30/03/16

Ma cos'è l’intelligenza? *

Questo articolo è inserito nella sezione d'archivio "L'intelligenza che non ti aspetti" (in "Vita, Intelligenza, Astrobiologia")

Uno dei problemi più complicati della matematica è quello comunemente chiamato “del commesso viaggiatore”. Pensate che ancora oggi sono necessarie ore e ore di tempo al computer per risolverlo, nei casi più complessi. Esso è molto facile da descrivere: dato un certo numero di posizioni (città, negozi, luoghi, stelle, ecc.) qual è il percorso più corto che permette di visitarle tutte una e una sola volta? Tanto per darvi un’idea della difficoltà del problema consideriamo la figura che segue in cui sono riportate 15 città tedesche. Quante diverse possibilità ci sono per visitarle tutte almeno una volta? Provate a indovinare… Ebbene esistono ben 43 589 145 600 soluzioni! E non esiste un algoritmo per trovare la soluzione che dia il percorso minimo: bisogna utilizzare un computer e farlo lavorare a lungo, molto a lungo.

Date 15 città tedesche, esiste un percorso minimo che le visiti tutte una e una sola volta. Sembrerebbe banale. Ma invece esistono più di 43 miliardi di possibilità, tra le quali una sola è quella più corta. Per i più esperti, il numero di possibilità è dato da 14! (14 x 13 x 12 x….3 x 2 x1), diviso per due, dato che non ha importanza il verso del tragitto (senso orario o senso antiorario).
Date 15 città tedesche, esiste un percorso minimo che le visiti tutte una e una sola volta. Sembrerebbe banale. Ma invece esistono più di 43 miliardi di possibilità, tra le quali una sola è quella più corta. Per i più esperti, il numero di possibilità è dato da 14! (14 x 13 x 12 x….3 x 2 x 1), diviso per due, dato che non ha importanza il verso del tragitto (senso orario o senso antiorario).

Consideriamo adesso quei simpatici insetti che chiamiamo comunemente “bombi”. Sono una specie di grosse api piuttosto astute, che con i loro colori simulano l’aspetto dei pericolosi calabroni, mentre sono, in realtà, ben più inoffensive.

All’inizio della primavera le vediamo muoversi velocemente da un fiore all’altro. Non hanno alcuna esitazione e seguono perfettamente il percorso minimo che le fa visitare tutti i fiori di una certa zona una e una sola volta. Loro non hanno bisogno di computer, ma solo di un cervello delle dimensioni di un piccolo seme di un fiore. Ai “bombi” basta un’occhiata della situazione complessiva e poi via, seguendo la strada che i computer individuerebbero solo dopo ore e ore di calcolo. Fantastico! Quando si dice: “Il bisogno aguzza l’ingegno!”. E’ proprio vero. Le api devono sprecare molta energia nel volo e non si possono permettere di volare a casaccio, con tutti i pericoli che si presentano a ogni momento. Devono fare in fretta e senza indugi. E nemmeno hanno a disposizione computer ultra rapidi (ma ne avrebbero bisogno?).

Mi vengono in mente molte riflessioni e vi chiedo gentilmente di aiutarmi a trovarne altre…

Il nostro cervello, così grande e complesso, è ben lontano dal riuscire a uguagliare quello insignificante dei “bombi”. Sa fare molto altro, è vero, ma forse non è sfruttato completamente. O, magari, svalutiamo troppo semplicisticamente l’intelligenza degli animali. E poi, diciamoci la verità: “Che  cos’è realmente l’intelligenza?”.

Vi sono ragni che compattano nella loro memoria tutto il panorama che vedono dall’alto e poi si muovono sul terreno sapendo esattamente dove andare, valutando perfettamente le distanze (un GPS casalingo…). Vi sono scarabei che utilizzano la posizione delle stelle per descrivere i loro spostamenti. E chissà quante altre cose non sono ancora state studiate da una creatura bipede che si è posta per partito preso all’apice della piramide della Natura, basandosi su capacità che ritiene di importanza superiore alle altre. Non siamo nemmeno capaci di ottenere energia dal Sole e dalla CO2, come fanno da centinaia di milioni di anni le piante, e ci sentiamo … tecnologici.

Se capissimo come agiscono le cellule cerebrali dei bombi, saremmo in grado di rispondere velocemente non solo ai problemi dei “commessi viaggiatori”, ma a migliaia di dilemmi legati al traffico, allo studio del DNA, ecc., ecc., e, per finire e non ultimo, a quello che potrebbe essere una regola sconosciuta dell’Universo.

Addirittura, potrebbe essere una necessità essenziale, quando un giorno l’uomo comincerà (?) a viaggiare nello Spazio come la celebre astronave Enterprise di Star Trek. Quel giorno, avrà bisogno di un cervello meno “addormentato”, di mostruosi computer, o soltanto di uno sciame di api?

Ulteriori riflessioni sull’argomento le trovate QUI, QUI e QUI

15 commenti

  1. Daniela

    Chissà... magari questi bombi, in milioni di anni di evoluzione, hanno sviluppato la capacità di analizzare l'onda di probabilità di tutti i possibili percorsi e farla collassare su quello più breve... ma è intelligenza questa? Non lo so... sicuramente è una competenza estremamente raffinata e ultra-specializzata.

    Il cervello umano "pecca" di mancanza di specializzazione ma ha enormi potenzialità, comprese quelle che gli fanno compiere quelle scelte egoistiche, quando non addirittura crudeli, che ci fanno dubitare del suo essere intelligente.

    Ma può una connotazione di carattere morale (di invenzione umana) cambiare l'essenza dell'intelligenza? Credo che sia una questione di definizioni, anche queste inventate dall'uomo, quindi credo si entri in un labirinto senza uscita...

    Comunque non fa mai male riflettere su questi argomenti, se non altro è un buon esercizio di umiltà (per chi lo vuole esercitare...)

     

     

  2. E' proprio quello che dici che mi rende dubbioso e un po' sconvolto: seguire come regola della Natura e come sua classificazione un qualcosa creato da noi stessi. Un vero labirinto o -se preferiamo- un serpe che si morde la coda. Sto leggendo molto sulla coscienza degli animali non umani e mi rendo conto di quante scoperte scientifiche siano state nascoste in quanto molto scomode alla nostra costruzione puramente artificiale. E' come se chi avesse tre braccia giudicasse questo fatto, più o meno condiviso da altri, una qualità superiore per una qualche legge morale o fisica inventata da lui stesso.

    Sì, varrebbe la pena rifletterci molto, pensando anche a quanto tutto ciò dipenda dalla nostra costruzione religiosa...

  3. Daniela

    Eh sì... dovremmo riuscire a dimenticarci di essere quello che siamo per riuscire ad osservare noi stessi e l'Universo che ci circonda in modo obiettivo... mica facile! Però interessante e stimolante provarci!

    E' un po' come il nostro "amico" quadrato a due dimensioni di Flatlandia che riesce a comprendere il suo mondo solo quando compie il viaggio nella terza dimensione... il solito "problema" degli osservatori e del sistema di riferimento...

     

  4. cara Daniela,

    mi hai letto proprio nel pensiero... :-P

    sto proprio scrivendo una storia per astericcio in cui lui spiega ai bambini che è estremamente difficile capire la natura in quanto ci viviamo all'interno. Tutto sarebbe più facile se potessimo alzarci in volo e vederla dal di fuori... Ma questo non lo può fare nessuno, anche se l'umo crede, invece, di esserne capace.

    Un discorso simile lo userò per iniziare la RG e il concetto di curvatura... :wink:

  5. Daniela

    Bene, non vedo l'ora di leggere ciò che stai preparando!

    :-D

  6. peppe

    caro Enzo, ho pronto un articolo sull'intelligenza sotto l'aspetto dell'evoluzione da un pò ma sto ancora agli organismi unicellulari come storia della vita...qualche milione di anni ancora e arriverò a pubblicarlo anch'io. eheh

    posso solo anticiparti che, se consideriamo intelligenza tarata sui nostri parametri umani, allora ci possiamo considerare più "intelligenti" in quanto a creatività da usare per risolvere un problema che la natura ci pone di fronte.

    se devo prenderla in considerazione, basandomi sulla mia professione di biologo, allora la definirei molto bruscamente un'estrema e numerosissima rete di neuroni che sanno scambiarsi informazioni ed elaborarle per produrre una risposta adeguata allo stimolo ricevuto. misurare la scatola cranica non serve a niente poichè contano molto le connessioni tra i vari neuroni e non le dimensioni.

    i neanderthal avevano una scatola cranica superiore alla nostra eppura chi ha prevalso nella lotta dell'evoluzione è l'homo sapiens.

    se guardiamo l'intelligenza come una carta vincente del percorso evolutivo, allora direi che è solo una carta normale e non speciale. è vero che permette una estrema capacità ad adattarsi e a lottare per la sopravvivenza ma se dovessi scegliere chi avrebbe più chance di sopravvivere, davanti a un imminente catastrofe, tra un batterio e un uomo scegliere il primo.

    ho detto troppo. lascerò parlare il mio post :-)

     

     

  7. Umberto

    Che bell'articolo;tutto torna.. fra l'altro non era Proprio Einstein che aveva detto che la fine dell'umanità sarà dovuta non alla bomba atomica, ma alla scomparsa degli impollinatori?

    "Se le api scomparissero dalla terra, all’uomo non resterebbero che 4 anni di vita”

    Albert Einstein

  8. Ottimo Peppe! E grazie a Umberto :wink:

  9. Giovanni

    Caro Vincenzo mi puoi indicare le letture che stai seguendo?

    Penso che in tema di intelligenza la svolta, se ci sarà, sarà quella dell'intelligenza artificiale. Non so se i Bombi sono dotati di intelligenza o se sono semplicemente "programmati" per agire in quel modo. Per voi l'intelligenza va di pari passo con l'autocoscienza oppure può fare a meno di essa?

  10. caro Giovanni,

    ti consiglio la dichiarazione di Cambridge sulla coscienza degli animali, presentata da numerosi scienziati e, purtroppo, poco considerata finora. E' una lettura che può scatenare ricerche molto interessanti...

    http://fcmconference.org/img/CambridgeDeclarationOnConsciousness.pdf

    Io penso di dedicarmi a queste ricerche e scrivere qualcosa a riguardo nel prossimo futuro tra una RR e una RG... In fondo, tutto è Natura!

  11. Credo che l'intelligenza ce l'abbia ogni aggregato di materia nell'universo,tutto è funzionale all'addattamento che questo aggregato ha nei confronti dell'ambiente che lo circonda.Gli esseri viventi,essendo aggregati di altra vita al proprio interno,chiamano intelligenza l'attività che il singolo sistema esternalizza,ma anche il sistema interno ha le sue regole e la sua intelligenza.Dalla nostra personale dimensione non capiamo a quale "organismo" superiore apparteniamo,come forse le nostre cellule,che sono attivissime,non hanno coscienza di noi.Se poi misuriamo la nostra intelligenza tra noi,anche le persone poco dotate hanno dei plus,delle specializzazioni che altri hanno meno sviluppate,ognuno di noi segue un percorso unico e registra quello che altri non registrano con prospettive diverse che la "pancia emotiva"guida,credo che per la natura sia più importante un robusto asino vivo e prolifico, che un Leopardi malaticcio e fragile.

  12. caro Gianni,

    è un argomento che fa pensare e rivedere molti dati di fatto accettati con troppa facilità. Sto leggendo un sacco e mi piacerebbe aprire una serie di discussioni in merito. Quante cose non i hanno mai detto... :wink:

  13. Fiorentino Bevilacqua

    Un cervello "generalista" forse è meglio di uno specializzato: consente di adattarsi a molte più situazioni diverse fra loro...

    Forse dobbiamo abbandonare l'idea dei confronti fra specie diverse adattate a condizioni diverse (che occupano nicchie ecologiche diverse): non ha senso confrontare un batterio con una balena perché il cetaceo non potrebbe fare quello che fa il batterio, non potrebbe vivere dove esso vive e viceversa (tra l'altro le balene rischiano l'estinzione, i batteri no). Forse lo stesso vale per l'intelligenza...

    "E' difficile capire la natura in quanto ci viviamo dentro"... secondo me questo apre a scenari ...immensi. Però, posto così, sembrerebbe quasi come le difficoltà che gli astronomi hanno dovuto affrontare per capire che forma ha la Galassia, perché standoci dentro non è come guardarla da fuori o dall'alone galattico...

    Secondo me è qualcosa di più (e questa è una domanda che mi sono posto da tanto tempo e alla quale ho dato una "mia" risposta, che vale per quello che è: una mia risposta).

    Credo che, la risposta, abbia anche molto a che fare con la biologia, con l'evoluzione stessa.

    La domanda è questa (sembra peregrina, ma può "nascere" in tanti modi): può esistere una componente (che sia maggioritaria o minoritaria poi si vedrebbe) della realtà ("fisica" in senso lato) che noi non possiamo percepire?

    Non parlo di cose come i raggi gamma: essi sono radiazioni, come quelle che possiamo percepire anche se hanno una lunghezza d'onda minore, una energia maggiore. Abbiamo l'armamentario inadeguato, che non ce le fa percepire direttamente (danni a parte) ma fanno parte di qualcosa che, anche concettualmente, possiamo concepire. E' facile (va be') costruire strumenti per rilevarle.

    Potrebbe esistere qualcosa che non riusciamo neanche a concepire, a concettualizzare?

    Sembra assurdo, lo so.

    Se non lo posso concettualizzare, come faccio a costruirmi strumenti per rilevarlo?

    E' come se stessimo su un piano (Flatlandia a parte), in un quadrato, avessimo descritto il mondo con la nostra scienza e quello diciamo che è il mondo.

    Ma per essere certi che le cose stiano veramente così, ci vorrebbe, penso io, qualcuno (non in quel senso lì...), qualcosa che ci dicesse, come dall'esterno, "sì è vero: quello che avete scoperto, quello è. Non c'è nient'altro al di fuori del quadratino su cui state. Lavorate lì che solo quello c'è".

    Mi chiedevo se un uomo nero potesse concepire cappelli bianchi e cercarli (parafrasando alla buona Popper).

    Che c'entra la biologia?

    Una specie raggiunge il "livello" che raggiunge perché ha una certa storia evolutiva alle spalle (un batterio, inteso come specie, non può dare origine alle mosche, né un lombrico ad un uccello. Ai primi "mancano" troppe cose che i secondi devono avere per essere tali); in ogni caso, una specie, semplificando, una volta che ha raggiunto la "pace biologica" (almeno a grandi linee) cioè riesce a fare le cose che servono per vivere, riprodursi etc, non ha più grosse spinte a mettere su altre cose. E anche se si porta appresso un armamentario di cose che servono a nulla e qualcun'altra la mette su lei, la aggiunge lei, quello che è resta. Può essere coinvolta in una corsa agli armamenti, ma, in fondo...altro, di grosso, non serve...

    Quindi, per portare a termine il ciclo vitale che assicura alla specie la continuità nel tempo, altro non serve...

    E' una teiera pure questa, in fondo...però non si può escludere che ci sia dell'altro di cui non ci impipa proprio nulla (biologicamente, evolutivamente parlando) e nulla abbiamo (quindi) per concettualizzarlo (qualunque cosa si pensi del dualismo - se tale è - mente cervello, meglio avere un cervello da tre kg che da 1,5 kg e meglio ancora se con una architettura migliore di quella del nostro cervello) e  percepirlo (chissà quali altri organi di senso potrebbero esserci. I pesci hanno quelli che servono per percepire variazioni della pressione dell'acqua e, quindi, l'avvicinamento di un potenziale predatore).

    Se guardo fuori dalla finestra, vedo alberi ed erba. Se guardo in lontananza, vedo un'indistinto sfondo verdastro; un binocolo mi rivela che esso è fatto di altri alberi. Ma si tratta di un potenziamento tecnologico di un senso che già ho...

    Ma se ci fosse qualcosa che mai abbiamo percepito (non serviva e, forse, era meglio non percepirlo), non potremmo costruirci nessuno strumento per rilevarlo...

    Ricordo un articolo di neurofisiologia (non l'ho più trovato e, quindi, non posso citarlo); si concludeva con la citazione di W.Blake: "Se le porte della percezione fossero purificate, l'uomo vedrebbe ogni cosa per come essa è realmente: infinita". L'autore, però, chiosava ... 'Se le porte della percezione fossero purificate, l'uomo verrebbe sopraffatto dalla complessità delle cose'. Suggeriva, quindi (l'articolo era degli anni '80/'90) che percepire tutto poteva essere dannoso: quindi non percepire tutto, avere meno organi di senso e meno capacità di concettualizzare, fosse adattativamente vantaggioso.

    Recentemente, in una intervista rilasciata a Telmo Pievani da Donald Hoffman ( Corriere della sera - La lettura, domenica 19 luglio 2020), quest'ultimo dice chiaramente che percepire tutto, per un essere vivente, significa condannarsi a perdere la partita, ecologico-biologica, della competizione e, quindi, condannarsi all'estinzione... E fa l'esempio di due giocatori impegnati in un videogioco: uno dei due, vede "semplicemente" quello che vediamo tutti: colori, simboli, suoni accattivanti o meno... L'altro invece, ha una visione più complessa: vede le correnti elettriche, i campi magnetici "sottostanti" a tutto quello che vede l'altro e prima di prendere la decisione sulla mossa da fare, valuta anche questi... è chiaro che perde, dice Hoffman. Si potrebbe obiettare che se fosse capace di percepire tanto, avrebbe un cervello adeguato...

    Ma tant'è...

    Questo giusto per dire che la domanda di prima, tanto peregrina non è. Quel dubbio è, biologicamente, fondatissimo.

    Se ci aprissimo a questo...forse potremmo fare più passi avanti.

    Come, non ne ho idea.

    E' anche rischioso, lo so, però, forse ne varrebbe la pena.

    Questo suggerirebbe anche una minore rigidità...

    Siamo "impastati" con il principio attivo della pillola azzurra di Matrix...crediamo di scegliere coraggiosamente e meritoriamente la pillola rossa...ma abbiamo il "difetto" dentro, connaturato in noi ( e perciò non ce ne accorgiamo): il principio attivo della pillola azzurra...

     

     

     

     

     

     

  14. caro Fiore,

    domani torno a casa da una settimana a contatto puro con la Natura. Il tuo bellissimo commento-articolo fa pensare molto. E qui, dove sono, tra castagni che vivono da 500 anni e svolgono un ruolo fondamentale per tutto ciò che li circonda, un certo tipo di riflessioni cade proprio a fagiolo!

  15. Fiorentino Bevilacqua

    Dicono, gli specialisti del settore, che bisognerebbe fare un bagno di natura, di boschi (...molto in voga in Giappone, se non erro) almeno tre volte a settimana...

    Vedere ciò che è piccolo e che pure ha tutta una sua vita, un suo "universo" di interazioni, aiuta a relativizzare e a capire la complessità di ciò che esiste (...almeno di quella parte che percepiamo).

    E' piccolo, ma ha pure esso diritto di esistere.

     

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