18/11/14

Momento angolare & Co. 4: “Perché tieni?” e “Perché burli?” **

Per una trattazione completa dell’argomento, si consiglia di leggere il relativo approfondimento nel quale è stato inserito anche il presente articolo

 

Qui vid’i’ gente più ch’altrove troppa,
e d’una parte e d’altra, con grand’urli,
voltando pesi per forza di poppa.
Percoteansi ’ncontro; e poscia pur lì
si rivolgea ciascun, voltando a retro,
gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?».
Così tornavan per lo cerchio tetro
da ogne mano a l’opposito punto,
gridandosi anche loro ontoso metro;

(Vidi più gente qui che in qualunque altro luogo;
divisi in due schiere (avari e spendaccioni), chi in un senso e chi nell’altro,
con grandi urla, facevano rotolare in cerchio dei macigni con la forza del loro petto.
Si scontravano tra loro; e poi, sul luogo stesso dell’urto,
ognuno si voltava, respingendo indietro il peso,
e gridando all’avversario: “Perché tieni?” e “Perché sperperi?”
Tornavano, infine, movendosi attraverso quel cupo cerchio,
da ogni direzione ai punti opposti di partenza,
gridandosi dietro vicendevolmente sempre la stessa infamante cantilena;)

In Fisica vi sono sempre molte strade per giungere a uno stesso risultato. In realtà, esse non differiscono concettualmente tra loro, ma esprimono le operazioni eseguite per ottenere una certa grandezza a partire dalle grandezze di partenza. Cambiando le grandezze di partenza possono cambiare le operazioni da eseguire, ma il risultato deve essere sempre lo stesso, anche se espresso secondo grandezze diverse. E’, quindi, solo un modo diverso di vedere le cose, la cui scelta dipende dal problema che si vuole affrontare e dalle grandezze di partenza. Quando parliamo di momento angolare, ad esempio, si pensa subito ai moti rotazionali. Ed è giustissimo. Tuttavia, per definirlo, potremmo sia partire direttamente dai moti rotazionali  sia da grandezze lineari.

Un esempio l’abbiamo già avuto nella definizione del prodotto vettoriale. Esso agisce su vettori lineari, ma il risultato finale è strettamente legato a un qualcosa che definisce una rotazione. Non per niente, abbiamo introdotto il prodotto vettoriale in modo un po’ diverso dal solito, che già introduce una rotazione (vite che si avvita o che si svita…).

Normalmente, per definire momento angolare, si inizia con parametri legati alla rotazione e quindi si ha una definizione e un’espressione del momento angolare che sembra completamente diverso dalla sua definizione ricavata secondo le leggi del moto lineare. Ma moto lineare e moto rotazionale sono figli della stessa fisica (le leggi della dinamica sono sempre le stesse) e quindi comunque si parta si deve giungere allo stesso risultato. Potremmo, quindi scegliere diversi punti di partenza per arrivare finalmente al nostro attore principale. Noi seguiremo quello che a me sembra più logico e generale e che si rifà alla grandezza fisica che io preferisco in assoluto (ormai lo sapete…): la quantità di moto. Il prodotto vettoriale potrà dare il meglio di sé.

La grandezza “primordiale” dell’Universo

Lasciatemi cercare di spiegare la fisica a modo … mio. Non mi dimenticherò certo dei principi della dinamica (essi devono sempre valere), ma si possono introdurre in modi diversi, come già detto precedentemente.

Sappiamo ormai benissimo che un punto P, libero nello spazio, senza alcun legame con il resto del Cosmo, mantiene il suo moto rettilineo uniforme. Possiamo dire che esso percorre sempre lo stesso spazio in un certo intervallo di tempo. Abbiamo imparato a scrivere questa relazione tra spazio e tempo come velocità del punto.

Qualcuno potrebbe dirmi che il punto potrebbe anche stare fermo. Teoricamente è vero e praticamente non cambierebbe il primo principio della dinamica. In questo caso, infatti, il punto percorrerebbe uno spazio ZERO per qualsiasi intervallo di tempo. La definizione di velocità non cambierebbe, dato che risulterebbe una velocità uguale a zero.

Sono cose che abbiamo trattato in matematica, oltre che in fisica… Basta, infatti, ricordare il coefficiente angolare di una retta e cosa diventa nel caso di una retta parallela all’asse delle x (andate a rileggervi la parte sulla retta e vedrete perfettamente come si esprime il primo principio della dinamica: se m è costante il moto è rettilineo e uniforme e la velocità è costante; se m è uguale a zero, la velocità è nulla e la retta diventa una parallela all’asse x…).

Tuttavia, nell’Universo, niente può essere considerato fermo. Se sembra fermo in un certo sistema di riferimento inerziale non lo è più in un altro. Ci conviene quindi assumere che la velocità sia sempre diversa da zero. L’importante è che sia costante.

Abbiamo introdotto la prima grandezza fondamentale, la velocità v. La scrivo in  grassetto perché essa è un vettore, in quanto per essere individuata ha bisogno di un modulo (la sua grandezza scalare), una direzione e un verso. Per non far sembrare inutili le disquisizioni fatte nei capitoli sui vettori (qualcuno avrà detto: “Ma non dovevamo parlare di momento angolare? Perché tante parole sui vettori e sulle loro operazioni?”), possiamo anche dire che a qualsiasi vettore velocità si può associare un versore u, di modulo unitario, al quale viene moltiplicato il modulo v del vettore v. La scrittura:

v = v u

è sempre valida e può venire utile quando sono necessari certi calcoli o cambiamenti di sistemi di riferimento, ricordando che u ha componenti i, j e k lungo i tre assi cartesiani. Noi -forse-  non ne avremo bisogno, ma è bene tenere sempre a mente che niente di quanto descritto precedentemente è veramente inutile. Il concetto di versore e di componenti di un vettore sono concetti fondamentali da digerire molto bene anche se sembrano un cibo senza … calorie!

Torniamo al nostro vettore v. Potremmo dire che è la grandezza fisica più importante di tutte. Essa esiste per qualsiasi punto dello spazio ed è l’unica che ha questa caratteristica veramente globale. Un matematico potrebbe anche accontentarsi, dato che lui sa benissimo come definire un punto, per piccolo che sia. Un fisico, invece, non se ne fa niente della velocità se essa non viene applicata a qualcosa di concreto e di reale. Che sia pur piccolo deve avere consistenza materiale. Vi prego di non pensare al fotone che ha una sua velocità ma non è qualcosa di materiale. Siamo in fisica classica e la MQ non ci può interessare, per adesso (e non confondiamo nemmeno velocità di un punto nello spazio, con “velocità” dello spazio stesso… ).

Il fisico, allora, deve sostituire alla parola “punto”, la parola “corpo”. Per far ciò deve introdurre un’altra grandezza fisica fondamentale che definisca il corpo a cui è associata la velocità.

Non parlo di caratteristica geometrica, come la posizione nello spazio del corpo P, dato che essa è sempre modificabile cambiando sistema di riferimento e può sempre coincidere con l’origine a  un certo tempo t. Ne segue che anche il tempo è di per sé un qualcosa che possiamo far cominciare dove e quando vogliamo. La stessa definizione di velocità ci tranquillizza in questo senso: lei non ha bisogno di un punto di partenza, dato che è una differenza di spazio divisa per una differenza di tempo. Pensateci bene…  le differenze eliminano il problema di un’origine.

Anzi, ormai sappiamo benissimo che la velocità non è altro che la derivata dello spazio fatta rispetto al tempo (v = ds/dt). Nel caso di una velocità uniforme, però, la derivata ha poca importanza, dato che rimane costante e non abbiamo bisogno di intervalli piccolissimi e di passaggi al limite. In altre parole, il primo principio della dinamica non ha bisogno di derivate!

La grandezza da aggiungere alla velocità non è altro che la massa del corpo.

Cos’è “questa” massa (ben diversa, concettualmente, da quella che nascerà introducendo la forza gravitazionale) che caratterizza così bene un corpo fisico? Potremmo definirla come la resistenza che il corpo oppone al movimento, qualsiasi sia il sistema di riferimento che si stia usando. E’ un gesto di pigrizia. Con una parola più tecnica la possiamo accostare all’inerzia. Un’inerzia rispetto al movimento che viene imposto dalla velocità.

Consideriamo due corpi che abbiano la stessa velocità. Se il primo deve trascinarsi dietro una massa M molto più grande di m, deve fare una “fatica” ben diversa. Immaginiamo l’Universo come un insieme di corpi di massa diversa, ognuno con un certa velocità. Sembra proprio di essere nell’Inferno dantesco, al capitolo VII, quello degli avari e dei prodighi. Chi è il peccatore che spinge un masso più o meno grande a seconda del peccato? Deve avere un nome, una chiara identificazione fisica. La velocità indica solo il movimento. La massa indica solo quanto sia più o meno pesante la pietra. Ciò che veramente descrive l’azione finale è l’unione di queste due grandezze, ossia la fatica fatta del peccatore. Definiamo così la prima grandezza veramente “attiva” nel Cosmo, quella che tiene conto sia della velocità che della massa da trasportare.

Se la massa fosse unitaria questa grandezza avrebbe un certo valore. Se la massa fosse il doppio, il peccatore dovrebbe mantenere la stessa velocità con un  peso doppio. Ma, analogamente, potrebbe avere la stessa massa ma correre con velocità doppia. E’ facile descrive questa “fatica” come il prodotto tra la massa e la velocità. Più la massa cresce e più la fatica aumenta e lo stesso avviene, a parità di massa, se la velocità aumenta. Se vogliamo che la fatica resti sempre uguale, al crescere della massa dobbiamo diminuire la velocità e viceversa. Ossia, massa e velocità sono inversamente proporzionali.

Bene, basta (per il momento) con i peccatori e torniamo alla dinamica di Newton. Definiamo questa “fatica” come quantità di moto e la scriviamo come moltiplicazione tra la grandezza scalare m e la grandezza vettoriale v.

q = mv

dato che vi è un moltiplicazione tra uno scalare e un vettore il risultato deve ancora essere un vettore (lo abbiamo imparato nelle lezioni precedenti), in cui modulo è proprio dato dal prodotto tra lo scalare m e il modulo v, ossia q = mv.

Se l’Universo fosse stato diverso e non fossero esistite interazioni tra corpi, questa grandezza vettoriale sarebbe stata l’unica, più che sufficiente a descrivere ogni "cosa" del Cosmo. Ogni ipotetica particella di questo strano Universo si sarebbe mossa di moto rettilineo uniforme e non avrebbe mai interagito con nessun’altra particella. La quantità di moto di ogni abitante del Cosmo sarebbe sempre rimasta la stessa. Si sarebbe conservata. La massa è quella che è e lo stesso varrebbe anche per la velocità. Un Universo dominato solo dal primo principio della dinamica.

In realtà, se niente viene a disturbare questa situazione “peccaminosa”,  ciò capita anche nel nostro Universo. Tuttavia, la pace è di breve durata e anche la quantità di moto è costretta a cambiare, anche se fa di tutto per rimanere sempre uguale a sé stessa. Parliamoci chiaro: la massa non può cambiare e quindi non crea problemi. Le velocità vorrebbe seguire il primo principio della dinamica, ma ecco che arriva il secondo a rompere le uova nel paniere.

Purtroppo, l’Universo è molto affollato ed esistono quattro interazioni fondamentali. Due di loro  agiscono solo per corpi estremamente vicini. Un’altra agisce solo se i corpi assumono una carica elettrica. L'ultima, la più debole,  rimane comunque e si fa sentire senza paura della distanza. Eh sì, non fosse altro che per la gravità, la nostra quantità di moto avrebbe poche speranze di mantenersi costante. Fortunatamente, i suoi effetti possono essere trascurati per distanza molto grandi e, in prima approssimazione, la fisica può anche divertirsi a mantenere costante la quantità di moto (in certe condizioni). Possiamo, perciò, analizzare la nostra “fatica” da peccatori, come una grandezza costante e che cerca di rimanere tale.

I peccatori sono tanti

Nel settimo canto dell’Inferno, però, i peccatori si scontrano spesso e volentieri, subendo azioni esterne. Lo stesso capita nell’Universo, attraverso azioni a distanza o per contatto ravvicinato. Come si comporta, allora, la nostra quantità di moto?

Analizziamola da vicino e introduciamo, attraverso di lei, il secondo principio della dinamica.

Accettiamo che un qualche disturbo esterno faccia variare la quantità di moto, ossia la fatica fatta dall’avaro o dal prodigo. Variare rispetto a cosa? Beh… è ovvio, una variazione rispetto al tempo. Variazione rispetto al tempo? Ma sappiamo bene come trattare questa situazione! L’operazione così descritta non è altro che la derivata della quantità di moto rispetto al  tempo. Ciò vuol dire che possiamo scrivere:

dq/dt = d(mv)/dt

Abbiamo la derivata di un prodotto, dove, però, uno dei due fattori moltiplicativi, la massa m, è uno scalare, ossia un  numero che non cambia, una grandezza costante nel tempo (ricordatevi le operazioni con le derivate). La derivata allora diventa:

dq/dt = m(dv/dt)

Beh… noi siamo ormai esperti di derivate e di moti nello spazio. Sappiamo benissimo cos’è la derivata della velocità. Essa è l’accelerazione e la indichiamo con a (che è anche, per definizione, la derivata seconda della posizione del corpo P, come già descritto nelle ultime lezioni di matematica: d2s/dt= a)

Abbiamo, allora:

dq/dt = ma

La variazione della quantità di moto non è altro che la massa moltiplicata per l’accelerazione.

Questa variazione è un qualcosa che viene a turbare la tranquillità del nostro peccatore e possiamo chiamarla forza, dato che non è certo cosa semplice cambiare la situazione in cui si trova il condannato. Ci vuole qualcosa di molto “robusto”! Il secondo principio della dinamica ci dice, quindi, che la forza è la variazione della quantità di moto e può essere scritta come massa moltiplicata per accelerazione e indicata con F.

F = ma = m dv/dt = d/dt(mv)

La forza è quindi un disturbo esterno che riesce a modificare la quantità di moto di un corpo che non la cambierebbe per nessun motivo al mondo.

La quantità di moto fa, però, di tutto per conservarsi e ci riesce anche quando la forza che la modifica agisce  attraverso una “brutale” interazione con un altro corpo. Non voglio introdurre concetti come impulso e cose del genere, se no descriveremmo piano piano tutta la fisica…

Basta fare un esempio che già conosciamo bene attraverso l’effetto Compton (?!) o -meglio- attraverso il gioco del biliardo. Lo ricordiamo brevemente, da un punto di vista concettuale. In tal modo ci scontriamo anche con il terzo principio della dinamica.

Immaginiamo che il nostro “peccatore” stia subendo una forza costante, ossia che continui a variare la quantità di moto, dato che la forza continua a variare la sua velocità. In questo caso c’è poco da fare… addio alla conservazione della quantità di moto.

Possiamo esprimere in altro modo questa situazione: la quantità di moto di un corpo non cambia se la forza che agisce sul corpo è nulla. Essere nulla, però, non vuol dire che non ci siano forze… vuole solo dire che la risultante di tutte le forze è nulla.

La forza è un vettore e quindi sommando vettorialmente tutte le forze che agiscono sul corpo potremmo ottenere una forza finale uguale a zero (le operazione sui vettori tornano in auge…). Benché in mezzo a un caos terribile la nostra quantità di moto rimane costante. Ci sono mille modi perché ciò avvenga, ma noi ne consideriamo uno semplicissimo (ne abbiamo già parlato, ma è sempre utile ripetere).

Abbiamo il “peccatore” P che si scontra con il “peccatore” Q, proprio come avviene nel settimo Canto… Cosa succede alla loro quantità di moto? Sono entrambi peccatori, devono soffrire la stessa pena e si sentono parte di un unico sistema… Parliamo seriamente.

Il primo corpo sbatte contro il secondo, il che vuole anche dire che il secondo sbatte contro il primo. L’operazione di “sbattere” introduce una forza esterna ai nostri due corpi. Entrano in gioco le interazioni dovute al contatto tra due “pezzi” di materia, ma trascuriamone pure le cause.  Il primo corpo agisce sul secondo imprimendogli una forza FP. Il secondo, però, non è da meno e risponde con una forza FQ. Il terzo principio della dinamica ci dice che le due forze devono essere uguali e contrarie.

Cosa succede nel momento in cui avviene l’urto? Il corpo P e il corpo Q diventano un corpo solo. Succede solo per un attimo, ma succede. Le due forze di prima agiscono solo se vi è contatto, ossia agiscono solo in quell’istante. In quell’istante possiamo perciò considerare un corpo unico PQ che ha una certa quantità di moto, data dalla somma delle due quantità di moto dei corpi P e Q. Su questo corpo PQ sta agendo una qualche forza esterna di disturbo? In realtà, sì… anzi due, ma UGUALI E CONTRARIE. In altre parole, la loro somma è uguale a ZERO. Il corpo PQ, a seguito dell’urto, non cambia la propria quantità di moto. Quando i due corpi originari P e Q si staccano e ritornano a viaggiare indipendentemente, la somma delle loro quantità di moto deve essere uguale a quella prima dell’urto. Ognuno ha sicuramente mantenuto la sua massa, ma ha cambiato la velocità, e quindi ognuno ha cambiato la sua quantità di moto, ma si è conservata la somma, proprio quella che avevano nel momento del contatto, in cui formavano un unico sistema,  e in cui le forze createsi si annullavano per il terzo principio della dinamica. In altre parole, i due corpi hanno cambiato la propria quantità di moto, ma si è conservata quella del sistema che li contiene tutti e due. Questa frase è molto importante, perché ci dice che una certa grandezza si conserva a seconda del sistema che si considera.

E’ molto meglio vedere la situazione con qualche formulata facile facile..

Il corpo P ha quantità di moto qP= mPvP. Il corpo Q ha quantità di moto qQ = mQvQ. Nel momento dell’urto possiamo scrivere il terzo principio della dinamica:

FP = - FQ

Ma il secondo principio della dinamica ci dice chela forza indotta da P è proprio la variazione della quantità di moto di Q

FP = dqQ/dt

Vale, però,  anche il viceversa, ossia la forza indotta da Q è la variazione della quantità di moto di P:

FQ = dqP/dt

E quindi:

dqQ/dt = - dqP/dt

dqQ/dt + dqP/dt = 0   (la somma delle derivate è la derivata della somma…)

d(qQ +qP)/dt = 0

Se la derivata di “qualcosa” è zero, il “qualcosa” deve essere costante

qQ + qP = costante

mQvQ+ mPvP = costante

Se la somma rimane costante lo sarà sia prima che dopo l’urto, dato che al momento dell’urto non cambia la quantità di moto del sistema. Si ha quindi la scrittura più comune:

mQvQ + mPvP = mQvQ’ + mPvP

dove v e v’ sono le velocità prima e dopo l’urto.

Insomma, questa quantità di moto fa di tutto per mantenersi costante anche se subisce scontri violenti. Il corpo singolo non riesce a farlo ma si allea con chi lo urta, in modo da mantenere costante la somma delle loro quantità di moto! Le conseguenze possono essere molto varie e le vedete nel gioco del biliardo e/o delle bocce. Il peccatore che aveva una certo peso e una certa velocità può andare a sbattere contro un altro peccatore che si era, ad esempio, fermato pur avendo la stessa massa da portare (per qualche urto precedente). Ebbene la conservazione della “fatica” (o della quantità di moto) fa sì che chi prima si muoveva si fermi e chi prima era fermo si metta in movimento. Una specie di legge di compensazione della fatica… Un po’ ciascuno non fa male a nessuno.

Ovviamente, non solo il biliardo sfrutta la conservazione della quantità di moto. Tra le infinite applicazioni basta ricordare quella del fucile (o della pistola o di qualcosa del genere).

Il sistema fucile più proiettile può essere considerato un sistema isolato. Le forze che permettono al proiettile di "uscire" dall'arma da fuoco  sono tutte interne al sistema. Pertanto si può applicare il teorema di conservazione della quantità di moto. All'inizio sia il proiettile che il fucile sono fermi, quindi la quantità di moto totale del sistema è uguale a zero. Di conseguenza deve essere uguale a zero anche la quantità di moto finale . Dopo lo sparo vale allora la relazione  mF · vF = mP · vP (dove la lettera F vale per il fucile e la P per il proiettile). Notate che vF e vP hanno segno opposto, ma la formula è sempre l'ultima che abbiamo scritto precedentemente. Se conosciamo il peso del fucile e del proiettile e misuriamo il rinculo del fucile, è possibile ricavare la velocità del proiettile (oppure il viceversa). Pensateci sopra e troverete molti altri esempi nella vita di tutti i giorni...

Ribadiamo ancora, però, che quello che conta per stabilire una conservazione di grandezze fisiche è il sistema fisico che si considera. Pensate, ad esempio, alla Terra da sola; alla Terra più la Luna; alla Terra più la Luna e più il Sole; all' intero Sistema Solare; ecc., ecc.

Ciò che si conserva in un sistema può benissimo non conservarsi in un altro. La quantità di moto del proiettile passa da zero a un valore molto alto. Lui da solo non conserva un bel niente, ma il sistema proiettile-fucile sì.

12 commenti

  1. alexander

    grazie mille per la lezione sulle leggi della dinamica e su come funziona il principio della conservazione....
    Ne avevi parlato altre volte ma dato la sua importanza dei bei ripassoni di tanto in tanto fanno proprio bene! :)
    A me e' servito molto soprattutto perche' mi ha fatto ragionare su quel "filo solo all'apparenza invisibile" che lega i 3 principi e la conservazione della quantita' di moto...

  2. e siamo solo all'inizio... adesso cominciamo a girare... ma non è difficile passare da quantità di moto a momento angolare. Basta usare il prodotto... vettoriale! :wink:

  3. alexander

    insomma dopo gli articoli sulle leggi della dinamica, sulla relatività galilena e sul momento angolare credo proprio che nella sezione approfondimenti dovrai inserire la voce meccanica classica accanto a quella della meccanica quantistica! :idea: :-P

  4. eh sì... penso proprio di sì... questo blogghino è sempre in divenire... :-P

  5. Paolo

    Caro Enzo, dato che la quantità di moto è una “faticosa” grandezza fisica fondamentale... per vedere se ho capito ho provato a calcolare la velocità di un ipotetico proiettile.

    I dati di partenza sono i seguenti (non sono esperto di fucili, per cui non ho idea se tali dati sono attendibili):
    mP = Peso proiettile 4 grammi
    mF =Peso Fucile 3000 grammi
    vF= Velocità rinculo, 1 m/sec

    Ora considerato che la quantità di moto del sistema fucile-proiettile si deve conservare, si può scrivere:

    mFvF + mPvP = mFvF’ + mPvP’

    Dato che prima dello sparo, vF e vP erano uguali a zero:
    0= mFvF’ + mPvP’
    mPvP’= - mFvF’
    vP’= - mF/mP vF’

    vP’= - 3000g/4g 1 m/sec = -750 m/sec (il segno meno dovrebbe indicare che il proiettile si muove in direzione opposta rispetto al fucile ed al suo rinculo).

    E' corretto?

    Paolo

  6. corettissimmissimissimo! :-P

  7. foscoul

    Quanti metri farà il proiettile dal 'uscita del fucile prima di esaurire la sua spinta naturalmente in condizioni atmosferiche standard :?:

  8. foscoul

    In pratica la sua gittata "massima".

  9. foscoul

    E se io mi trovassi in orbita e sparassi verso la luna riuscirebbe il mio proiettile a raggiungerla :mrgreen:

  10. foscoul

    La gittata è la distanza orizzontale del punto di lancio del corpo dal punto in cui il corpo tocca il suolo. In generale la gittata di qualsiasi corpo puntiforme che parte da un certa altezza indicata con h e descrivendo una parabola atterra sullo stesso piano da cui è partita segue le leggi descritte da questa formula:
    R= (velocità iniziale ^2/ g) * sin(2x).
    In tale equazione si vede che essa dipende naturalmente dalla velocità del corpo. Invece g indica la forza di gravità il cui valore sulla Terra è 9,8 m/s^2.
    Notiamo che R è inversamente proporzionale a g, perciò se aumentasse g (ad esempio su Giove) la gittata sarebbe maggiore. Con il medesimo corpo possiamo ottenere variazioni di gittata nonostante abbia la stessa velocità iniziale in ogni caso. Infatti c'è un ultimo valore importantissimo descritto nella formula da cui dipende la gittata: il seno dell'angolo che si forma fra la direzione del proiettile e il piano di riferimento.
    Approfondimento
    Per calcolare la gittata massima di un corpo dobbiamo valutare quale possa essere il massimo valore di sin (2x) della formula. Basta ricordare alcuni concetti di trigonometria: sin (2x) è massimo quando assume il valore di 1, ovvero quando 2x=90° quindi x=45°.
    Ponendo nell'equazione iniziale (R= (v iniz. ^2 / g)* sin (2x) x=45° otteniamo la gittata massima del nostro proiettile. Abbiamo calcolato la gittata massima di un corpo.
    E' corretto Enzo...

  11. avevo fatto questi esempi proprio nel libro sulla Fisica addormentata. Prima o poi riprendiamo il caso del cannone, dell'obice e del mortaio... Al momento interessa solo la quantità di moto... non possiamo espanderci verso la cinematica... Abbi pazienza e prima o poi arriverà anche quella... :wink:

  12. caro Foscoul...
    stai però attento che r va con l'inverso di g e quindi su Giove capita proprio il contrario! Dai limitiamoci alla quantità di moto in attesa di sparare!!! :-P

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:wink: :twisted: :roll: :oops: :mrgreen: :lol: :idea: :evil: :cry: :arrow: :?: :-| :-x :-o :-P :-D :-? :) :( :!: 8-O 8)

 

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