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RELATIVISTI 10 : NOETHER e SCHWARZSCHILD   

Questo articolo fa parte della serie Relativisti

 

RELATIVISTI 10: NOETHER e SCHWARZSCHILD                                                           7 aprile 2021

Due grandi matematici che, pur nella brevità della loro vita, hanno lasciato una profonda impronta nella storia della relatività.

 

Emmy Noether

Certamente Einstein, più di ogni altro, comprese le conseguenze della simmetria delle leggi fisiche e il loro collegamento con la struttura matematica dello spazio-tempo, mettendone in luce le profonde e rivoluzionarie implicazioni.

Già nel 1910 Klein aveva osservato che relatività significa invarianza rispetto a un gruppo di trasformazioni e implica perciò una particolare simmetria delle equazioni della teoria, a sua volta un riflesso della geometria dello spazio-tempo postulata per l’insieme degli eventi fisici.

Emmy Noether, che a quell’epoca aveva al suo attivo numerose pubblicazioni sulla teoria degli invarianti ed era ormai considerata un’ autorità sull’argomento. Questo spiega perché avesse attratto l’attenzione di Hilbert e di Klein i quali, immersi fino al collo nella teoria della gravitazione l’avevano invitata a Göttingen.

Emmy Noether si trovava là dall’aprile del 1915.

Tra la fine di giugno e i primi di luglio del 1915 Einstein viene invitato a tenere sei conferenze a Göttingen sulla teoria della relatività generale. “Con mia grande gioia sono riuscito a convincere completamente Hilbert e Klein”. “Sono entusiasta di Hilbert: un personaggio autorevole”, scrisse a Sommerfeld al suo ritorno a Berlino.

Un entusiasmo apparentemente condiviso da Hilbert, che in quello stesso anno propone Einstein per il prestigioso premio Bolyai “per l’alto spirito matematico che permea tutti i suoi risultati”.

A quest’epoca Einstein non aveva ancora completato la teoria, che presentava alcuni problemi. I progressi più importanti risalgono al periodo tra l’ottobre e il novembre di quell’anno.

Il passo finale verso il completamento della teoria generale della relatività fu fatto quasi contemporaneamente da Einstein e da Hilbert.

Tra il 7 e il 20 novembre i due ebbero un fitto scambio di lettere nel quale si comunicavano l’uno all’altro gli ultimi risultati. Hilbert scrive a Einstein: “Il tuo sistema [di equazioni] si accorda, per quanto mi è dato di vedere, esattamente con ciò che ho trovato nelle ultime settimane e ho esposto all’Accademia”.

Il 25 novembre Einstein presentò all’Accademia prussiana la versione definitiva delle equazioni del campo gravitazionale che rappresentavano il completamento della struttura logica della teoria.

Il 20 novembre Hilbert aveva sottoposto a sua volta all’Accademia delle scienze di Göttingen una nota – “Grundlagen der Physik” (Fondamenti della fisica) – nella quale derivava le equazioni definitive del campo gravitazionale come soluzione di un problema variazionale. E’ difficile stabilire quanto ciascuno avesse appreso dall’altro, tuttavia Hilbert ammise pubblicamente che la grande idea di base era di Einstein.

Alla fine del suo lavoro Hilbert magnificava il “metodo assiomatico”, del quale era il re, che aveva utilizzato impiegando “i più potenti strumenti dell’analisi, ovvero il calcolo delle variazioni e la teoria degli invarianti”.

Tra il 1917 e il 1918 Einstein ebbe frequenti contatti con F. Klein, e il principale argomento del loro scambio epistolare fu proprio la conservazione dell’energia. In quegli anni anche Emmy Noether si trovava a Gottinga, principale interlocutrice di Klein per quanto riguardava il problema della conservazione dell’energia. Nel 1918 Klein riuscì finalmente a spiegare in maniera soddisfacente la relazione tra le teorie di Einstein e Hilbert e la conservazione dell’energia. Come lo stesso Klein evidenziò, “il lavoro di Noether ha fornito un contributo fondamentale.”

Sulla vita e l'opera di Emmy Noether è possibile consultare questo articolo e l'appendice in esso referenziata.

 

Karl Schwarzschild

Negli anni in cui Einstein conclude vittoriosamente la sua impresa, in Europa esplode la prima guerra mondiale, un tragico evento che causerà oltre 37 milioni di morti.

Nel freddo inverno 1915 le armate tedesca e russa si fronteggiano in una logorante guerra di trincea.

Nell'armata prussiana presta servizio, come volontario, un giovane matematico e fisico tedesco: Karl Schwarzschild.

Nel 1896, a 23 anni, ha conseguito a pieni voti il dottorato di ricerca in astronomia presso l'università di Monaco di Baviera e nel 1900 ad un incontro della Società tedesca di Astrofisica discute la sua idea che lo spazio possa essere non euclideo ma abbia un raggio di curvatura.

L'anno seguente è direttore dell' osservatorio astronomico di Gottinga

Negli anni successivi collabora con Hilbert, Minkowski e Poincarè sui temi legati alla teoria della relatività. Dal 1909 assume l'incarico di direttore dell'osservatorio astrofisico di Postdam, a quel tempo la sede più prestigiosa in Germania per l'astronomia.

Nel 1914 si arruola come volontario nell'esercito tedesco e viene mandato dapprima in Belgio e in Francia dove, in virtù delle sue competenze scientifiche, viene impiegato nella stazione metereologica e poi nel calcolo delle traiettorie dei proiettili.

Successivamente viene inviato in Russia.

E' proprio mentre si trova in un ospedale da campo sul fronte russo che legge i lavori di Albert Einstein e scrive di getto un lavoro sulla teoria dei quanti e due sulla teoria della relatività

In uno di essi individua la prima soluzione esatta delle equazioni di Einstein per il campo gravitazionale intorno a una stella a simmetria sferica, Invia il suo lavoro a Einstein che gli risponde: “ non mi aspettavo che si potesse formulare una soluzione esatta del problema in modo così semplice”. Nell'articolo enunciava che per sfuggire al campo gravitazionale di corpi celesti con massa sufficientemente elevata occorrerebbe una velocità maggiore di quella della luce, mettendo così le basi per gli studi sui buchi neri.

Tuttavia questa ipotesi era vista dallo stesso Schwarzschild come puramente teorica , una singolarità matematica piuttosto che una concreta realtà fisica.

Le sue soluzioni alla relatività generale hanno consentito di calcolare la precessione dell'orbita di Mercurio e la deflessione della luce in prossimità del Sole a causa del suo campo gravitazionale.

Dal suo letto in ospedale, nel gennaio 1916, scriveva a Einstein: “Come vedi, la guerra mi ha trattato bene, mi ha permesso di sfuggire dal fuoco pesante e intraprendere questo cammino nella terra delle tue idee.

Sfortunatamente questa situazione doveva precipitare drammaticamente solo pochi mesi dopo, a causa dell'insorgere di una malattia autoimmune della pelle, per la quale a quel tempo non esisteva alcun rimedio e che gli fu fatale. Rimandato a casa nel marzo del 1916, sopravvisse solo un paio di mesi. Nel maggio seguente concludeva la sua breve ma intensa esistenza a soli 42 anni.

 

3 commenti

  1. Alberto Salvagno

    Non so se mi puoi aiutare, ma ho un vago ricordo di 50 anni fa che riguarda Schwarzschild.

    Mi chiedevo se per impressionare una pellicola a colori, un flash della durata di un centesimo di secondo fosse equivalente a - a parità di potenza - a 10 flash di un millesimo di secondo. Fu la rivista Photography, mi pare, che mi spiegò che non si equivalevano proprio sulla base di un certo studio di Schwarzschild.

    Riusciii a fare delle prove e verificai che avevano ragione.

  2. Maurizio Bernardi

    Caro Alberto, ricordi bene.

    A questa pagina , che probabilmente troverai interessante, se ne parla, https://www.gerardobonomo.it/2023/01/18/fotografare-di-notte/

    riporto la parte che ci interessa e riguarda Schwarzschild, intitolata "Il difetto di reciprocità"

    Il difetto di reciprocità 

    Tutte le pellicole sono “afflitte” dal cosiddetto difetto di reciprocità. Significa che quando l’esposimetro dà esposizioni fino al secondo di posa, e relativo diaframma, è possibile riportare i dati sulla fotocamera. Dopo il secondo di posa, invece, la pellicola necessità, progressione logaritmica, di esposizioni più lunghe.

    Karl Schwarzchild fu il primo fisico a descrivere il problema del difetto di reciprocità che caratterizza le emulsioni fotografiche

    L’esposizione, nel mondo fotografico, si regge sulla Legge di Reciprocità che basa la regolazione dell’esposizione su due fattori, durata = tempo, e intensità = diaframma, inversamente proporzionali tra di loro ed espressa con la seguente formula:

    E = I • t

    in cui: E = esposizione, I = intensità della luce, t = tempo di esposizione

    Grazie a questa legge si può facilmente gestire l’esposizione come una serie di coppie, formate da un tempo di otturazione e un valore di diaframma ben precisi.
    A parità di esposizione quindi sarà possibile cambiare il valore di un parametro modificando al contempo l’altro in direzione opposta della stessa quantità per ottenere il medesimo risultato: ovvero, a livello d’esposizione, utilizzando la coppia 1/125 a f/11 e 1/250 a f/8 si otterrà un’immagine esposta in maniera uguale.

    Questa proprietà viene meno quando si utilizzano tempi di otturazione molto veloci o molto lenti, inferiori a 1/2000s o maggiori di 1-2s, ma sono valori fortemente variabili in base al tipo di emulsione fotografica utilizzata.
    Questa anomalia viene definita come “Difetto di reciprocità” ( Black shield effect ) o effetto Schwarzschild, in onore del fisico e astronomo Karl Schwarzschild che per primo, agli inizi del 1900, espose il problema.

    Infatti per raggiungere la corretta esposizione, ogni emulsione possiede un intervallo di tempi di posa ottimali per i quali la legge è valida, al di fuori dei quali, la pellicola perde gradatamente di efficienza come se la propria sensibilità si abbassasse man mano che si prolunga la posa. In questi casi quindi occorre compensare questa perdita di sensibilità aumentando di conseguenza il tempo di posa, ma oltre un certo valore la correzione perde d’efficacia e ogni ulteriore incremento non porta a sostanziali benefici. Non solo, lavorando con tempi di posa fuori specifica, le pellicole restituiscono immagini dai contrasti alterati e con dominanti cromatiche difficili da compensare.

    L’effetto cambia a seconda della pellicola ma non in modo sostanziale: alcuni produttori forniscono apposite chart dedicate alle singole pellicole, esistono poi tabelle universali che di media risultato affidabili.

    Va da sè che l’effetto di non reciprocità si misura una sola volta: se dobbiano scattare a f/5,6 per 3 secondi, si controlla la tabella e si valuta che l’esposizione corretta dovrà essere di 8 secondi. A questo punto si scatta, ovvero, non si controlla più qual’è l’effetto di non reciprocità a 8 secondi.

  3. Alberto Salvagno

    Grazie Mauri! E bravo Albertone, non ancora del tutto rinco...!

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