lorenzo Franco sia riuscito finalmente a determinarne periodo di rotazione e curva di luce (QUI), nonché a confermare che mi somiglia davvero perché ha un po' di pancetta come me! Ma la cosa che mi fa più piacere condividere con te è l'atmosfera che regnava in quel periodo nel mio gruppo di lavoro: eravamo un piccolo gruppo di “pionieri” che lavoravano molto insieme e che discutevano altrettanto spesso anche in modo acceso. Erano tempi in cui non era facilissimo scoprire nuovi asteroidi e quelli numerati e classificati ufficialmente, con tanto di “nome proprio”, erano appena un paio di migliaia. Era, quindi, ovvio, che avere il numero più piccolo (a parità di età anagrafica) era un segno di “anzianità” professionale. Mi ricordo molto bene quanto noi di numero con il "2" davanti, come il sottoscritto (2813), Alan Harris (2929), Ed Tedesco (2882), prendevamo in giro bonariamente i colleghi del DPS di Tucson, Stu Weidenschilling (3639) e Don Davis (3638) che avevano davanti il "3". Ragazzate o poco di più, che finivano con qualche brindisi tutti assieme! Bei tempi, davvero!

P.S.: Ora, caro PapalEnzo, sperando di non essere troppo indiscreto, vorrei parlare un po’ del tuo carattere… Chi ti conosce sa bene quanto tu sia schietto e non disponibile ai compromessi, sicuramente un aspetto di te che un vero amico non può che apprezzare! Mi piacerebbe capire, invece, come questa tua caratteristica abbia influito nella tua carriera professionale. Mettendo vantaggi e svantaggi della tua schiettezza su una bilancia, da quale parte penderebbe?

P.E.: Indubbiamente qualche “problemino” la mia schiettezza me lo ha procurato, ma mi ha anche dato la possibilità di guardarmi ogni mattina allo specchio senza avere vergogna di me stesso. Non sono mai stato favorevole ai compromessi, soprattutto se nascondono la possibilità di ottenere favori. Ho fatto la mia carriera senza dover dire grazie a nessuno, anzi a volte mi sono scontrato proprio con chi mi doveva giudicare. Ma non mi sarei mai perdonato atteggiamenti servili diretti ad un certo scopo. Questa è una delle poche cose che nessuno mi potrà mai confutare. Ho avuto parecchi nemici, certamente, soprattutto quelli che avrebbero voluto dire e fare, ma non ne avevano il coraggio o la sicurezza interiore. Ma ho anche ottenuto stima da quei pochi che hanno capito il mio carattere schietto e sanguigno. Purtroppo non sempre sono stato compreso e forse spesso sono andato oltre le righe. Ma continuo a pensare che sia meglio sbagliare ed osare in buona fede, che nascondersi per non rischiare. I ricordi belli superano e nascondono nettamente quelli più squallidi ed a volte miserevoli. Ognuno ha la propria coscienza e la stima non si compra.

P.S.: Parole sante, amico mio… e puoi raccontarmi un caso in cui un’amicizia è nata dopo uno “scontro frontale”?

P.E.: Volentieri! Durante l’assemblea generale dell’Unione Astronomica Internazionale di Patrasso (1982 se ben ricordo) mi sono scontrato apertamente e senza mezzi termini con Burns, l’editore in capo di Icarus (rivista americana di riferimento per i planetologi), e con il collega Alan Harris, accusando il primo di scegliere referee (le persone incaricate dalle riviste scientifiche di leggere i lavori proposti e dalle quali dipende o meno la loro pubblicazione) soltanto americani ed il secondo di non aver citato correttamente un paio di lavori fatti con i colleghi pisani. Fui il solo a parlare (gli altri aspettavano il risultato in silenzio). Fui anche molto pesante e deciso, malgrado il mio inglese non fosse proprio oxfordiano. La conclusione fu che da quel giorno i referee europei divennero un obbligo e che Harris divenne molto attento alle citazioni. I contatti rimasero comunque più che buoni e con Harris ci siamo visti molte volte per scorribande eno-gastronomiche. Anzi, alcuni anni fa, dopo una splendida cena a casa di amici italiani (e forse con qualche bicchiere di troppo) mi si avvicinò e mi disse senza preamboli: “Ti ricordi di Patrasso? Ebbene, devo ammetterlo: avevi proprio ragione e mi scuso del mio precedente comportamento”. Grande gesto di umiltà culturale e di amicizia!!

P.S.: Sì, davvero un gran bel gesto! Ma ora vorrei parlare della tua passione per la divulgazione: sicuramente il tuo esempio costituisce un’eccezione alla “regola”, in cui molti tuoi colleghi credono, secondo la quale i divulgatori sarebbero ricercatori falliti… personalmente ritengo che sia solo una scusa per nascondere la loro mancanza di volontà e/o di capacità di divulgare, una cosa è “sapere”, tutt’altra cosa è “sapere insegnare ciò che si sa”!

P.E.: Io tengo moltissimo alla divulgazione, anzi la trovo essenziale… ma quella vera! Spesso si fa una sottospecie di divulgazione cercando di dimostrare quanto si è bravi e preparati. La conclusione è che gli uditori finiscono col dire: “Che grande scienziato! Non ho capito niente, ma deve essere molto bravo”. La divulgazione deve invece stimolare chi ascolta a sentirsi all’altezza e, di conseguenza, a cercare di approfondire da solo gli argomenti sentiti. Il miglior complimento per un buon divulgatore dovrebbe essere: “Accidenti, ho capito tutto. Ma allora non sono così ignorante“. Eppure pochi conferenzieri lo fanno, temendo di sentirsi sminuiti. L’importante è anche presentare soltanto pochi concetti, con tante figure e ripetere le spiegazioni anche due o tre volte. Un altro punto essenziale è relativo agli errori “veniali”: per rendere più semplice il concetto, io sono convinto che non sia negativo semplificare le cose, anche inserendo qualche lieve inesattezza. L’importante è che alla fine il concetto base sia compreso: meglio una visione semplice (e non certamente sbagliata) che una confusione senza alcun legame logico!

P.S.: E così, un discorso dopo l’altro, caro PapalEnzo, siamo arrivati a sfiorare l’argomento “insegnamento” e non posso fare a meno di chiederti cosa pensi dell’attuale sistema formativo italiano…

P.E.: Tasto dolente, amico mio… ritengo che negli anni ’60 i nostri Licei e Facoltà fossero i migliori del mondo: formavano persone con una vasta cultura generale (fondamentale per capire sempre dove e come inserire la propria specializzazione) e davano lo stimolo a tirare fuori il meglio di sé. Purtroppo non si muoveva parallelamente la ricerca istituzionale. Sembrava un lusso che il paese non poteva permettersi. Molti scappavano all’estero (non è cosa solo di oggi …) o vivacchiavano con misere risorse. Ma comunque era ancora vivo lo spirito italiano più vero, quello che ci ha dato Leonardo, Galileo, Fermi. Bastava una matita o un gesso sulla lavagna. Mi ricordo quando le prime foto del Voyager 2 sono arrivate in Europa, i colleghi americani temevano di darci i dati, perché sapevano che noi italiani avremmo fornito spiegazioni immediate basate su una visione di ampio respiro, mentre loro avevano bisogno di fare girare i programmi dei computer prima di provare a esprimere un’opinione!

P.S.: E poi cos’è successo?!

P.E.: Poi, purtroppo, l’Università si è portata verso i modelli americani, guardando soprattutto al ritorno economico. La cultura di base è scemata e l’uso della matita e del gesso è scomparso. Siamo diventati tutti amanti del computer, della pagina scritta perfettamente, delle figure impeccabili. Chi vede oggi un giovane ricercatore con una matita ed un foglio? Nessuno. Io mi ricordo che quando andavo a Pisa per collaborare con i colleghi dell’Università, a volte, passavamo due o tre giorni a parlare e fare ipotesi anche assurde. Si chiacchierava a ruota libera davanti ad una lavagna. Ma alla fine qualche idea buona veniva e si poteva allora cominciare ad usare il computer. Oggi si fa il contrario. E poi c’è stato il “boom” del ritorno tecnologico. La ricerca pura sembra non servire più a niente, bisogna produrre e subito. Ma è assurdo! Senza ricerca di base non si costruisce niente. Ma chi decide l’assegnazione dei fondi non riesce a capirlo sia per incapacità culturale che per interessi economici. E stiamo perdendo il nostro punto di forza che ci rendeva un po’ speciali. La nostra grande forza, da tutti invidiata, era la cultura generale e la logica. Oggi purtroppo le stiamo completamente perdendo. E questi ricercatori saranno i professori di domani e temo che si sia entrati in un cerchio senza uscita. Peccato!! Purtroppo però questo è un problema mondiale e non solo italiano. La scienza con la S maiuscola è chiaramente in calo, almeno per quanto riguarda la Fisica e l’Astronomia.

P.S.: Interessante il tuo pensiero sulla cultura generale… ritieni davvero che possa costituire un valore aggiunto per un uomo di Scienza? Conoscere la Divina Commedia o saper riconoscere la prospettiva negli affreschi rinascimentali può davvero aiutare la ricerca scientifica?

P.E.: Sai, caro Scherzy, sono fortemente convinto che, prima di essere scienziati si debba essere essere veri uomini! Ho sentito scienziati chiamare l’Acropoli una rocca semidistrutta, ne ho visti altri continuare a parlare di lavoro nella Cappella degli Scrovegni di Giotto, senza degnare di uno sguardo le pareti… come si può pensare che questi siano veri scienziati? Saranno preparatissimi nel loro limitato campo d’azione, ma sono uomini falliti! D’altro canto, ho conosciuto grandi persone tra vignaioli e operai in tuta: ne ho visto uno al Carmine di Firenze che, prima di andare a casa, si godeva in silenzio gli affreschi di Masaccio… chi è tra loro il vero intellettuale, ossia quello che sa usare meglio il proprio intelletto?!? La mia passione per l’arte non ha mai ostacolato la mia modesta ricerca scientifica, né penso l’abbia sminuita. Sapessi quante volte una cultura più vasta mi è stata utile per risolvere problemi di pura Fisica o Matematica!

P.S.: Condivido in pieno, caro PapalEnzo! Ma ora dimmi… hai avuto aiuti concreti da colleghi più esperti nel tuo percorso professionale o hai dovuto darti da fare da solo?

P.E.: Nessun aiuto… in tutta sincerità, devo ammettere di avere a volte invidiato i ragazzi che arrivavano in Osservatorio e sapevano già cosa fare e cosa leggere, seguiti dai colleghi più anziani. Ma penso anche che gli sforzi che ho compiuto da solo siano serviti molto per prendere sicurezza in me stesso e non aver paura di affrontare gli uditori anche più prestigiosi. A volte i problemi ti aiutano. Quando ero bambino, ero terribilmente balbuziente. Avevo paura di entrare in un negozio e chiedere, perché temevo di non essere in grado di iniziare la frase. A scuola ero spesso preso in giro, come è ovvio, e mi creavo molti problemi, ma avevo anche tanta voglia di superare quello scoglio. Sono stato portato da specialisti, ma nessun rimedio significativo. Andando a studiare a Torino qualcosa si è sbloccato, mi sono sentito uno fra tanti che non conoscevano ancora il mio problema di linguaggio e sono riuscito prima a nasconderlo al meglio e poi a superarlo. Questo fatto mi ha sicuramente molto aiutato nel non avere paura di parlare ai congressi: era sempre una specie di sfida che vincevo e che mi dava profonda soddisfazione. Forse senza la pregressa balbuzie avrei subito come moltissimi l’ansia da pubblico. Per me invece non è mai esistita: più persone ci sono, più esperti ci sono e più mi sento stimolato a parlare senza tentennamenti.

P.S.: Grazie, PapalEnzo, per avermi raccontato così tanti aspetti della tua vita e del tuo carattere! Ma consentimi un’ultima domanda, sempre che tu non la ritenga troppo indiscreta: come vivi l'attuale fase della tua vita?

P.E.: L'ultima parte di una vita è sempre un periodo piuttosto critico... anche le stelle lo dimostrano. E' fatta di alti e bassi, di momenti di gioia e altri di depressione. Ultimamente, poi, ho avuto grossi problemi familiari che, fortunatamente, si sono risolti bene. Da un lato mi hanno dato energia, ma dall'altro hanno un po' intaccato la capacità di essere sereno e di affrontare le situazioni con la giusta logica e razionalità. Fondamentale è stato ed è questo "circolo" che mi dà una ragione per essere ancora utile e perché mi dimostra che vi è ancora gente (poca, purtroppo) capace di ragionare con la propria testa, di non avere paura delle difficoltà intellettuali, di sapersi mettere in gioco e che ha ancora dei valori chiari e nitidi. Li sento un po' tutti figli miei, a parte l'età anagrafica... E tutto ciò mi riempie di gioia, perché so che potrà continuare anche dopo di me. A parte la tristezza e la melanconia, questo circolo mi dà continuamente lo stimolo di studiare, di ricordare, di approfondire. Gli esami non devono finire mai e a volte penso che, se avessi tempo, comincerei con un nuovo filone di ricerca. Adesso, ad esempio, mi sono convinto che l'intelligenza degli animali sia sempre stata sminuita per arroganza tipica della specie umana. Vorrei dedicarmi a studi seri e a letture estensive. Poi mi accorgo che è solo un sogno e, allora, mi limito a dedicare loro molto tempo e a regalargli molto affetto che è spesso ricambiato senza alcuna richiesta di un ritorno basato su interessi personali. E' amore puro, come quello che sento per l' Universo  e per chi vuole veramente capirlo e farne parte. Grazie, PapalScherzone, per avermi dato modo di esprimermi fuori dalle righe e per dare sempre un tocco di ironia a questo mondo che attraverso una finta serietà o una becera allegria cerca di trovare, inutilmente, la migliore ragione per convincersi di essere il migliore.

P.S.: Grazie a te, PapalEnzo, grazie di cuore...e non solo per l'intervista!

 

QUI trovate i libri scritti da PapalEnzo, QUI i racconti di fantascienza del suo alter-ego Vin-Census e QUI la telenovela a puntate della sua avventura da astro-enologo

16 commenti

  1. È stato bello leggere questa intervista,per noi è importante conoscere meglio il Deus ex machina di questo sito.Personalmente dopo avere letto con molto interesse l'articolo,mi sento un pochino intimidito,perché ne viene fuori il ritratto di una persona molto intelligente e forte,tanto da potersi permettere di essere "umile e diretto",Ho letto qualcosa sul carattere di quel folletto di Feynman e di Wheeler gente geniale ma dalla personalità amabile .Sono in sintonia con te Enzo,sicuramente la mole di conoscenze è così grande ormai che la specializzazione dello specialista è inevitabile,ma se parte da una base ampia e multidisciplinare,riuscirà meglio ad avere comunque una visione d'insieme più elastica,e poi mi si perdoni la divagazione,una donna non si innamora mai del meccanico o del ragioniere,ma delle qualità che trasmette l'uomo a trecentosessanta gradi.per quanto riguarda le tue ricerche sul l'intelligenza degli animali,ti seguirò (col mio passo),ho visto qualche tempo fa una serie di documentari di uno scienziato inglese sulla sensibilità delle piante,da rimanere sbalorditi! 8)

  2. PapalScherzone

    Sono felice che tu abbia apprezzato l'intervista, Gianni, e che ne abbia compreso lo scopo!

    Comunque ti garantisco che PapalEnzo non potrebbe mai incutere timore, fidati!   :wink:

  3. caro Gianni,

    dice bene Papalscherzone... Io ho avuto la fortuna di fare un lavoro di ricerca, di conoscere molta gente all'estero e di essere pagato per studiare. Dovevo, perciò, cercare di fare tutto al meglio, senza lasciarmi andare a compromessi più o meno umilianti (che ci sono sempre dappertutto). Penso di aver dato il mio piccolo contributo, ma senza perdere dignità e sapendo riconoscere i miei limiti. Oggi, cerco di restituire ciò che ho avuto la fortuna di imparare... Niente di speciale, solo un giusto bilanciamento di dare e avere... :wink:

  4. Mario Fiori

    Caro Gianni e cari tutti gli altri (a parte chi lo ha già visto), anche solo per un attimo ma dovete "toccarlo con mano" il Nostro Enzo ed incontrerete uno Scienziato travolgente e coinvolgente ma mai arrogante.

    Grande Enzo sono con te anche per gli animali ed aspetto una tua intervesta..agli amici ricci.

  5. PapalScherzone

    Un'intervista agli astericci?!?!  8-O

    Mica male come idea, caro Mario... se PapalEnzo facesse da interprete, sarebbe interessante farsi raccontare cosa provano, come passano le loro giornate, quali rapporti hanno con i loro simili e con gli altri amici animali e, sopratutto, cosa pensano dei terricoli e della loro intelligenza superiore!!

    Mumble, mumble...  :wink:

  6. intanto ringrazio Mario per le splendide parole che mi danno una grande gioia per essere riuscito a essere me stesso, come sempre.

    Riguardo ad astericcio... ho una mezza idea. Quello che vorrebbe fare Scherzy gira in testa da parecchio anche a mia figlia Barbara... (e lei se ne intende di ricci, dato che davanti a lei non scappano mai...). Chissà se posso chiedere una collaborazione tra lei e Scherzy?

  7. PapalScherzone

    Io ci proverei...  :-D  :wink:

  8. Alexander

    Prima di un grande uomo di scienza sei un grande uomo! Anche un gran combattente! L'intervista è stata proprio una bella idea... doveva però essere più lunga!  :wink:

  9. PapalScherzone

    Più lunga 8-O  ?!

    E io che pensavo di avere esagerato! Vorrà dire che gliene farò un'altra... spero solo che non si monti la testa!!!   :mrgreen:  :-P

     

  10. caro Scherzy... guarda che io non metto mai la testa sul comodino alla sera. Per cui è impossibili che me la "monti" alla mattina!

    Battutona!!!!!!!! :roll:  :mrgreen:

  11. peppe

    mi piace cosa sta diventando questo circolo sempre di più

  12. Eh sì Peppe stiamo diventando un bel gruppetto... :-P

  13. Alberto Salvagno

    Non conosco la figura del "tecnico laureato". Come è visto all'interno della comunità scientifica? Un semplice sotterfugio per entrarci comunque alla pari (e con uno stipendio) o come un garzone di bottega che dovrebbe allestire gli esperimenti dei sacerdoti?

  14. Non esiste più... ma -teoricamente- era qualcuno addetto alla parte tecnologica, ma, in realtà, un modo per entrare comunque nei ranghi con uno stipendio un po' inferiore ma con gli stessi diritti di carriera. Non per niente divenni professore associato direttamente...

  15. Alberto Salvagno

    Grazie e complimenti

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