10/02/21

La Vera Storia di Vin-Census (26): LA FONTANA DEL VULCANO (NEL CUORE DEL SOAVE)

Il presente articolo è stato inserito nella sezione d'archivio Pianeta Terra

 

Avete presente quei film in cui il protagonista vede avverarsi ciò che desidera come nel più bello dei suoi sogni e, proprio sul più bello, si sveglia e si rende conto che è stato solo un sogno? Ecco… di solito in quei film il finale riserva al protagonista deluso l’immancabile sorpresa. Anche questo “film”, scritto da Vin-Census e basato su una sua esperienza reale, ci riserva una sorpresa. Ma la vera sorpresa è che il finale non lo conosce neanche lui.

Caro Vin-Census, non ti avevo fatto promesse, se non che ci avrei provato. Ebbene, ci ho provato e il risultato è andato oltre le mie più rosee aspettative. Ma non è merito mio… leggi fino in fondo e capirai!

 

La Fontana del Vulcano (nel cuore del Soave)

(Vin-Census Zappalà - 19/11/2009)

Un soggiorno nel cuore del territorio dove si produce il Soave, uno dei più grandi bianchi italiani e non solo, è sempre emozionante. Il fascino e la suggestione sono enormi e possono anche giocare strani scherzi. Quando lo visiterete non meravigliatevi perciò se tra le rocce vedrete e sentirete lo scroscio di una sorgente. Mantenete però il segreto!


Superata l’uscita di Verona Est, l’autostrada Serenissima si avvia abbastanza monotona verso Vicenza. Ben presto però l’occhio viene catturato da una visione quasi magica che riporta al medioevo: sulla cima di un colle un turrito castello apre le sue braccia di pietra avvolgendo con le mura merlate la cittadina di Soave. Se non si ha fretta si “deve” uscire al casello e correrle incontro. Le stradine silenziose, i vetusti palazzi accolgono il visitatore con serenità e gentilezza. Sarà ovviamente facile capire, per i pochissimi che ancora non lo sanno, che Soave è terra di un grande vino bianco, dai profumi delicati e sfumati, ma dalla mineralità quasi tattile. Com’è possibile che quelle dolci colline, su cui poggia discreto il gioiello architettonico, possano produrre un bianco così sapido e tagliente al pari di un rasoio? Un vino che migliora anno dopo anno e si completa trasformandosi lentamente in una lama metallica complessa ed articolata sì da competere, se non addirittura superare, i ben più blasonati cugini di Francia e Germania.

Per comprenderlo bisogna affrontare le stradine ripide e nervose che si inerpicano e si attorcigliano come serpenti sulle colline che cercano di competere con i più lontani Monti Lessini. Quasi timorose di mostrarsi, esse rimangono nascoste alla vista, celate dai primi morbidi declivi. Ma quanta differenza rispetto alla pacifica apparenza che si ha dall’autostrada! I crinali sono ripidi e scoscesi, le forme quasi appuntite ed il terreno scuro e tenebroso. Roccia e sabbia mettono a nudo la loro vera natura di origine vulcanica, dove la lava ha modellato le strutture geologiche più ardite. Blocchi di duro basalto si abbracciano alla pomice che si sgretola e si insinua in profondità. I picchi più alti mantengono ancora l’aspetto originario: coni vulcanici che si sono divertiti a giocare a chi arrivava più in alto, elevandosi sopra le colate di fuoco che provenivano dai monti lontani, di cui gli straordinari pesci fossili di Bolca (non si può perdere la visita al museo del paese!) raccontano l’epica storia biologica e geologica.

Quei colli contorti sono fasciati di vigne di garganega, mentre le radici continuano a lottare impavide contro gli strati duri e severi che cercano inutilmente di ribellarsi alla loro invasione. Una battaglia aspra, titanica, che permette alle viti di risucchiare nei propri acini la forza dei vecchi vulcani. Com’è suggestivo addentrarsi in quel paesaggio aspro e meraviglioso e come sarebbe bello se i turisti non si fermassero soltanto tra le protettrici mura di Soave, ma venissero ben più numerosi a toccare con mano la vera essenza del grande vino. Aspettiamo con ansia che le Strada del Soave ne sia all’altezza e possa guidarli con le giuste segnalazioni tra le cantine dei produttori che si annidano tra le colate di lava, rivestite dalle verdi foglie di vite e dai grandi boschi. Ad una natura vivace, tesa e scalpitante risponde un vino di pari splendore.
Tutto è normale allora? Ogni cosa è prevedibile e senza segreti? Può darsi…

Tuttavia durante la mia ultima visita a questo straordinario mondo di storia, arte, cultura, duro lavoro e nettare prodigioso, ho avuto qualche dubbio. Prima delle splendide serate di Soave Versus, l’annuale riuscitissima manifestazione che mette in passerella i più grandi soave, quei declivi di scontrosa ed orgogliosa bellezza cominciarono ad insinuarmi un’astrusa idea in testa. Il terreno sconvolto dall’antica violenza geologica sembrava quasi che mi sorridesse sardonico. Era veramente tutto finito da milioni di anni? O esisteva ancora una forza nascosta, irruenta e vitale? E più sorseggiavo quel nettare così minerale e sempre più ne sentivo la fratellanza ed il legame con quel suolo sconvolto dall’attività sotterranea. Ma era solo somiglianza o qualcosa di più? Il tempo passava, ma l’aria stessa così misteriosa, le mezze frasi dei produttori, certi loro sorrisi, i profumi invitanti, delicati e ruvidi allo stesso tempo, mi celavano forse un segreto da conservare e mantenere gelosamente. Uomini, natura e vino avevano un legame troppo profondo, una simbiosi che non poteva spiegarsi semplicemente con il duro lavoro di vigna. L’idea che mi era balenata stava ormai diventando una vera ossessione.

E così a notte fonda tornai tra i coni vulcanici, aggirandomi a caso tra le loro misteriose ombre modellate dalla luce della Luna. Il senso di timore e rispetto, la paura di invadere un regno che stava vivendo un ciclo misterioso mi facevano sobbalzare ad ogni lieve rumore. Ma dovevo sapere e continuai a perlustrare. E venni premiato. In una valletta seminascosta notai un fioco lume e tante persone attorno, silenziose ed operose. Avevano con loro vetusti carri tirati da cavalli ed enormi contenitori che stavano sicuramente riempiendo di “qualcosa”. Da una piega della roccia, contorta e tagliente, sembrava sgorgasse una sorgente incandescente. Ma non era lava, era molto più diluita e chiara. Essa veniva velocemente incanalata nei serbatoi, dove si raffreddava, mentre i carri si dirigevano verso le cantine.

Compresi tutto, o almeno così mi sembrò. Quel liquido proveniva dalle rocce più profonde ed era limpido e cristallino, un vero estratto di pietra e di vigore geologico. Si, era proprio lui, il Soave!! Ecco perché quegli strani sorrisi, quegli ammiccamenti, quei profumi e quegli aromi così profondi. E chissà quante altre fontane si celavano tra i vulcani dormienti… Era già l’alba quando finalmente rimasi solo e potei correre verso la sorgente misteriosa. Arrivai trafelato e smanioso di vedere e di sentire. Niente, assolutamente niente! Vi era solo roccia e sabbia nerastra. Cercai inutilmente… Possibile che avessi solo sognato o mi fossi inebriato con troppi bicchieri? Sicuramente si. Me ne andai a letto un po’ frastornato e sconsolato. Che sciocco ero stato e che stupide fantasie mi avevano assalito. In fondo però era meglio così: il vino deve nascere dall’amore e dalla sana e dura battaglia tra uomo e natura.

Mi svegliai riposato e sereno. La giornata era senza nuvole ed ammirai nuovamente quei meravigliosi colli, quelle vigne, quelle case semi-nascoste. Tuttavia, quel paesaggio lo sentivo diverso, più amico, più vivo rispetto al giorno precedente. E mi venne naturale strizzare un occhio verso gli antichi vulcani. Appena voltato mi sembrò di udire un tuono, una specie di rauca risata, un ghigno intriso di allegria e potenza. Accidenti, che strani scherzi può fare la suggestione…

 

SOLO SUGGESTIONE?  LA PAROLA ALL'ESPERTO...

 

Soave Natura

(Guido Ghezzi - 8/2/2021)

Tutto ciò che la Natura presenta al nostro sguardo quando lo si lascia vagare per il paesaggio, è il risultato di due ingredienti. Sembra quasi impossibile vista la varietà che si presenta ai nostri occhi, eppure è così.

I due ingredienti sono la geologia dei luoghi, frutto di un incessante lavorìo di centinaia di milioni di anni, e l’operato dell’uomo, al massimo spalmato su un paio di migliaia d’anni o poco più.

La composizione delle rocce dipende dalle condizioni della loro genesi e dalla successiva storia, che nella maggior parte dei casi non è stata proprio tranquilla: una roccia può essersi formata da magma raffreddatosi lentamente a grande profondità e poi trascinato in superficie dall’azione inesausta di forze immani, dovute all’irrequietezza della crosta che poggia su un ancor più irrequieto mantello, a sua volta messo in subbuglio dal calore interno che sempre cerca il modo di disperdere la sua energia. Ma non basta, il mosaico di enormi tessere che compone la crosta terrestre mai trova pace ed è un continuo avvicendarsi di fare e disfare. Ora si apre un fondale oceanico e lì si forma un settore di crosta neonata, ora due tessere collidono, una soverchia l’altra che resiste fino all’ultimo e le spinte fanno innalzare una catena montuosa, altrove invece un vecchio fondale vien spinto verso una massa continentale e, come se ormai volesse ritirarsi dalla scena, se ne scorre al di sotto verso il mantello. E il mantello, vorace, lo divora, lo liquefa, lo annienta per reimpiegarne la sostanza in futuro, forse a formare nuova crosta.

Intanto in superficie intere montagne vengono consumate dall’acqua, riportate nelle profondità marine sotto forma di ciottoli e fango che formeranno nuove rocce; fiumi cambiano direzione seguendo il gioco della gravità e delle mutevoli pendenze, intere valli si colmano di sedimenti, le dita di ghiacciai e torrenti altre ne scavano. Mari si disseccano lasciando bacini velati di sali su cui i venti depongono dune silicee, poi nei bacini tornano a sfogare nuovi fiumi e riappaiono nuovi mari.

In quest’immensità di tempo la chimica fa i suoi giochi di prestigio: ossida e discioglie, ionizza e ricombina, trasforma i minerali, talvolta ne cambia appena l’abito, talaltra ne sconvolge l’architettura più fine, seleziona elementi, li sposta, li forza a strani connubi, si diverte in ardite e rare metamorfosi.

Tutto questo accade ogni giorno, ogni ora, ogni minuto sotto i nostri piedi e davanti ai nostri occhi ma il bello è che non ce ne accorgiamo se non nei rari momenti in cui un vulcano erutta o un sisma ci scuote. Su questo grande palco l’uomo s’agita, traffica instancabile, costruisce, spiana, gratta, rovista e mette in scena la sua storia come se tutto l’intorno fosse immutabile.

Tra le tante altre attività coltiva balze e pendii, ara i terreni, ne studia l’esposizione ai raggi solari, e infine prepara lo scavo per mettere a dimora le piante di vite. Ma non tutti i terreni sono uguali e ogni vitigno ha le sue preferenze, come ogni altra pianta. Ogni suolo ha la sua marchiatura chimica perché esso è figlio delle rocce che ricopre e quelle rocce sono figlie della storia geologica del luogo. Così ogni acino d’uva racchiude milioni e milioni di anni in cui la Terra ha lavorato ed il sapore, l’aroma del vino che se ne estrae origina da questi addendi.

Gli aromi del Soave provengono dalla regione prealpina veneta, una balconata stretta tra la catena dolomitica e la padana orientale. Ma milioni di anni fa la geografia di questi luoghi era così?

Non proprio. 95 milioni di anni fa le cose erano molto differenti. Le terre emerse erano raggruppate in due insiemi distinti, due super-continenti (Laurasia a nord e Gondwana a sud) separati da un oceano nastriforme sviluppato in senso longitudinale, la Tetide (fig. 1). La Tetide aveva i bordi irregolari, segnati da anse, diramazioni e golfi. Una propaggine del bordo settentrionale della Tetide, un sub-oceano o un mare poco profondo, s’insinuava tra i due super-continenti nel settore compreso oggi tra l’Europa centro-occidentale e il lago d’Aral.

Fig. 1: I due super-continenti Laurasia e Gondwana separati dall’Oceano della Tetide. Nel riquadro la posizione approssimativa del sub-oceano o mare poco profondo dove si formarono i grandi depositi di calcari organogeni.

Per 30 milioni di anni sul fondo di questo sub-oceano si depositarono metri e metri di sedimenti formati dai resti organici della vita che pullulava in quelle acque (resti prevalentemente calcarei: gusci, valve, esoscheletri) e da fanghi argillosi portati dalle correnti. Si formarono così le rocce calcaree ricche di microfossili e fossili, soprattutto bivalvi, che oggi emergono a nord-ovest di Soave, con passate argillitiche. Qui i terreni calcarei, porosi, offrono un buon drenaggio, che alla vite fa comodo, e i livelletti di minerali argillosi, gli antichi fanghi marini, rendono fertile il suolo e calibrano in modo caratteristico le caratteristiche organolettiche dei vini.

La tranquillità del mare poco profondo iniziò ad essere turbata 65 milioni di anni fa da un evento importante, che ancora oggi continua a svilupparsi: l’apertura dell’oceano Atlantico meridionale (fig. 2).

Fig. 2: Inizia l’apertura dell’Atlantico meridionale, i lembi sudamericano e africano si separano lungo la linea rossa. La placca africana viaggia verso est e ruota in senso antiorario iniziando a chiudere la Tetide occidentale.

Una parte del Gondwana (che potremmo individuare nella placca africana) venne spinta verso est e il mare poco profondo, compresso tra due enormi masse continentali, iniziò a restringersi. Il suo fondale, composto da rocce più dense, fu spinto a scorrere sotto la placca africana e scivolò piano piano a oltre 70 km di profondità. E’ l’inizio della drammatica chiusura della porzione più occidentale della Tetide, che porterà nell’arco di poche decine di milioni di anni allo scontro titanico che solleverà le Alpi.

Parte dell’energia compressiva scatenò una risposta termica, favorendo la formazione di imponenti catene vulcaniche marine e copiose effusioni basaltiche che ricoprirono in buona parte i calcari del fondale, parte di esse avvennero anche in superficie. Il fenomeno andò via via affievolendosi fino a 23 milioni di anni fa, quando le effusioni cessarono quasi del tutto (fig. 3).

Fig. 3: Il serraggio della Tetide occidentale si è concluso, l’Atlantico meridionale è ormai aperto mentre il mare poco profondo è scomparso, sovrascorso dalla placca africana, al suo posto si ergono le Alpi. Nell’immagine si suggerisce anche una delle glaciazioni recenti.

I basalti e le vulcanoclastiti oggi affiorano sui fianchi della Val d’Alpone e subito ad est e a nord di Soave (fig.4). In alcuni punti ve ne sono spessori di oltre 400 metri, intercalati da brandelli calcarei fossiliferi (nummuliti, gasteropodi e bivalvi ma anche mammiferi acquatici e palmizi).

Fig. 4: Schema geologico-geomorfologico semplificato della zona di produzione del Soave.

 

La vite oggi fruttifica su questi suoli vulcanici variamente colorati e quasi traduce nel proprio vigore la forza naturale dell’antica storia geologica, donando vini intensi, pieni e fruttati.

Insomma il vino scaturisce invero dalla roccia, ne sublima la storia e la offre allo spirito sensibile.

 

 

La storia geologica del Soave continua QUI

 

QUI trovate i libri scritti da Vincenzo, compreso "Vini dell'altro mondo" che descrive l'eNoica avventura di Vin-Census nella galassia di Andromeda. QUI la telenovela a puntate della sua vera storia, QUI i suoi racconti di fantascienza e QUI un'intervista al Prof. Zappalà

5 commenti

  1. Oh perbacco! Oh perbaccolina!! Ma questa è una grande sorpresa, estremamente piacevole.... Vorrei solo sapere se il bellissimo articolo di Guido è arrivato per puro caso o, magari, sotto la spinta del solito Scherzy? Questa volta, comunque sia, lo perdono di vero cuore e lo ringrazio, così come ringrazio il nostro grande Guido!!!

  2. PapalScherzone

    Più che una vera e propria spinta, è stata sufficiente una leggera spintarella e Guido, come sempre, ha dato il meglio di sé...

    8) :-P :mrgreen:

  3. Tra parentesi... proprio in questi giorni, causa una terribile crisi di astinenza, mi sono fatto spedire del fantastico soave classico da carissimi amici produttori (posseggono proprio un piccolo vulcano (spento... forse)) e lo sto centellinando insieme a mia figlia, alla faccia del Covid (sembra che il soave vulcanico crei anticorpi potentissimi!). Tutto torna perfettamente... Non posso certo parlarne apertamente, ma chi fosse interessato ad avere le coordinate di questo sublime nettare geologico e umano mi può scrivere in privato. Non se ne pentirà, glielo assicuro!! :-P

  4. Il caro Guido... che grande acquisto per tutti noi!!! :-P

  5. Guido

    Buongiorno, son contento che ti sia piaciuto, Enzo. L'invito di Scherzy è stato per me un grande piacere e poi, trattandosi di vino, l'ho accolto con ancora maggior entusiasmo (in memoria dei divertentissimi - e faticosissimi - giorni in cui da ragazzo vendemmiavo, schiacciavo l'uva nelle botti e poi, a tempo debito, si spillava il "primo" e poi si torchiava fino all'ultimo graspo).

    E poi, si sa, tra geologi e vino c'è sempre stata una certa "simpatia"....

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