03/11/15

Pianeti nascosti **

Scoprire nuovi pianeti di tutte le dimensioni e composizione è ormai un gioco quasi automatico. Tuttavia, siamo sempre di fronte a pianeti già costruiti, che ormai occupano una loro posizione nel sistema (a parte possibili migrazioni…).

Dispiace non riuscire a vedere le fasi precedenti, quando la formazione non è ancora stata completata. Solo così si potrebbero capire i meccanismi veramente utilizzati. Questo, però, vorrebbe dire riuscire a leggere all’interno del cosiddetto disco circumstellare ancora in piena attività frenetica.

Limitarsi alla scoperta di anelli e di lacune all’interno dei dischi corrisponde già a un passaggio successivo e, oltretutto, un “gap” potrebbe evidenziare la presenza di più pianeti, comunque ancora invisibili con la tecnologia attuale. Tuttavia, la ricerca di addensamenti e lacune ha innescato un nuovo metodo di rilevazione proposto con molta semplicità.

Il ragionamento è veramente banale: la nascita di lacune all’interno dei dischi, causati dalla crescita di uno o più pianeti, indica chiaramente che deve esistere un’interazione gravitazionale tra il proto pianeta e la polvere e il gas che lo circonda. D’altra parte, la pulizia dell’orbita è una delle caratteristiche essenziali per essere considerato un vero pianeta. Si deve perciò supporre che fin dall’inizio il pianeta che ha deciso di accumulare massa deve in qualche modo farsi “notare” all’interno del disco.

A questo punto sono necessarie due cose: costruire un modello che simuli cosa possa avvenire nel disco quando un nucleo si comincia a formare e collezionare osservazioni di dischi proto planetari che mostrino qualcosa di strano al loro interno. L’ideale sarebbe non essere troppo influenzati dalle osservazioni nello scrivere il programma… Gli autori di questo studio sembrano averlo fatto con la giusta serietà scientifica.

Tra i vari dischi osservati ve ne sono due con caratteristiche strane, ma abbastanza ben definite. Essi assomigliano quasi a delle mini-galassie con materia che spiraleggia secondo due bracci attorno a stelle molto giovani. Se il disco è ancora abbastanza spesso una struttura del genere potrebbe essere dovuta alla presenza di un’anomalia al suo interno capace di mostrare macroscopicamente la sua azione gravitazionale.

Perché non provare a confrontare le osservazioni con un modello che simuli un disco circumstellare nella sua prima fase, ossia quando viene disturbato da un corpo massiccio presente al suo interno? Ovviamente, bisogna tenere in conto la rotazione differenziale, comportamento che trasforma una peculiarità localizzata in un’onda che si propaga proprio come si vede nelle galassie. Il modello mostra proprio questa struttura. Sembrerebbe quasi la scoperta dell’acqua calda…

A questo punto, facciamo un confronto con una delle due stelle osservate ed ecco la figura che segue.

A destra, le osservazioni ottenute dal VLT dell’ESO che mostrano un disco protoplanetario attorno alla stella MWC 758. Esso mostra due bracci a spirale che si estendono per oltre 15 miliardi di chilometri dalla stella. A sinistra, il modello che riproduce i due bracci e che indica con “x” la posizione del pianeta, causa di tutto ciò. Fonte: NASA, ESO, ESA, M. Benisty et al. (University of Grenoble), R. Dong (Lawrence Berkeley National Laboratory), and Z. Zhu (Princeton University)
A destra, le osservazioni ottenute dal VLT dell’ESO che mostrano un disco protoplanetario attorno alla stella MWC 758. Esso mostra due bracci a spirale che si estendono per oltre 15 miliardi di chilometri dalla stella. A sinistra, il modello che riproduce i due bracci e che indica con “x” la posizione del pianeta, causa di tutto ciò. Fonte: NASA, ESO, ESA, M. Benisty et al. (University of Grenoble), R. Dong (Lawrence Berkeley National Laboratory), e Z. Zhu (Princeton University)

L’accordo sembra perfetto! Non possiamo certo essere sicuri che non vi siano state piccole forzature nel modello, ma la somiglianza sembra proprio al di sopra di qualsiasi sospetto. Un bel colpo, che avrebbe ripercussioni ben maggiori di quelle di scoprire pianeti prima che completino la loro formazione. L’analisi delle onde a spirale può indicare non solo la posizione del futuro pianeta, ma anche la sua massa.  Nei due casi osservati saremmo di fronte a pianeti enormi, con una massa ben dieci volte superiore a quella di Giove (magari nane brune...).

Insomma, due piccioni con una fava! Da un lato si scoprirebbero nuovi pianeti anche senza vederli direttamente; dall’altro si potrebbero studiare le fasi primigenie di formazione planetaria. Un nuovo obiettivo per il prossimo Webb Space Telescope, capace sicuramente di mostrare i dischi circumstellari con una grande dovizia di particolari, oggi al limite delle strumentazioni.

Probabilmente, sarà anche capace, in molti casi, di confermare completamente l’ipotesi, riuscendo a mostrare sia i bracci a spirale sia il quasi-pianeta che li causa.

Un bel lavoro, semplice ma estremamente logico, che potete trovare QUI.

NEWS!! In attesa di Webb, ALMA ha scoperto un altro disco protoplanetario a forma di spirale intorno ad una giovanissima stella.

2 commenti

  1. Mario Fiori

    Effettivamente un bel lavoro. Mi colpisce anche il ricorrere della forma a spirale nel Cosmo, in grande ed in piccolo.
    Anche se i tempi sono , presumo, molto molto lunghi, fino a quale fase un uomo potrà vedere la formazione planetaria e poi ...ai posteri l'ardua sentenza?
    Comunque sia si potrano trovare ed analizzare fasi diverse in stelle diverse e così via via affinare i modelli.

  2. la fase iniziale dovrebbe prendere qualche centinaio di migliaia di anni, al limite pochi milioni. Poco, ma sufficiente per trovare molte stelle in quella situazione.

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