10/02/23

I MIEI UMANI (di Gatto Nelson)

Questo è uno dei "Tesori di Guido" raccolti nella sezione d'archivio ad essi dedicata

 

"Un gatto è un silenzioso enigma che vi osserva e, si direbbe, sul vostro umano vivere considera..." (Guido Ghezzi)

 

I MIEI UMANI

ovvero
RAMINGHE CONSIDERAZIONI D’UN GATTO,
leggiere quel tanto che giova al ben vivere ma al giusto profondo intese

 

I miei quattro umani stamane son agitati.
Per la precisione dovrei dire più agitati del solito, giacchè l’agitazione sembrerebbe essere un morbo che colga tutti gli umani pressappoco quando han terminato di crescere. Alla nascita ne sono immuni, tant’è che neppure zampettano e se ne stanno a pancia all’aria, ora sonnolenti ora urlando, spesso sputacchiando cibo: uno strano modo di rifiutarlo perché così agendo lo si sparge ovunque invece di nasconderlo, come il galateo esige.
La decisione di camminare giunge di norma dopo qualche tempo. In tutta evidenza stufi di veder il mondo solo dal basso (come dar loro torto?) iniziano ad alzarsi sulle loro gambucce (dritte dritte ma scarse al balzo) e principiano finalmente a comportarsi con lucidità: giocano, mangiano e dormono, proprio come si fa noi gatti e persino quei parvenu dei cani.
Un’esistenza condotta secondo scintillante logica, insomma.
Ma, per loro sfortuna, si direbbe che al termine della crescita del corpo corrisponda anche il crollo della loro istintività, quella voce sommessa e veniente dal profondo che tutti gli animali sanno essere potente e luminosa guida della vita. Così deprivati cadono vittime del loro elucubrare, moto di pericolosità ben nota e da cui diffidare, fatte salve rare occasioni. L’invincibile loro rimuginare, ormai senza freno, sottomette ogni azione ad una ferrea schiavitù, condannandoli ad una condizione che non potrei definire altrimenti se non di inquietudine, di ansia, di cervelloso rovello. Vivono sfiniti da una vana corsa fino all’istante della morte e, cosa invero triste assai, molti tra loro ne hanno consapevolezza e ciò aggrava il supplizio. Cercano spesso soccorso presso la nostra stirpe (sempre sia onorata) e quanti, oh!, quanti di noi hanno accettato il fardello d’adottarli! Ma i poverini non riescono a trarsi fuori dalla loro prigionia nonostante il nostro impegno nel mostrar come si viva. Sarebbe sufficiente l’imitazione, cosa che riesce senza gran difficoltà persino alle scimmie.
Invece no; cosa fanno? Si perdono in ogni sorta di improbabile tentativo: accarezzano il nostro bel pelo e li prende l’invidia perché dispongono solo di qualche ciuffo ispido qua e là (l’imbarazzo per tal glabri corpi li spinge a nasconderli sotto coltri di goffi vestimenti e così mascherati pavoneggiano tutto il giorno); nel vederci godere di giusto riposo aciduli esclamano “beati i gatti!” e via di corsa a fare chissà che; il cielo scarica acqua e loro per strada a prendersela tutta invece di starsene all’asciutto. E quando son ben fradici rientrano, guardandoci con traverso livore. Raccolgono oggetti inutili per il mondo e se li portano a casa, quando la casa è piena decidono di cambiare tutto e se ne liberano, a prezzo di fatiche inaudite, naturalmente. “A lui basta una stufa, una sabbiera e un tappeto per farsi le unghie!” questo pensano alludendo a noi. E con una certa riprovazione, m’urge aggiungere. Come se non perdessimo occasione per evidenziare nei modi più eclatanti la verace via dell’esistenza; ma è una sfida persa, purtroppo, e ben lo so.
Non fa meraviglia il fatto che siamo oggetto della loro venerazione da tempo immemore, attribuiscono alla nostra stirpe (sempre sia onorata) divino distacco e aristocratica condotta e posso capirli: visto dalla loro peregrina condizione il raffronto ad altro constatare non porta.
Va detto, però, che siamo il frutto di milioni d’anni di esercizio e ricerca, di applicazione inesausta mentre gli umani son usciti fuori dal magma evolutivo tardivamente e si trovano pertanto costretti alla lotta con le loro congenite imperfezioni. Ben lunga è la strada che han dinanzi prima di riuscire anche solo ad avvicinare la nostra eleganza vitale, anzi, a dirla schietta, qualche dubbio sulla riuscita mi par lecito avanzarlo, visti gli esordi….
Basti questa mia fugace notazione al proposito: neppure riescono a mover le orecchie! E’ segno evidente di ben scarso percorso evolutivo, ogni bestia lo fa senza sforzo e fin dal suo primo istante di vita. Tale insolita deficienza a tal punto li espone ai perigli da dovere affidare l’integrità fisica quasi del tutto alla vista, che funge da loro unico avvisatore. Il risultato, comico invero, è un continuo rotare il capo di qua e di là per tener sott’occhi quel che avviene dappresso; l’inciamparsi ad ogni piè sospinto è il meno che possa capitar loro, ed infatti finiscono spesso col muso al terreno procurandosi danni gravissimi. Al proposito mi corre obbligo riconoscere l’indubbio vantaggio che risiede nel loro saper ripristinare le funzionalità fisiche compromesse là dove per la nostra stirpe (sempre sia onorata) una zampa fessa è preludio a vicina morte. Ma proprio in questo esser consci della preziosità d’un corpo pienamente efficiente consiste la nostra indubbia superiorità: è infatti ben raro che si azzardino balzi sconsiderati o mosse dalle conseguenze ingestibili là dove gli umani fan di tutto per sfidar la sorte. L’improvvido esporsi all’insidia, anche la più chiara e manifesta, all’opposto si direbbe rappresenti per loro un’irresistibile pulsione e, cosa inquietante, mi spingo a sostenere che molti, aimè lo dico senza celia, studiano mille e mille modi per saltellare sul filo d’una gronda lasca, mi si perdoni l’abusato eufemismo felino.
E il destino quante volte li accontenta!
Ma torniamo ai miei quattro adottivi.
Dedicherò la prima delle doverose presentazioni all’Assistita. Non perché la ritenga più importante o titolata o brillante: son tutti e quattro citrulli di pari grado ma in fondo animati da buon cuore e questo è ciò che più conta.
L’Assistita mi chiese d’esser adottata all’epoca in cui versavo in uno stato, transitorio, di deplorevole e raminga indigenza. Avrei potuto lasciar cadere l’accorata prece? Nei suoi occhi lessi speranza e un gran desiderio di essere assistita, appunto. Benchè male in arnese e conscio del pondo che andavo carcandomi sulla groppa, accettai. Noblesse oblige, come si dice tra noi gatti.
Posso affermare, con orgoglio, di aver portato nella di lei vita quel pizzico di spontaneità che sempre giova, vieppiù nel suo caso, considerato il suo precipuo trattenersi, l’indossar briglie nelle occasioni in cui più sarebbe naturale lasciarsi andare. E parimenti lasciar andare, non tener per capitale quistione quel che invero è di povera sostanza. Ancora mi sto adoperando e qualche barlume di miglioramento l’intravedo… Tuttavia è impegno gravoso portar a successo questo compito che mi son dato, e ancor più poiché l’Assistita, come tanti suoi simili, non considera quanto è in piena evidenza agli occhi di noi gatti, e cioè che nel mondo umano parrebbe non trovar loco la giusta dolcezza. Una deprivazione, questa, causa di innumeri brutture e grigiori d’animo, il quale già sconta l’agra lotta per l’esistenza.
Fu così fin dalla loro prima comparsa? Forse la tagliola d’una Natura beffarda pretese uno scotto per le straordinarie virtù manuali e per l’ingegno concessi? Fu un progressivo estinguersi come lo svanire d’una pozza di pioggia? O tal mutilazione fu loro volontà, un cinico sacrificare in nome di altro guadagno? Ma qual guadagno varrebbe tanto da rinunciare al brillìo d’una dolce parola, d’una carezza, d’un leggero cullare il cuore mentre la tempesta frusta intorno?
Questo è il gran mistero degli umani! Questo è l’enigma che i millenni spesi al loro fianco non son bastati a penetrare, questo di loro non capiamo e forse mai capiremo.
Ah! Qual pazienza chiede l’adottar un umano! Fortuna vuole che tal qualità sia tra le nostre più cospicue dotazioni naturali…
Adottata che fu l’Assistita, dicevo, realizzai dell’esistenza di tre altri suoi simili presenti nei medesimi spazi casalinghi. Sul momento ebbi un capogiro (evento perniciosissimo, come si sa, e particolarmente se per ventura dovesse occorrere mentre ci si gode un raggio di sole stretti sul davanzale d’una altissima finestra). Altri tre, je dis trois, umani da adottare!
Potevo forse sottrarmi? Abbandonare i tre poveretti al loro cupo destino?
Ça va sans dire: mi ritrovai infine con quattro adottati.
Osservai dapprima una cauta discrezione, imprevedibilità e suscettibilità son parte stessa dell’umano ed esporsi anzitempo può procurare non pochi grattacapi.
Ora che il legame par solido so che tanta accortezza fu un eccesso: son quattro innocue anime.
Tra gli adottati c’è l’Allungato.
L’Allungato ha dimensioni fuori dal comune. Penso abbia sofferto di qualche misterioso morbo in gioventù o sia stato vittima di uno spaventevole trauma il cui effetto sia stato lo stirarne le membra al punto da renderlo quasi deforme, se si dovesse prender a modello il corpo dei più.
Oppure l’origine della deformità potrebbe esser stata l’ingestione di materia nociva. In tal caso il poveretto ritengo abbia omesso la procedura di fiutare preventivamente all’immettere in corpo, un protocollo da rispettare sempre, con alemanno rigore.
Può capitare, tuttavia: i limiti della sbadataggine umana non sono ancora ben noti, nonostante il corposo campionario riferito dai tanti della nostra stirpe (sempre sia onorata).
Come che sia egli si trova a far i conti con quel corpo ingombrante e quante volte l’ho visto saggiare per accidente spigoli e sportelli o inveire nel chinarsi sotto la doccia a causa del rubinetto posto ad un’altezza alquanto insidiosa nel suo personale caso.
Se inspiegabile agitazione affligge la specie umana, l’Allungato aggiunge ad essa ulteriore ansia che lo spinge a perenne movimento fin dal suo primo aprire gli occhi e che perdura fino a che non li chiude, spesso a notte fonda. Qualcosa dev’essersi un tempo guastato dentro di lui ed il delicatissimo suo meccanismo ne rimase compromesso. Avverto un’ombra sul suo cuore, un’esule rimembranza forse, che ad ogni risveglio lo stringe in una sotterranea sfida, senza vincitore.
Passo oltre.
Assistita e Allungato s’industriano senza posa nel provvedere ad ogni esigenza degli altri due, il Giovane Supremo e la Giovane Suprema, che raramente s’abbassano a estemporanei contributi al faticoso ufficio sostenuto dagli affaticati due attendenti.
I Giovani Supremi son un bell’enigma: ancora non m’è riuscito di ravvisare la qualità che li elevi a rango superiore all’Assistita ed all’Allungato. Tant’è qualcosa, seppur nascosta, ci dev’essere a far tanta differenza. Forse col tempo ne verrò a capo, ma in verità non è quesito stimolante, da parte mia non posso che limitarmi a concedere le medesime attenzioni ai quattro, senza speciali favori dimodochè sia a loro manifesta la mia superiore correttezza.
Oh, parbleau!, Dimenticavo: c’è anche una gatta. Una salsiccia di pelo nero che caracolla buffamente ad ogni chiamata della Giovane Suprema, cavandosi fuori da miseri nascondigli. E’ un’ombra o poco più, un’incerta manifestazione che a stento posso ascrivere all’esclusiva genìa nostra, ragion per cui m’astengo da lungaggini in proposito, a scanso di noia.
I miei umani, consideravo appunto, quest’oggi sono preda di una straordinaria frenesia. Straordinaria e anche ingiustificata, a mio giudizio. Son balzato sulla pila di scatoloni che hanno eretto, da qui posso vedere bene i loro movimenti e, per quanto ciò appaia incredibile, direi proprio che stiano colorando di bianco le pareti della stanza. Il fatto è che suddette pareti già son bianche, ragion per cui solo un attacco di corale follia può esser invocato a motivo dell’insana iniziativa.
L’Allungato dev’essersi destato con la convinzione d’esser la reincarnazione di qualche antico pingitore di sommo talento al lavoro su un’alta commessa, tale è il suo impegno nelle operazioni. Ora sale sulla scala, traballa un istante, brandisce una sospetta protesi irta di setole, la intinge nel colore e dà due, tre strisciate sul muro. Poi discende, s’allontana e studia il risultato dei suoi atti. Insoddisfatto riparte convintamente e replica l’intera pantomima e così via.
L’Assistita non sembra animata dal medesimo fuoco. Anche lei ha la sua protesi setolosa ed opera con solerzia, ma agisce con meno impegno; del resto la scrupolosità dell’Allungato non direi che produca risultati migliori: sempre di colore bianco steso su un muro bianco si tratta, ben pochi errori possono essere commessi, persino da esseri così impacciati e inetti quali son gli umani.
Gli altri due, i Giovani Supremi, forti delle rispettive alte cariche istituzionali, hanno abbandonato i luoghi all’inizio delle operazioni, lasciando al Buontalenti e all’Assistita il disbrigo dell’insolito compito. Son convinto che si ripresenteranno al momento della distribuzione del cibo per poi allontanarsi nuovamente; è evidente che a loro spettano mansioni ben più elevate, da svolgersi in qualche consesso di cariche altrettanto elevate con cui solo i Giovani Supremi sono in grado di colloquiare.
Ma il riposo mi sollecita. Lascio il Tintoretto alle sue misteriose valutazioni circa la perfetta o meno riuscita del laborioso officio di por bianco su bianco; più tardi, forse, lo gratificherò del mio apprezzamento per il lungo lavoro strofinandomi un tantino sul quel muro.
E’ sana regola riconoscere buon parere al lavoro altrui e poi quel suo ingegnarsi comunque per un miglior risultato merita una gratificazione; l’essersi industriato inutilmente non toglie valore all’impegno profuso.

IL FINE

2 commenti

  1. Alberto Salvagno

    Fantastico! Mi affretto a girare il link a tutti i miei amici gattofili

  2. Guido

    Gatto Nelson ringrazia!!

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