19/09/14

Come trovare un buco nero stellare **

Questo articolo è stato inserito nella serie "L'Infinito Teatro dei Buchi Neri", che raccoglie in modo organico gli articoli più significativi sull'argomento.

 

 

nova

Fino a non molti anni fa un buco nero era solo e soltanto un’ipotesi teorica. D’altra parte, l’unica informazione che riceviamo dal Cosmo è la luce e la stessa definizione di buco nero dovrebbe escludere ogni tentativo di osservazione. Fortunatamente, i buchi neri sono spesso accompagnati e questo, per mezzo delle tecnologie attuali, riesce a far vedere ciò che non potrebbe essere visto. “Vediamo” allora come si possono scoprire e quanti, approssimativamente, ne conosciamo. Anche questo articolo è dedicato ad Alvermag… (un vero raccomandato!).

Prima di andare avanti, mettiamoci bene in testa un dato di fatto: nessuno è ancora riuscito a vedere direttamente un buco nero e tutto ciò che sappiamo su di loro deriva da osservazioni indirette. Quando si parla di getti, di campi magnetici, di emissione di raggi X, di deformazioni spazio-temporali, ci si riferisce sempre e soltanto a ciò che capita a qualcosa che NON è il buco nero, ma che gli sta molto vicino. Sembra una banalità, ma vedremo che ciò impone, spesso, regole di classificazione abbastanza precise, basate sulle loro compagne. Trascuriamo del tutto i buchi neri galattici e tutte le macroscopiche manifestazioni che ormai ognuno conosce. Limitiamoci ai casi in cui siamo di fronte a una stella molto massiccia che, giunta alla fine della sua vita “normale”, subisce un collasso gravitazionale ed esplode come supernova (quasi sempre).

Normalmente, ci si riferisce subito ai sistemi binari, ma noi cerchiamo di andare più a fondo della questione e di fare un quadro il più completo possibile. Ricordo ancora che la scoperta (quasi sicura) del primo buco nero stellare risale al 1972 e ha un nome ormai celebre: Cyg X-1. Ricordiamo anche, però, che per ben dieci anni si è anche cercato di trovare soluzioni alternative. I buchi neri sono perciò oggetti giovanissimi! Vedremo che il loro numero è cresciuto di molto, ma vogliamo prima studiare esempi meno evidenti, anche se scoperti (o supposti) molto più recentemente. In altre parole partiamo dai casi più “difficili”.

Prima di iniziare, lasciatemi fare un’altra costatazione molto importante e spesso trascurata. Un buco nero è qualcosa di estremamente massiccio, invisibile, ma capace di fare sentire la propria gravità. Questa definizione di tipo “osservativo”sembrerebbe ottima, ma non è assolutamente sufficiente. Vi sono altri oggetti che possono presentarsi nello stesso modo. Addirittura, anche stelle del tutto normali, ma di scarsa luminosità. Di sicuro le nane bianche e ancor di più le stelle di neutroni. Non stupiamoci quindi se certe decisioni possono essere prese solo dopo aver calcolato la massa dell’oggetto che non si vede. Già questo fatto ci fa capire che se non otteniamo una stima della massa abbiamo ben poche speranze di parlare di buchi neri. Ma per calcolare la massa di una stella è necessario che abbia una compagna. Risulta quindi ben chiaro che i buchi neri accompagnati sono i più favoriti per essere scoperti. Proviamo, però, a vedere se vi sono metodi alternativi

Buchi neri isolati

Ce ne sono di sicuro e molte stelle vivono da sole morendo come supernove. Tuttavia, una cosa è dire che forse all’interno di quella nube che si espande vi è un buco nero e un’altra è essere sicuri che vi sia realmente. Sarebbe troppo facile usare l’equazione: supernova di un certo tipo = buco nero. Ci voglio altre prove. E poi non è che nella nostra galassia le supernove avvengano tutti i giorni…

Microlensing

E’ un effetto molto poco visibile, ma sicuramente affascinante: la deformazione dello spazio a cui nemmeno la luce può sottrarsi. Un buco nero, per piccolo che sia, perturba fortemente lo spazio che lo circonda. Il Sig. Einstein ci ha dimostrato che l’immagine di un oggetto, che passa dietro a uno spazio deformato da una grande massa, deve subire una deformazione e un aumento di luminosità. Sto parlando, ovviamente, della lente gravitazionale. Tuttavia, anche se ormai di dominio pubblico, questi effetti anche macroscopici, saltano agli occhi quando la “lente” è un oggetto veramente gigantesco: una galassia, un ammasso galattico e cose del genere. Non per niente è una tecnica che si usa per “migliorare” le prestazioni dei più grandi telescopi terresti e spaziali e riuscire a osservare oggetti ai confini dell’Universo conosciuto (ossia risalenti alle prime fasi del Cosmo), altrimenti fuori portata per i nostri strumenti. Normalmente, prima si sceglie la “lente” e poi si guarda cos’è riuscita a fare.

Se la lente è invece un buco nero stellare la faccenda si complica parecchio perché è proprio la lente che bisogna scoprire e valutare. In poche parole bisogna riuscire a scoprire se una qualche stella subisce inspiegabili variazioni di luminosità e deformazioni visive. In condizioni normali questo è un fenomeno talmente veloce e difficile da “catturare” che non viene assolutamente considerato (come vincere tre super enalotto di fila). C’è solo da sperare che l’evento sia abbastanza lungo, aumentando le probabilità di rilevazione. Per ottenere ciò vi sono due possibilità: o il buco nero è veramente molto massiccio e quindi il suo campo d’azione è molto vasto, oppure il movimento mutuo tra stella “segnale” e buco nero è molto lento.

Questo tipo di movimento si ottiene proprio sfruttando la posizione della Terra rispetto a segnale e lente. Se i due oggetti sono nella giusta configurazione (uno dietro l’altro), basta il moto di rivoluzione terrestre a far variare le condizioni di vista e evidenziare fluttuazioni luminose periodiche. E’ una specie di parallasse di microlenti (microlensing parallaxes). In queste situazioni, assumendo una certa distribuzione di velocità della galassia, si riesce a calcolare sia la distanza che la massa della microlente. Una cosa, però, è il dire e un’altra è il fare… Al momento vi è un solo candidato piuttosto valido (MACHO-99-BLG-22)… che io conosca, almeno.

Buchi neri singoli affamati

Un buco nero isolato ha comunque molta fame e cerca di mangiare ciò che può. Anche senza avere una compagna accondiscendente, può adattarsi a cibarsi di quel poco che gli offre lo spazio interstellare. Spuntini e poco di più, ma a volte potrebbero essere visibili. Materia che cade verso il buco nero vuol dire emissione di raggi X e magari anche radiazione di sincrotrone (ne abbiamo già parlato) che possono risultare visibili anche nell’ottico. Cercando negli archivi dello Sloan Digital Sky Survey sono stati selezionati ben 150 000 oggetti che mostrano uno spettro di questo tipo. Tra questi, 47 sorgenti sono state confermate da Rosat X. Dopo osservazioni più accurate ne sono rimasti 40. Tuttavia, teniamo presente che essi sono solo candidati che potrebbero essere qualsiasi cosa, anche un lontanissimo quasar…

Ovviamente nessuna speranza di “osservare” buchi neri singoli senza cibo a disposizione…

Buchi neri accompagnati

Beh… qui le cose vanno molto meglio. Data la massa considerevole dei buchi neri, le loro compagne sono praticamente obbligate a donargli parte della loro materia. Ma non sempre è così ed è meglio definire anche una situazione particolare.

Buchi neri e stelle troppo agitate

In questa categoria si inseriscono possibili buchi neri accompagnati da stelle così attive che, pur avendo sicuramente una compagna invisibile, hanno una tale luminosità da non mostrare segni di trasferimento di massa. Normalmente sono stelle Wolf-Rayet e la sorella può benissimo essere una stella normale. Ma è meglio tenerle sotto osservazione. Se ne sono osservate 17.

Buchi neri e stelle molto generose

Ben più interessanti sono i sistemi binari che mostrano caratteristiche ben chiare di trasferimento di massa. Essi vengono divisi in tre categorie che, come già detto, si riferiscono principalmente proprio alle stelle “donatrici”. Si tratta di segnali peculiari che si accompagnano quasi sempre all’emissione di raggi X. Ricordiamo che i raggi X sono prodotti nella “caduta” di materiale verso una stella decisamente più compatta (di qualsiasi tipo). Cadendo, viene rilasciata energia potenziale e vi è emissione di energia elettromagnetica.

Il materiale che invia segnali utili per capire chi lo sta attirando, attraverso la sua rotazione e la temperatura raggiunta, è pur sempre una parte della stella “normale”. La stella compatta non fa assolutamente niente di “suo”, almeno non in maniera diretta. Non è essa che emette, ma è la sua gravità che induce a emettere quello che sta “succhiando”.

Queste binarie vengono chiamate binarie a raggi X (è facile capirne il motivo) e possono essere di piccola, media e grande massa. La massa è ovviamente quella della donatrice.

Le differenze nella massa della donatrice causa differenze nell’intensità dei raggi X e nella loro tempistica. Ad esempio, nelle binarie di piccola massa, il processo di rifornimento avviene a volte in modo transiente e non continuo. Il che implica che il sistema è per lungo tempo quiescente e poi dà luogo a improvvise fiammate X che possono durare pochi mesi. Osservazioni compiute in questo periodo possono evidenziare se rimane un’emissione residua dopo la fiammata. Se ciò capita la stella compatta è probabilmente una stella di neutroni, dato che qualcosa è emesso direttamente da lei. Se, invece, non vi è emissione residua probabilmente è un buco nero che inghiotte tutto e non rilascia niente. Ovviamente, sto di molto semplificando la faccenda.

Altre volte, è la dimensione del bordo inferiore del disco di accrescimento a dare qualche indicazione: se è “troppo” largo può far pensare a un orizzonte degli eventi e quindi a un buco nero.

Vi sono innumerevoli segnali legati ai raggi X, ma nessuno di questi è veramente decisivo. Possono dare indicazioni, ma difficilmente risolvono il dilemma tra stella di neutroni e buco nero. Ciò che veramente può essere un’informazione decisiva è la massa della stella compatta. Vedremo tra poco come questo parametro fondamentale si riesca a ottenere, in modo più o meno incerto.

E’ interessante, comunque, spiegare come avviene la formazione del disco di accrescimento e la sua digestione quasi improvvisa. Nella fase quiescente la materia della donatrice entra dal punto lagrangiano e comincia a orbitare attorno all’oggetto compatto. Il disco continua a rafforzarsi e ad addensarsi fino a un valore critico. La densità altissima crea effetti di viscosità e di aumento di temperatura che ionizzano la materia. Essa diventa instabile nello strato più interno che viene trascinato velocemente verso la stella compatta. Il calore sempre più intenso del disco interno riscalda, però, anche quello esterno che rapidamente segue la stessa sorte. E’ il momento della fiammata.

Poi, lentamente, si ricomincia ad accumulare materia nel disco. Un processo non molto diverso da quello delle nove (che però contengono spesso una nana bianca). Se il flusso è continuo o variabile, se è più intenso o meno intenso e altre caratteristiche ancora più raffinate danno ulteriori piccole informazioni su ciò che si nasconde nell’abbraccio della compagna. In linea di massima, potremmo dire che meno informazioni arrivano dalle zone più interne del disco di accrescimento (come, ad esempio, il punto caldo di impatto sulla superficie della stella compatta) e più il buco nero diventa ipotesi plausibile. Come già accennato, la presenza di un orizzonte degli eventi cancella tutte ciò che vi è tra lui e ciò che ancora esiste della stella collassata.

Cerchiamo, allora, di capire come si faccia a calcolare la massa di un oggetto che non si vede e che è sospettato solo per il tipo di emissione che viene inviata attraverso la materia sfuggita alla compagna, l’unico oggetto visibile per definizione.

Funzione di massa

Le due stelle sono vicinissime e bisogna accontentarsi della curva spettroscopica di quella visibile. Essa permette di determinare il periodo di rivoluzione e il semiasse moltiplicato per il seno dell’angolo di inclinazione orbitale (si può dimostrare con un po’ di matematica). Non è molto, ma pasticciando con la legge di gravitazione universale di Newton (vedete quanto serve ancora il nostro antiquato scienziato) si riesce a determinare la cosiddetta funzione di massa del sistema binario.

Indichiamo con MC e MV le masse dell’oggetto compatto e dell’oggetto visibile. a è il semiasse orbitale, i l’inclinazione orbitale rispetto alla linea di vista, P il periodo di rivoluzione. Si deriva la semplice formula per la funzione di massa F(MC):

F(Mc) = MC3sin3i/(MC + MV)2 = 4π2 (a sini)3/GP2

Se si conoscesse il rapporto di massa o la massa della stella visibile (il che vuole spesso dire conoscere la distanza del sistema) o si avessero altre informazioni orbitali (non semplici da ottenere in molti casi) come la presenza di eclissi nei raggi X (la stella visibile passa davanti alla compagna e pone dei limiti all’angolo i) e chi più ne ha più ne metta, si otterrebbero entrambe le masse.

In generale, però, la funzione di massa permette di calcolare la massa minima dell’oggetto compatto. Se questa supera già un certo valore, possiamo essere sicuri che sia un buco nero. Altrimenti, bisogna fare sforzi ulteriori come nel caso del celeberrimo Cyg X-1.

Insomma, avete capito che bisogna usare strategie più o meno incerte e/o ultra raffinate per poter arrivare a un livello d’incertezza sempre minore. Geometria e dinamica del sistema, fisica e struttura delle emissioni, cercano di lavorare tutte assieme per trasformare una singola stella, le cui righe spettrali (a volte solo nei raggi X) ballano un pochino verso di noi e in verso opposto, in uno scrigno prezioso che contiene (o può contenere) uno degli oggetti più strani e importanti dell’Universo.

Pensate che, a volte, serve perfino fare ipotesi sulle dimensioni del lobo di Roche e sulla sua deformazione durante la rotazione. E’ comunque sempre fondamentale la conoscenza dell’evoluzione di una stella (la donatrice) che permette proprio di creare un modello da inserire nel posto giusto e con le modalità giuste. E, come già detto, questo passaggio comporta la conoscenza della distanza della sorgente. Un bel puzzle, non c’è che dire!

Ammettendo pure che alla fine si riesca ad avere un valore abbastanza accurato (direi meglio “poco incerto”) della massa del misterioso oggetto compatto, abbiamo una qualche certezza per decidere cosa rappresenti?  Vale la pena sprecare qualche parola a riguardo.

La massa di Oppenheimer-Volkoff

Teoricamente esiste un limite di massa che causa il collasso di una stella di neutroni in buco nero. Al pari del limite di Chandrasekhar, che segna il passaggio da nana bianca a stella di neutroni (circa 1,4 masse solari) e che dice quanto la barriera elettronica possa resistere alla pressione gravitazionale prima di unirsi ai protoni e creare una quantità enorme di neutroni, esiste anche un limite che segna quanto la barriera neutronica possa resistere all’ultima decisiva degenerazione della materia che viene trascinata verso il famoso e teorico punto singolare, protetto all’esterno dal sempre vigile e inflessibile orizzonte degli eventi: una vera e propria cortina di ferro!

Questo limite teorico, dove la densità della materia supera la densità nucleare, prende il nome di limite o massa di Oppenheimer-Volkoff. Essendo un limite teorico, esso dipende molto dai parametri scelti nelle equazioni di stato e dalle procedure evolutive della degenerazione. Esso è compreso tra 1.5 e 2.7 masse solari. Inserendo ulteriori considerazioni relativistiche si arriva a valori più plausibili compresi tra 3.2 (oggetti non rotanti) e 3.9 (oggetti rotanti) masse solari.

Come tutti in valori teorici è essenziale “testarli” con le osservazioni. Per far ciò non resta che calcolare le masse di stelle sicuramente di neutroni, ossia che abbiano le caratteristiche delle pulsar (con un segnale radio ben identificabile). Sembrerebbe facile, ma tale non è. Un conto è ricevere un bel segnale da un faro cosmico e un altro è conoscere la sua massa.

Ancora un volta, per avere informazioni sulla massa è necessario che vi sia un sistema binario, in modo da poter applicare la legge di Newton. Le migliori determinazioni di massa si sono avute da sistemi doppi composti da due stelle di neutroni. In ogni modo, la media dei valori ottenuti si aggira proprio poco oltre il limite di Chandrasekhar. Mettendo insieme teoria e quel poco di osservazioni che si hanno, si è deciso di considerare come limite per essere considerato buco nero quello di 3 masse solari. Se poi, l’analisi dei raggi X conforta questa conclusione… tanto meglio!

Come avete visto non è semplice dedurre se un sistema doppio contiene un buco nero. Resta, però, il fatto che se le stelle non sentissero il bisogno di vivere in coppia ben poco si potrebbe sapere sui buchi neri stellari. Rimarrebbero ancora una pura ipotesi teorica… Inoltre, è anche estremamente utile, anzi decisivo, il fatto che le due compagne vivano molto vicine tra loro e che abbiano masse diverse (ossia una sia ancora in grado di fornire materia alla compagna). In tale modo è “facile” determinare la funzione di massa spettroscopica.

Richiamo ancora il fatto che chi compie l’intero lavoro è solo e soltanto la stella visibile: è lei che ci regala lo spettro; è lei che rifornisce di materia la compagna ormai nascosta alla vista; è questa materia che emette i raggi X. insomma, se non ci fosse lei… ciao buchi neri! Tutto ciò che questi riescono a fare è alzare una cortina invalicabile alle informazioni e indicare la possibile presenza di un muro spazio-temporale che le circonda.

Abbiamo dato una visione molto sommaria a uno degli studi più complessi e incerti che devono affrontare gli astrofisici. I raggi X vengono sezionati e analizzati fino allo stremo per non perdere anche la più piccola variazione o anomalia.

A tutt’oggi dovremmo avere una ventina di buchi neri stellari, nella nostra galassia, abbastanza ben accertati. In lista d’attesa ve ne sono almeno una trentina. Non è facile trovarne una lista aggiornata, ma accenniamo soltanto ad alcuni casi tra i più indicativi.

Non si può non cominciare dal primo e sicuramente dal più famoso.

Cyg X-1

Forse l’unico sicuro al 100%, anche se la massa del buco nero non è del tutto accertata. La funzione di massa dà un valore molto basso e sono state necessarie molte ricerche supplementari. Fondamentale è stata l’accettazione dell’appartenenza della sorgente all’associazione stellare Cyg OB-3, la cui distanza è stata determinata in circa 6000 anni luce da noi. La compagna è inoltre un vero gigante, una supergigante blu molto luminosa, di almeno trenta masse solari (le sue caratteristiche e la distanza ci informano sulle dimensioni). Il buco nero ha un massa intorno alle 15 masse solari. No, non stupitevi e non chiedetemi come mai una stella “così” piccola è “morta” prima della compagna più grande. 15 è la massa del buco nero, nettamente inferiore alla massa originaria della stella. Essa doveva essere di almeno 40-50 masse solari. Gran parte della sua massa è stata lanciata nello spazio dal vento stellare intensissimo (e magari ha fatto mangiare un po’ la sorella) ed è probabile che sia collassata direttamente in buco nero nel momento in cui stava ancora bruciando il silicio, senza dar luogo a supernova. La presenza della compagna ancora così vicina sembra appoggiare questa ipotesi. Insomma, un sistema di veri e propri mostri, molto affiatati.

LMC X−3

La sua funzione di massa è di 2.3 e qualche ulteriore considerazione sul “range” dell’angolo d’inclinazione orbitale ha portato a una massa del buco nero compresa tra 4 e 9 masse solari.

SS 433

Anch’esso famosissimo e molto studiato. Purtroppo il ben visibile disco d’accrescimento è l’unico che può essere usato per la determinazione del periodo, dato che la donatrice non mostra righe utilizzabili. In pratica, si riesce a determinare solo la funzione di massa, con l’aggiunta di qualche dato sull’inclinazione. Vari studi hanno portato a valori molto diversi, ma si pensa che il valore migliore porti a una massa del buco nero pari a circa (molto circa) 10 masse solari.

GRO J0422+32

Un probabile mini-buco nero … solo 3.5 masse solari. Proprio al…pelo! Per adesso è il più piccolo osservato.

A 0620−00

La funzione di massa lo dà già vicino al valore limite: 2.7 masse solari. Il sistema, però ha avuto una storia molto travagliata, dato che l’angolo i sembrava variare continuamente, probabilmente in parte per errori insiti nel modello, ma anche per variazioni del disco di accrescimento vero e proprio e quindi delle eclissi causate dalla donatrice. Si accetta un valore tra le 8 e le 11 masse solari.

GRS 1009−45

Funzione di massa e angolo di inclinazione abbastanza in accordo per dare un valore finale basso: da 3 a 5 masse solari.

XTE J1118+480

La funzione di massa è già di per sé sufficiente a farlo entrare tra gli “eletti”: 6 masse solari. Ritocchi basati su i portano a un valore di poco più alto.

Ecc., ecc., ma non vale la pena continuare.

Meglio dare qualche numero statistico. Di 51 possibili buchi neri (all’inizio degli anni 2000) ben 44 (tra cui 13 confermati) appartengono a sistemi binari di piccola massa.  Solo 7 hanno una compagna di grande massa (5 confermati). Abbastanza stranamente, le stelle di neutroni accertate (80) mostrano un andamento opposto: solo pochissime appartengono a sistemi di piccola massa. Boh…? Certamente un argomento da studiare più a fondo.

E’ anche interessante il fatto che la maggior parte dei buchi neri appartengano a sistemi che mostrano il fenomeno della “nova X”, ossia episodi ricorrenti di esplosioni X. Ed è anche vero il viceversa: quasi tutte le nove X contengono un buco nero. Il loro numero aumenta continuamente e sono tra i migliori candidati.

Alcune conclusioni molto preliminari, ma indicative:

I buchi neri sembrano formarsi più facilmente di quanto si prevedeva fino a pochi anni fa. Il limite della massa originaria della stella di sequenza principale che finisce come buco nero scende da 40-50 masse solari a solo 20-25. Durante la fase di supernova sembra che sia espulsa la metà della massa stellare (probabilmente la massa espulsa precedentemente è minore di quanto si pensasse).

Insomma, molto c’è ancora da fare… ma -ricordiamocelo- senza un perfetto lavoro di coppia ben poco si saprebbe sui buchi neri stellari.

NEWS!! Negli ammassi globulari potrebbero esserci molti buchi neri stellari e molti altri potrebbero essere diffusi nella Via Lattea  

5 commenti

  1. Alvermag

    Magnifico articolo Enzo e grazie per la dedica.

    Ti vorrei chiedere (non bacchettarmi!) se, ipotizzando un sistema binario buco nero-stella "normale" con periodiche eclissi, si osservano cambiamenti di colore della luce emessa dalla stella a causa del fenomeno dell'"affaticamento della luce". Mi spiego meglio:

    Situazione 1.
    La stella è posta dietro al buco nero, ma ancora visibile, un attimo prima dell'eclisse.
    La luce emessa dalla stella è dapprima diretta verso il BN per poi, una volta superatolo, iniziare il viaggio verso di noi: è giusto pensare che nel primo tratto la lunghezza d'onda diminuisca (effetto "energizzante" del campo gravitazionale del BN) e nel secondo aumenti (effetto di "affaticamento" per attrazione gravitazionale del BN)? Se è così non dovremmo vedere significative variazioni di colore.

    Situazione 2.
    La stella è posta davanti al BN. Questa volta è presente solo l'effetto di "affaticamento" della radiazione, quindi dovrei vedere una luce più rossa o comunque una stella più fredda del reale .

    In conclusione, il colore della stella dovrebbe periodicamente variare. E' così? E tale eventuale variazione di frequenza sarebbe spesso apprezzabile o lo sarebbe solo in presenza di masse veramente molto grandi?

    Avrei un'altra domanda sulla deformazione/rotazione dello spazio in prossimità di grandi masse rotanti e degli effetti su oggetti in orbita stretta ... ma la rimandiamo a quando tratterai la RG altrimenti mi uccidi.

  2. Ciò che dici, caro Alvy, è molto plausibile, ma non certo rivelabile in un sistema molto stretto con trasferimento di massa (che io sappia almeno). Gli effetti relativistici su oggetti orbitanti sono sono stati studiati, invece, nelle stelle che orbitano attorno a un buco nero galattico.

  3. Michael

    Grazie Enzo, articolo interessantissimo. :)

  4. Lampo

    Wow Enzo...hai compresso in un articolo credo migliaia di pagine di astronomia...interessantissimo e merita di certo una seconda lettura.

    Ma se ci trovassimo nei pressi di una stella di neutroni e potessimo vederla illuminata dalla sua compagna...come ci apparirebbe? Come si comporta la materia degenere con la Luce...? Se per caso ne hai già parlato nella QED chiedo venia ma sono rimasto indietro di 4 o 5 articoli... :oops:

  5. caro lampo,
    innanzitutto grazie...
    Sai, penso che nessuno sappia molto bene come reagisce la materia degenere ai fotoni. In fondo, elettroni ce ne sono pochi e hanno difficoltà a riemettere. Però ci può essere anche decadimento nucleare che invia energia luminosa. Insomma, direi che qualcosa emette, ma non un granché...

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