16/11/15

La nube di Opik e l’onestà scientifica **

I tempi della ricerca sono cambiati più in fretta di quanto non sembri. Vorrei raccontarvi una storia vera, legata alla nascita della Nube di Oort o, forse molto meglio, della Nube di Opik-Oort. Al di là del nome, un pezzo di vita scientifica relativa a più di 60 anni fa che mi ha insegnato e può insegnare a tutti molte cose, ormai dimenticate.

Oggi, per moltissimi, è ormai considerata un classico, benché non vi sia ancora nessuna prova osservativa a riguardo. Sto parlando della nube detta di Oort, anche se la sua “creazione” è più complicata di quanto non sembri. Rileggendo vecchie pagine, raccontatemi personalmente da un paio dei diretti interessati, sento un po’ di nostalgia dei bei tempi andati.

I personaggi del racconto sono tre: Ernst Julius Opik (1893 – 1985), Jan Oort (1900-1990) e Fred Whipple (1906 – 2004). Ciascuno ha al suo attivo scoperte astrofisiche non indifferenti e basterebbe citare per Opik la determinazione della densità delle nane bianche e il calcolo della più precisa (fino a quei tempi, 1922)  distanza della galassia di Andromeda; per Oort la descrizione della rotazione differenziale  galattica (1927) e – soprattutto- lo “spostamento” del Sole dal centro della Via Lattea fino a quasi 30 000 anni luce da quel punto, in periferia (sembra impossibile che siano passati così pochi anni…); per Whipple la celeberrima definizione delle comete come palle di neve sporca.

Non ho conosciuto il primo, abbastanza bene il secondo e sono diventato addirittura amico del terzo (come ho raccontato QUI). Bene, la vera storia della nube cometaria parte nel 1923, quando Opik pubblica un articolo diretto essenzialmente ai meteoroidi (i corpi che causano le meteore) e non direttamente alle comete, anche se in pratica sono cose strettamente legate.

Il titolo del lavoro non rendeva giustizia della scoperta che poteva contenere: “Note on stellar perturbations of nearly parabolic orbits”, pubblicato su una rivista ben poco conosciuta, Proceedings of the American Academy of Arts and Sciences, nel 1932. A quei tempi  si pensava che il Sistema solare avesse un’età di soli tre miliardi di anni, comparabile con quella dell’Universo, e i calcoli delle perturbazioni causate dalle stelle vicine sulle orbite quasi paraboliche di meteoroidi non poteva essere molto esatta. Tuttavia, egli dimostrò che una nube di cometoidi o meteoroidi, che dir si voglia, poteva restare praticamente indisturbato sotto l’influenza del Sole, durante la sua vita, fino a circa  1 000 000 di Unità Astronomiche. Ipotizzò , quindi, una enorme nuvola di piccoli corpi celesti, inseriti ai limiti  dei confini dinamici del Sistema Solare.

I numeri non potevano essere corretti, ma le basi del calcolo e le conclusioni relative ai dati in possesso sono ancora perfettamente validi. Il vero limite è oggi stimato in 100 000 Unità Astronomiche, ma il concetto era più che logico. Opik derivò la sua teoria ipotizzando che le orbite dei meteoroidi di tipo iperbolico dovevano essere dovute a errori di misura e che ci si trovava di fronte a traiettorie molto ellittiche, quasi paraboliche, che dovevano spendere gran parte della loro vita all’afelio, muovendosi molto lentamente e in balia delle perturbazioni di stelle di passaggio. Calcolando le perturbazioni, ottenne il limite di sicurezza per sopravvivere fin dall’origine del sistema solare, con perdite verso l’interno e verso l’esterno decisamente trascurabili.

Ben pochi lessero l’articolo e lo stesso Opik si dedicò ad altre ricerche, di tipo più fisico, relative ai nuclei cometari e alla loro capacità di sublimare.   Non lo dimenticò del tutto il suo amico Fred Whipple, però, che nel 1972 ne fece una breve ma precisa storia (QUI).  In quella relazione, Fred non ha avuto problemi ad ammettere che senza il lavoro di Opik, che ipotizzò oggetti più duri di “palle di polvere” e più  soffici di “palle di neve”, egli non avrebbe formulato la sua “palla di neve sporca”, dimostrata ampiamente dalle osservazioni  successive. Una dimostrazione di affetto e di stima per un grande scienziato che ricade immediatamente anche sullo stesso Fred, che non  ha avuto problemi ad ammettere l’aiuto di un collega nella definizione dell’idea base della sua carriera.

Vi sembra un comportamento normale? No, non lo è mai stato, anche in tempi meno sospetti. Non parliamo di oggi, in cui piccoli personaggi ai bordi della scienza mantengono errori marchiani pur di non accettare le prove altrui. I veri scienziati sanno che nessuno può arrivare a un risultato, anche eclatante, senza il contributo dei suoi predecessori. Lo sapeva Einstein e lo sapeva Whipple, ma forse non certi scienziati rampanti di oggi che “dimenticano” spesso di citare i lavori  pubblicati dai colleghi solo pochi anni prima.

Tuttavia, la storia è solo all’inizio, in quanto, nel 1950, Oort, in modo del tutto indipendente (e conoscendolo potrei giurarci!), torna a studiare la persistenza di una nube cometaria posta ai limiti del Sistema Solare. I numeri sono decisamente più veritieri, ma l’approccio dinamico non è molto differente. Oort va, però, ben oltre e dimostra che oltre alle perturbazioni stellari, vanno tenute in conto le perturbazioni di Giove nel descrivere il viaggio dei planetesimi originari fino a grandi distanze e alla loro configurazione stabile a forma di enorme sfera.

Egli non si spaventa nemmeno nell’ammettere che comete e asteroidi potrebbero essere la stessa cosa. Le prime, cacciate da Giove & co. lontano dal luogo di nascita e quindi in grado di mantenere la parte volatile della loro composizione (per poi restituirla quando -e se- tornano vicino al Sole); i secondi troppo vicini alla stella per non avere eliminato in fretta tutta le componenti leggere superficiali.

L’evoluzione cometaria, dovuta ai saltuari passaggi al perielio, sarebbe ben più lenta di quella degli asteroidi che hanno preso la tintarella continuamente, per miliardi di anni. Un’ipotesi che sta riprendendo vigore, vista la quantità di ghiaccio sotterraneo che sembra essere contenuta anche negli asteroidi della fascia principale.

Un lavoro bellissimo e fondamentale, che va ben oltre le ipotesi molto più rozze di Opik. Tuttavia, leggendo l’articolo di Oort (QUI) si legge una parte che la dice molto lunga sulla sua grandezza “umana” (nel senso bello della parola). Egli ammette chiaramente di essere stato avvisato da Whipple sul vecchio lavoro di Opik e lo scrive senza alcun timore. In particolare, sembra quasi un bambino quando ammette: “Sono molto grato a Fred Whipple per avermi portato a conoscenza del lavoro di Opik che ipotizza una nube cometaria. Sono riuscito a leggerlo solo dopo che ero arrivato al terzo capitolo di questo articolo…”.

Sembra quasi volersi scusare, in un epoca (1950) in cui non esisteva internet e si doveva andare in biblioteca senza la certezza di avere tutte le pubblicazioni, soprattutto quelle poco diffuse. Io stesso ho toccato con mano questo tipo di situazione. Dopo mesi di lavoro sugli elementi orbitali degli asteroidi mi accorsi, con grande stupore, che esistevano delle concentrazioni anomale di oggetti che non potevano essere dovute al caso. Ero giovane, inesperto e avevo a disposizione la biblioteca non certo gigantesca dell’Osservatorio di Torino.

Inoltre, era ben difficile a quei tempi (1972) trovare fondi per andare a congressi all’estero (e tenersi informati), soprattutto quando si lavorava in un campo di ricerca che doveva ancora esplodere. Insomma, non conoscevo il lavoro di Hirayama e delle sue “famiglie”, pubblicato su una rivista giapponese! Le avevo ritrovate dopo parecchi decenni. Mi venne quasi da piangere, ma decisi che avrei fatto delle famiglie asteroidali una mia ricerca di punta.

E così riuscii a fare… Il piacere di leggere, ancora oggi,  il mio nome vicino a quello della più accettata classificazione degli asteroidi in famiglie va ben oltre all’orgoglio personale. Esso deriva da una specie di rivincita per tutti quei mesi passati a mettere centinaia e centinaia di puntini su un foglio di carta millimetrata (non esistevano i plotter…). Se questa storia vi incuriosisce, potete leggerne i particolari in questa intervista

Capisco, quindi, benissimo come Oort potesse  non aver letto l’articolo di Opik. Oltretutto, appena venutone a conoscenza, l’ha subito citato e spiegato in lungo e in  largo, dimostrando i passi in avanti che la sua ricerca stava facendo. Un passaggio di testimone e non un furto scientifico  da nascondere…

Sono onorato di avergli cucinato una bella (?) pastasciutta al tonno nella sua villetta di fronte al mare del Nord, sulle dune della costa olandese, e di avere avuto come amico una persona limpida e onesta come il grande Fred Whipple.

Insomma, se vogliamo essere veramente corretti, chiamiamola Nube di Opik-Oort, con un abbraccio sentito anche alla palla di neve sporca di Fred.

La Kuiper Bel e tutta la zona oltre Nettuno, seguite dalla nube di Oort interna a forma di disco e non di sfera, sono miglioramenti successivi. Miliardi e miliardi di pezzi di ghiaccio e roccia che aspettano di raccontarci se Opik e Oort avevano e hanno ragione. Peccato che malgrado siano così tanti, le distanze reciproche superano in media i milioni di chilometri.

oort

3 commenti

  1. Mario Fiori

    Enzo ci hai regalato un bellissimo pezzo do Storia dell'Astronomia che fa' letteralmente venire la pelle d'oca perchè ,oltre ad essere un'importante pezzo di Storia scientifica, è sicuramente un pezzo di Storia di Umanità condito con la dovuta Competenza , Abnegazione ed Umiltà.

  2. Diego-Garrincha

    Opik, Oort, Whipple...
    Enzo non ti facevo cosi "matusa" scientificamente parlando. :mrgreen: :wink:

  3. beh... Diego io ero poco più che un ragazzo nel 1972... :roll:

    Eh sì, Mario... ho speso un mese a Leida veramente istruttivo sotto vari punti di vista. Tra l'altro ero quasi adottato da Ingrid van Houten, scolara prediletta di Kuiper,mancata proprio quest'anno...

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