04/04/22

Dall'Atomo alle Stelle e viceversa (12): L'atomo di Bohr

La serie completa "Dall'Atomo alle stelle e viceversa" è disponibile QUI

 

Stelle e atomi si abbracciano

Siamo arrivati a un punto fondamentale. Sappiamo come misurare la temperatura superficiale di una stella, paragonando il suo spettro continuo a quello di un corpo nero. Siamo, però, anche in grado di descrivere la struttura dell’atomo e le azioni che subisce sotto l’effetto dell’energia elettromagnetica (i fotoni con le loro lunghezze d’onda). Non sempre, infatti, i fotoni e i loro pacchetti d’energia riescono a “cacciare” gli elettroni dall’abbraccio del nucleo. A volte, possono solo spostarli da una posizione a un'altra, ma non certo in maniera qualsiasi!

Siamo anche giunti al punto chiave per capire quelle strane righe nere che  “disturbano” gli spettri stellari. Altro che disturbo! Sono proprio loro, legate ai “salti” degli elettroni nei diversi atomi, a informarci  sugli “abitanti” presenti nelle superfici stellari. La faccenda diventa sempre più affascinante. La luce è veramente una miniera di in formazioni!

Ribadiamo, ancora, un concetto rivoluzionario che ha cambiato l'aspetto dei fotoni o -ancora meglio- ha sanato l'ambiguità onda-particella. I fotoni sono vibrazioni del campo elettromagnetico e si propagano come onde. Tuttavia, ogni onda porta con sé un pacchetto di energia, che dipende dalla frequenza dell'onda. L'onda può quindi benissimo vedersi come un qualcosa di corpuscolare. D'altra parte Einstein ha dimostrato che queste onde sono in grado di colpire e spostare un elettrone. Resta solo da capire cosa siano realmente queste onde prima che si manifestino come pacchetti molto robusti. L'ultimo tassello è stato inserito dalla meccanica quantistica: le onde non sono vere onde "fisiche", ma onde di probabilità. Esse indicano solo dove il pacchetto fotone potrebbe trovarsi in un certo momento. Quando colpisce l'elettrone non c'è più bisogno di usarle dato che sappiamo dov'è il pacchetto, ma, prima, il pacchetto vagabondo può essere solo descritto da un'onda di probabilità. Insomma, qualcosa del genere... ma ovviamente la meccanica quantistica non si può riassumere in una frase. Noi, però, l'abbiamo già trattata in lungo e in largo e ormai non ci spaventa più di tanto.

L'atomo quasi quantistico

Consideriamo nuovamente il nostro scivolo e la nostra scala a gradini (QUI). Abbiamo visto che nel primo caso l’energia potenziale diminuisce in maniera continua a mano a mano che si scende verso il basso. Usando la scala, invece, ci si riesce a fermare a ogni gradino.

Vediamo la faccenda in modo leggermente diverso. Nel caso dello scivolo è possibile assumere tutte le possibili energie potenziali passando dal punto di partenza a quello di arrivo. Immaginiamo che ci si possa anche fermare per una frazione infinitesima di secondo in qualsiasi punto. Teoricamente lo potremmo fare, dato che siamo costretti a toccare ogni punto. Tuttavia, sarebbe una fermata “immaginaria”, in quanto saremmo subito trascinati verso il basso nella irrefrenabile caduta.

Nel caso della scala, invece, non possiamo fermarci dove vogliamo, dato che saltiamo da un gradino all’altro, ma quando siamo su uno di loro, possiamo riposarci e dare un’occhiata intorno senza alcuna paura. Nei punti predisposti, ossia sui gradini, la situazione è decisamente tranquilla e abbastanza stabile. Possiamo dirlo in modo più scientifico. I gradini rappresentano soluzioni stabili di energia potenziale, un’energia, ricordiamo, che dipende dall’altezza rispetto al suolo.

La situazione dello scivolo ci ricorda il modello atomico di Rutheford. In esso si ammetteva che gli elettroni fossero liberi di rivolvere attorno al nucleo su una qualsiasi orbita, in modo analogo a ciò che fanno i pianeti attorno al Sole. Tuttavia, le cose non potevano funzionare, in quanto un oggetto (l’elettrone) che descrive un moto circolare subisce una certa accelerazione centripeta (come descritto nel moto circolare uniforme). Inoltre, l’elettrone è anche una particella carica che deve seguire le leggi dell’elettromagnetismo ed esse impongono che, se una particella accelera, è costretta a emettere energia elettromagnetica (lo sappiamo già dal corpo nero).

L’energia non è un pozzo senza fondo: quando viene emessa, lo fa a scapito dell’altra energia che la particella possiede, ossia quella cinetica di rivoluzione attorno al nucleo. Essa deve, perciò, diminuire e portare l’elettrone su orbite sempre più vicine al nucleo fino a cadere su di esso. Questo, ovviamente, non può capitare in Natura! E se anche capitasse, vorrebbe dire che durante la caduta l’elettrone dovrebbe emettere energia elettromagnetica su tutte le lunghezze d’onda. Insomma, dovrebbe dar luogo a uno spettro continuo. E anche questo fenomeno non si osserva assolutamente.

Ricapitolando, l’atomo di Rutherford è stato sicuramente geniale nell’ipotizzare gli elettroni posti in orbita attorno al nucleo a una certa distanza, ma ha bisogno di una scala a gradini, invece che di uno scivolo. In altre parole, gli elettroni possono trovarsi su orbite molto particolari e non ovunque. Sui gradini, ossia su orbite che sono stabili, possono “riposarsi” e non emettere energia elettromagnetica. Se non la emettono, possono conservare tranquillamente anche quella cinetica che li fa ruotare in modo costante e duraturo attorno al nucleo.

Gli elettroni non sanno stare fermi su un solo gradino

Condizioni magnifiche che, però, darebbero all’atomo una struttura fin troppo immobile e statica. Sappiamo benissimo che gli atomi e, a maggior ragione, gli elettroni che ne rappresentano le parti più esterne e vulnerabili, sono continuamente urtati da fotoni, ossia energia elettromagnetica, come abbiamo ampiamente descritto negli articoli precedenti. In altre parole, i gradini sono terrazze panoramiche stabili, ma non senza rischi. Abbiamo già visto che se arriva un fotone molto energetico, esso è anche capace di fare schizzare l’elettrone fuori dall’atomo (ce lo ha dimostrato l’effetto fotoelettrico di Einstein) e cominciare a emettere su varie lunghezze d’onda a seconda della traiettoria e degli incontri che farà. Insomma, l’atomo viene ionizzato. Condizioni perfette per ottenere uno spettro continuo.

Anche senza arrivare a questi limiti, però, basta che il fotone incidente sia abbastanza energetico da costringerlo a salire su uno scalino più alto. Più in alto, ovviamente, dato che acquista energia. Un regalo insperato, ma di brevissima durata. L’energia regalatagli in questo modo viene subito restituita, emettendo un nuovo fotone che ha la stessa energia fornitagli poco prima. L’elettrone, insomma, può permettersi di saltare da un gradino a uno superiore, ma poi deve ripiombare in quello originario, come mostrato in modo “allegorico” nella Fig. 21. I vari gradini sono le uniche orbite stabili in cui possono rimanere gli elettroni, senza emettere energia. Sono anche ammessi salti multipli, come vedremo tra non molto.

Figura 21

 

Su queste considerazioni, molto semplificate, si basa il modello atomico di Bohr, che funziona perfettamente bene sull’atomo più semplice che esiste in Natura, quello di idrogeno, dato che possiede un solo elettrone. Vediamo di approfondirlo adeguatamente, scrivendo anche qualche semplice formula.

Due sono stati gli spunti che hanno portato Bohr a modificare velocemente l’atomo di Rutherford. Innanzitutto, la presenza delle righe spettrali, quelle righe nere che “disturbano” gli spettri stellari, ma che compaiono luminose quando si riscalda un gas rarefatto, e la nuova visione dell’energia che viaggia a pacchetti, formulata quasi per scherzo da Planck e confermata da Einstein.

I salti degli elettroni lasciano il segno

Il risultato finale è quello di un atomo in cui gli elettroni girano sì attorno al nucleo, ma solo e soltanto su orbite particolari, dove non possono emettere radiazioni e quindi perdere energia. Per emettere radiazioni devono essere eccitati, ma non in modo qualsiasi, bensì ricevendo un’energia sufficiente per farli passare da una orbita stabile a un’altra più alta (più energetica) per poi tornare immediatamente indietro. In quest’ultimo salto si rilascia l’energia ricevuta e si forma la riga luminosa (o scura) dello spettro elettromagnetico. La frequenza relativa al salto effettuato è ben determinato e quindi l’emissione è ben rintracciabile nel diagramma luminosità-frequenza (o lunghezza d’onda).

Insomma, quelle righe non sono altro che segnali chiari e precisi di quali salti fanno gli elettroni di un certo atomo. Essi emettono energia e brillano se non vi è uno spettro continuo a fare da sfondo, oppure appaiono come righe nere se si sovrappongono allo spettro continuo più luminoso di loro (ma vedremo meglio questa differenza).

Il lavoro mentale e deduttivo di Bohr si esprime sotto forma di due postulati che rappresentano l’ultimo tentativo di legare in qualche modo la fisica classica con l’emergente meccanica quantistica. Da allora in poi, il microcosmo si è completamente immerso nella seconda, l’unica in grado di descriverlo.

Primo postulato di Bohr: l'elettrone può percorrere attorno al nucleo solo alcune orbite circolari senza perdere energia

In parole matematiche: il momento angolare dell’elettrone, su queste orbite, è una costante che altri non è che la costante di Planck divisa per 2π. La costante è moltiplicata per un numero intero che va da 1 in su (teoricamente fino a infinito) e che identifica tutte le orbite stabili. La formula che definisce quanto appena detto è:

L= mvr = nh/2π

Dove è il momento angolare (ossia la quantità di moto mv moltiplicata per il raggio r dell’orbita). n è un numero che assume teoricamente tutti i valori interi. Espressa in altre parole, la relazione dice che la quantità di moto dell’elettrone moltiplicata per lunghezza della circonferenza percorsa è uguale alla costante di Planck moltiplicata per il numero intero.

Il numero n è stato chiamato da Bohr numero quantico ed è quello che permette di definire l’orbita in cui si trova l’elettrone.

Questa condizione implica che il momento angolare dell'elettrone non può assumere tutti i valori possibili, ma soltanto alcuni. Imporre questa limitazione significa quantizzare il momento angolare. Questo può variare perciò solo per “quanti”, multipli interi del valore minimo (h/2π), relativo a n = 1.

Secondo postulato di Bohrl'energia assorbita da un elettrone ne consente la transizione dall'orbita in cui si trova normalmente (stato fondamentale), a una delle orbite di energia quantizzata superiore (stato eccitato).

In queste orbite, l'elettrone permane per un tempo brevissimo (10-9 sec), per poi ritornare allo stato energetico fondamentale. Questo salto è quello che gli permette di liberare l’energia assorbita senza decadere verso il nucleo (“scala” e non “scivolo”) e di emettere secondo una ben definita frequenza. Un atomo allo stato eccitato può tornare allo stato fondamentale emettendo un fotone la cui energia è uguale alla differenza tra quelle dei due stati tra cui avviene il salto. In parole matematiche:

E2 - E1 = ν h

Essa non è altro che la formula pensata da Planck e divulgata da Einsteinricordate?

 

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6 commenti

  1. Alberto Salvagno

    Ammettiamo che il salto dell'elettrone da un'orbita(le) a quella superiore richieda 5 unità di energia, se il fotone che arriva ne porta 7 unità, che fine fanno le 2 unità che avanzano?

  2. Paolo

    In attesa che ti risponda Enzo, il salto di un elettrone da un orbitale all'altro necessita di un fotone che possieda la corretta quantità di energia (frequenza) per quello specifico salto temporaneo, pertanto il fotone non deve essere né  poco energetico né troppo energetico (per usare il tuo esempio, ne segue che un fotone di 7 "unità" non produce alcun salto orbitale che necessita 5 "unità").

    Altra situazione è invece quella legata a fenomeni di scattering che producono la rottura del legame dell'elettrone con l'atomo (effetto fotoelettrico), poiché in tal caso se il fotone possiede un'energia maggiore si determina l'effetto Compton, ossia il fotone cede la giusta quantità di energia all'elettrone consentendogli di rompere il legame con il nucleo atomico e continua il suo cammino (seppur in direzione diversa) con l'energia rimanente, per cui la sua frequenza è minore di quella che aveva prima di "spingere" l'elettrone fuori dall'atomo.

    Se poi ho detto qualche sciocchezza c son sicuro che Enzo, appena potrà, mi correggerà.

  3. Alberto Salvagno

    Grazie Paolo, mi sembra chiarissimo e molto convincente. Un po' me l'aspettavo, ma non l'avevo letto da nessuna parte in forma esplicita.

    Lasciami delirare un po' : quindi se una luce azzurra colpisce il mio esposimetro fotografico - a grandissime spanne - potrebbe trasformarsi in parte anche in luce infrarossa e riscaldarlo.

    Se invece volessi eccitare gli elettroni di un atomo di sodio per vederne la tipica riga gialla o lo colpisco con un raggio di fotoni della giusta frequenza o ciccia. Certo che se lo colpisco con una luce genericamente bianca in mezzo alle tante frequenze ci sarà anche quella giusta per eccitarlo. Insomma ci vuole una corrispondenza d'amorosi sensi. Ma qui andiamo sull'audace...

  4. Paolo

    Provo a risponderti partendo dalla fine.

    Come possiamo fare per sapere che si tratta di un atomo di sodio?

    Possiamo saperlo poiché assorbe e riemette fotoni ad una specifica frequenza, quella tipica di un salto orbitale che contraddistingue gli atomi di sodio (un po’ come le impronte digitali, ogni atomo ed ogni salto di orbitale ha la sua frequenza specifica).

    In pratica i fotoni vengono emessi dall’atomo di sodio quando l’elettrone “colpito” dal fotone con la giusta frequenza, dopo il salto di orbitale, torna all’orbitale originario (stabile) ed emette un fotone con la medesima frequenza di quello che lo aveva colpito (tanta energia ha ricevuto, tanta ne restituisce).

    Attenzione, però, che noi “vediamo” solo i fotoni che casualmente vengono emessi nella nostra direzione.

    Ora cosa significa questo, per esempio?

    Ammettiamo di avere una sorgente luminosa di fotoni di tutte le lunghezze d’onda dello spetro visibile che indirizza la luce verso di noi e che questa prima di raggiungerci debba attraversare una nube composta da atomi di sodio.

    Tra i fotoni di diverse frequenze, solo quelli con la giusta energia possono colpire gli elettroni degli atomi di sodio affinché compiano un salto orbitale.

    Questi fotoni vengono “assorbiti” e riemessi ma in ogni direzione, pertanto a noi giungeranno pochi fotoni riferibili a quella specifica frequenza dato che tutti quelli che come gli altri erano diretti verso di noi sono stati “deviati” (riemessi) in direzioni diverse… ciò significa che noi noteremo un deficit (riga spettarle nera di assorbimento) di fotoni riferiti a quella specifica frequenza necessaria per i salti orbitali di atomi di sodio.

    Sulla prima domanda, invece, se dei fotoni colpiscono il tuo esposimetro o meglio un sensore (b/n), a causa dell’effetto fotoelettrico verrà generata nel tempo (di esposizione) una certa quantità di elettroni, che vengono immagazzinati dai fotodiodi (pixel).

    Tale quantità di cariche elettriche negative (elettroni liberi) immagazzinate dai fotodiodi verrà poi letta per determinare la luminosità di ogni singolo pixel e comporre un’immagine.

    Per i fotoni ad alta energia, il surplus di energia farà sì che questi vengano riemessi in una qualunque direzione a frequenze più basse, quindi dal sensore verso l’esterno… se poi a questo possa corrispondere una dissipazione di calore dovuto a fotoni a frequenza infrarossa, può darsi, ma prendi questa risposta con le dovute cautele.

    Ovviamente le mie sono solo considerazioni da verificare… Per le certezze tocca aspettare Enzo, quando potrà (come ha già detto in questo periodo è impegnato a risolvere altri problemi).

  5. Paolo

    Dimenticavo, giusto per stare negli esempi, se invece la sorgente luminosa non è diretta verso di noi ed attraversa una nube di atomi di sodio, in tal caso i fotoni della giusta frequenza vengono assorbiti e riemessi in ogni direzione, per cui alcuni che senza riemissione non sarebbero mai giunti fino a noi, ci arrivano, grazie alla "deviazione".
    In tal caso spettroscopicamente assisteremmo ad una riga di emissione di fotoni corrispondenti ai salti orbitali attribuibili al sodio. :wink:

  6. Alberto Salvagno

    Sono dubbi, angoli nebbiosi rimasti in mente dai tempi dell'Università. A quei tempi non avevo tempo. Un po' il lavoro che già avevo intrapreso, un po' la mia insufficiente intelligenza, tantissimo gli ormoni...

    Ora, che invece la vita davanti posso contarla in secondi, trovo piacevole trovare il tempo per ripensarci. E il confronto con voi mi riempie di gioia, quasi una droga. Sinceramente

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:wink: :twisted: :roll: :oops: :mrgreen: :lol: :idea: :evil: :cry: :arrow: :?: :-| :-x :-o :-P :-D :-? :) :( :!: 8-O 8)

 

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