21/04/23

NEL PROFONDO *

L'universo profondo è sempre più profondo. Così dicono le immagini del James Webb Telescope.

Si narra che il grande fisico Niels Bohr, nell’esprimere a richiesta il proprio parere su problematiche di scienza, mai usasse locuzioni recise, limitandosi piuttosto all’uso di un cauto condizionale.

Atteggiamento guidato dalla sua naturale consapevolezza che l’inesausta ricerca umana produce risultati dal valore per lo più transitorio, su cui è bene mantenere uno spiraglio aperto al dubitare, consci che le cose “sembrano” funzionare in un certo modo mentre nella realtà sono diverse. E più a fondo si rovista più emergono situazioni e aspetti non previsti, come un sasso lasciato cadere attraverso l’acqua di uno stagno, giunto al fondo, sommuove detriti e limi rivelando inattese novità laddove l’occhio scorgeva immota fanga.

Nel 1995 il risultato di 100 ore di continue osservazioni effettuate con il telescopio Hubble produsse 342 singole riprese fotografiche di uno stretto settore di cielo, scelto il più sgombro possibile da emissioni nel visibile, infrarosso, ultravioletto, raggi X e dall’emissione diffusa dell’idrogeno atomico (H I), in modo da riuscire a catturare la debolissima radiazione visibile emessa dalle galassie più lontane, presumibilmente non numerose, trattandosi di oggetti appartenenti ad un universo ancora neonato.

Le 342 riprese furono composte in una singola immagine, oggi storica per l’astronomia, che aprì un vaso di Pandora sull’universo lontano: in un settore di cielo in direzione dell’Ursa Major, ampio quanto una palla da tennis vista dalla distanza di 100 metri, emersero dal buio almeno 3000 galassie, tra ellittiche, irregolari e a spirale, moltissime con elevato redshift cosmologico.

L’immagine, battezzata “Hubble Deep Field” (HDF) testimoniò che la spazio profondo non solo è molto più popolato di quanto ritenuto in precedenza, ma soprattutto che le tante galassie presenti nell’universo giovane esibiscono vari stadi evolutivi, in contrasto con le supposizioni all’epoca correnti.

Tra il settembre 2003 e il gennaio 2004 Hubble riprese un settore celeste di analoga ampiezza nella costellazione australe della Fornax, rivelando l’esistenza di quasi 10000 oggetti celesti, principalmente galassie ad elevato redshift. L’immagine risultante, denominata HUDF (Hubble Ultra Deep Field) e altrettanto storica dell’HDF, è stata successivamente integrata con ulteriori riprese nel vicino infrarosso nel 2012 (XDF eXtreme Deep Field), nel 2014 con l’ultravioletto (UHDF2014) e nel 2019 (ABYSS Ultra Deep Field).

Il gruppo di immagini rappresenta la più profonda rappresentazione dell’universo finora ottenuta, una minuscola fessura che ha incrinato il modello cosmologico corrente, in particolare mostrando che occorre almeno rivedere le tempistiche di formazione delle prime galassie ed il loro quadro evolutivo. Un'eredità inestimabile (a cui Enzo ha già dedicato un ispirato articolo QUI), lasciata da uno strumento che rimarrà caposaldo di un percorso iniziato con un paio di vetri, levigati a mano e posti alle estremità di un tubo di piombo:

"[...] paulo post, doctrinae de refractionibus  innixus, assequutus sum: ac tubum primo plumbeum mihi paravi, in cuius extremitatibus vitrea duo Perspicilla, ambo ex altera parte plana, ex altera vero unum sphaerice convexum, alterum vero cavum aptavi [...] "

"[...] poco dopo, fondatomi sulla dottrina delle rifrazioni, conseguii [l'invenzione]: prima di tutto mi preparai un tubo di piombo, alle cui estremità applicai due lenti da occhiali, ambedue piane da una parte e dall'opposta invece l'una convessa e l'altra concava [...]" 

La straordinaria prestazione della strumentazione ottica di Hubble, in grado di rilevare radiazione elettromagnetica delle lunghezze d’onda del visibile e fino al vicino infrarosso ma non oltre 1,6 μm, rappresenta il confine ultimo dell’osservazione di emissioni luminose, nel senso che oggetti celesti a redshift troppo elevato sono comunque destinati a rimanere invisibili per qualunque telescopio ottico poiché anche l’onda elettromagnetica emessa alle più alte frequenze del visibile raggiunge lo strumento dopo aver subito uno “stiramento” di entità tale da relegarla nel dominio dell’infrarosso.

Il telescopio Webb riempie parte di questo campo osservativo, potendo arrivare fino a lambire il medio infrarosso (5 μm, perciò molto oltre le possibilità di Hubble). Inoltre può captare molta più radiazione rispetto al suo predecessore, a parità di tempo di esposizione.

Per comparare le prestazioni dei due strumenti quale miglior riferimento scegliere se non proprio l’HUDF e la sua incredibile popolazione di galassie lontane?

Il giorno 11 ottobre 2022 Webb, in appena 20 ore di esposizione, ha ripreso il campo profondo fotografato quasi vent’anni prima da Hubble in ben 11 giorni di esposizione. Il confronto tra le due immagini, pubblicato il 12.4.2023, è riportato in fig. 1.

Fig. 1. A sinistra la storica immagine dell’Ultra Deep Field ottenuta da Hubble nel 2003-2004 con la Wide Field Camera 3, a destra l’immagine dello stesso campo profondo ottenuta dal JWST in circa un decimo del tempo impiegato da Hubble. Credits: NASA, ESA, CSA, STScI, C. Williams (NSF's NOIRLab), S. Tacchella (Cambridge), Michael Maseda (UW-Madison). Image processing: J. DePasquale (STScI).

L’immagine di Webb è il risultato della composizione di singole esposizioni effettuate con lo strumento NIRCam (Near Infrared Camera) usando immagini infrarosse a scala di grigi opportunamente filtrate, ad ogni filtro è stato assegnato un colore per restituire l’immagine definitiva di fig. 1. In dettaglio:

filtro F182M, banda passante 1,722-1,968 μm; colore associato: blu;

filtro F210M, banda passante 1,992 – 2,201 μm; colore associato: ciano;

filtro F430M, banda passante 4,167 – 4,398 μm; colore associato: verde;

filtro F460M, banda passante 4,515 – 4,747 μm; colore associato arancio;

filtro F480M, banda passante 4,662 – 4,973 μm, colore associato: rosso.

In sostanza l’immagine di Webb è analoga a quella ottenuta da Hubble ma con i colori degli oggetti traslati verso lunghezze d’onda minori: ciò che nell’immagine di Hubble tende al rosso diviene tendente al giallo debole nell’immagine di Webb, cio che nell’immagine di Hubble tende all’azzurro diviene tendente al blu deciso nell’immagine di Webb (oggetti molto blu presenti nell’immagine di Hubble escono dal campo di sensibilità della NIRCam di Webb).

Seguendo questa logica può valer la pena divertirsi a scandagliare le differenze cromatiche tra le due immagini; consapevole dell’approccio assai rozzo, inforcati gli occhiali, ho passato qualche tempo a curiosare in questo antichissimo cielo profondo, selezionando alcuni settori interessanti, riportati in fig. 2, per un rapido confronto visuale. In particolare ho indirizzato il raffronto sugli oggetti più arrossati ripresi da Hubble, in linea di massima (ma non necessariamente) riferibili a galassie con elevato redshift.

Fig. 2. I riquadri evidenziano i 4 settori utilizzati nel confronto tra l’immagine di Hubble e quella di Webb.

 

Fig. 2a. Ingrandimento del settore 1 di fig. 2. La galassia debole e molto arrossata nell’immagine di Hubble (indicata dalla freccia) campeggia in colore giallo e con maggiori dettagli nell’immagine di Webb.

 

Fig. 2b. Ingrandimento del settore 2 di fig. 2. Nell’immagine di Webb appare molto ben evidente una galassia molto arrossata (indicata dalla freccia) che è appena distinguibile nell’immagine di Hubble. Una seconda galassia rossa ma ben visibile nell’immagine di Hubble (angolo in alto a sinistra) risalta quasi bianca nell’immagine di Webb.

 

Fig. 2c. Ingrandimento del settore 3 di fig. 2. La galassia indicata dalla freccia nell’immagine di Hubble appare sensibilmente più estesa nell’immagine di Webb (oltre ad evidenziare la migrazione cromatica).

 

Fig. 2d. Ingrandimento del settore 4 di fig. 2. L’oggetto giallo-arancio indicato dalla freccia bianca nell’immagine di Webb è quasi invisibile nell’immagine di Hubble, un altro corpo celeste, indicato dalla freccia verde, sembra non essere stato “visto” da Hubble.

Semplicissimi esempi basati su una banalissima e frettolosa analisi visuale dai quali già si può immaginare quante novità il lavoro di Webb porterà all’astronomia, novità che porranno presumibilmente molti inediti quesiti.

Se non altro si dovrà presto aggiornare al rialzo la stima del numero di galassie presenti nel giovane universo…

9 commenti

  1. Alberto Salvagno

    Esistono anche stelle invisibili nell'ottico che emettono solo luce ultravioletta? Magari perché si stanno avvicinando a noi? Webb quindi non le vedrebbe affatto? Scusa la mia deep... ignorance

  2. Guido

    L'ampiezza della banda di lunghezza d'onda su cui Webb può captare la radiazione con gli strumenti di bordo va da 0.6 μm a  28 μm circa, l'ultravioletto, che non supera la lunghezza d'onda di circa 0.4 μm, è fuori portata, quindi una radiazione totalmente priva di componenti a lunghezze d'onda superiori 0.4 μm direi che non viene registrata dalle telecamere del JWST.

    Se esistano stelle che emettano solo nell'ultravioletto è un quesito per Enzo, comunque direi che emettere  nell'ultravioletto è una cosa, mentre RILEVARE radiazione ultravioletta è un'altra, dal momento che quanto rilevato può essere dovuto sia ad emissione ultravioletta alla fonte e sia all'effetto di "accorciamento" delle lunghezze d'onda dovuto al moto di avvicinamento all'osservatore.

  3. caro Albertone,

    come dice bene Guido, Webb non si occupa dell'ultravioletto dato che il suo scopo principale è riuscire ad andare indietro nel tempo e quindi scontrarsi con il redshift (che è cosa ben diversa dall'effetto Doppler). Il redshift è qualcosa che si accumula nel tempo e può spostare le righe in modo enorme, mentre il blueshift è solo e soltanto un fenomeno dovuto alla velocità di avvicinamento REALE di un certo  oggetto. Le stelle emettono poco nell'UV e quindi normalmente sono visibili anche nell'ottico. Per cercare sorgenti che emettono nell'ultravioletto bisogna raggiungere temperature decisamente più alte, come nelle esplosioni di supernova, nei getti dai buchi neri e nel riscaldamento delle polveri e del gas.

  4. Alberto Salvagno

    Sì, mi è tutto chiaro, ma mi stavo chiedendo con quale velocità una stella tipo Sole dovrebbe precipitare verso noi perché noi la potessimo vedere solo sull'uv. Non vorrei che mentre noi ci trastulliamo con le stelle lontane nel tempo e nello spazio visibili solo nell'ir, quest'altra ci arrivasse di sorpresa in casa :-)

    Qui a Chioggia, con l'ultima grande acqua alta, mia moglie ed io stavamo controllando fuori della finestra, centimetro dopo centimetro, il livello del mare che saliva al di là delle nostre paratoie, quando poi ci voltammo e scoprimmo che l'acqua iniziava ad allagarci entrando dal piatto doccia. Non so se mi spiego

  5. Sentiresti gli effetti di avvicinamento ben prima che diventi invisibile...

    Invece di giocare con ipotesi assurde, perché non risolvi il quiz???

  6. Sentiresti gli effetti di avvicinamento ben prima che diventi invisibile...

    Invece di giocare con ipotesi assurde, perché non risolvi il quiz???

    Così ad occhio direi 1/2 velocità della luce... (per far sparire anche il rosso)

  7. Ricordati, comunque, che effetto doppler e redshift cosmologico sono due cose completamente diverse...

  8. Alberto Salvagno

    Sì, dai, questa differenza tra redshift e doppler me l'hai spiegata bene e credo di averla ben capita... anche se non mi impegno nei quiz... :-)

    Ma nell'Universo, corpi che viaggiano in linea retta a mezza c possono esistere? si sono mai registrati? E i famosi buchi neri che danzano in una spirale sempre più stretta prima di fondersi, quali velocità possono raggiungere?

  9. E' impossibile viaggiare a certe velocità dato che l'energia necessaria non sarebbe disponibile. La rotazione di due buchi neri presenta uno scenario particolare, dando origine aa un'enorme energia che si irradia come onde gravitazionali. Nessuno è ovviamente riuscito a misurare le velocità reciproca, dato che è molto difficile vederli...

    Accontentiamoci delle proprietà dei triangoli... è molto meglio! :wink:

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