17/10/14

Spettroscopia 3. L’arcobaleno non è nel vetro *

Per una trattazione completa, inserita in un contesto più ampio, dell’argomento affrontato in questo articolo, si consiglia di leggere il relativo approfondimento

Iniziamo, allora, il nostro viaggio nella spettroscopia sapendo ormai bene cosa significa: decodificare il messaggio ultra-compresso inviatoci dalle stelle. Vedremo che vi è una catastrofe incombente, come spesso accade in tante avventure a lieto fine. In questo caso la catastrofe ha un nome: catastrofe ultravioletta. Essa compare nella sua drammaticità dopo che la spettroscopia è già nata e ha dato informazioni eccezionali. Una catastrofe sempre latente, però, lasciata quasi da parte, cercando di chiudere gli occhi per non rendersi conto della sua esistenza. In fondo si riusciva lo stesso a comprendere molto bene tante cose. Quando si è finalmente affrontata di petto, la sua soluzione ha fatto nascere la meccanica quantistica e gli elettroni hanno dominato la scena insieme ai loro messaggeri, i fotoni.

Avanti, allora, cominciando, ancora una volta, dal grande Newton…

Viva la luce, l’unica informazione che riusciamo a ricevere dalle stelle e dagli oggetti dell’Universo che non siano alla portata degli altri nostri quattro sensi. Qualcuno potrebbe dire: “Non è vero! Quando ci mettiamo al Sole sentiamo molto caldo e la nostra pelle può anche bruciare. Il tatto è stimolato e come…”. No, non confondiamo l’effetto con la causa, perché questo errore ci permetterebbe di misurare la temperatura di una stella solo attraverso l’esposizione alla sua luce e magari con un termometro casalingo.

A parte il fatto che il Sole è l’unica stella che riesce a stimolare altri sensi e non solo la vista, proprio perché è decisamente molto vicina, resta il fatto che l’aumento della nostra temperatura corporea è una reazione a seguito dell’arrivo sulla nostra pelle della luce solare. Il messaggio, che il nostro corpo traduce come può, è sempre lo stesso, quello portato dai fotoni. Non conviene perciò utilizzare i nostri sensi, con gravi rischi per la salute, ma è molto meglio affidarsi a strumentazioni più accurate e sicure. Questo lo avevano capito fin dall’antichità.

Il vetro non trasforma la luce

Una volta, purtroppo, l’unico strumento umano che poteva catturare l’informazione luminosa era l’occhio. Marchingegno fantastico, ma di portata limitata anche per le sue dimensioni molto ridotte. Le stelle non potevano che restare punti e la loro luce sembrava tutta uguale a quella delle altre. Qualcuna più luminosa, altre molto meno, ma sempre le stesse, ogni notte. Non per niente si immaginava che fossero fisse e immutabili.

Tuttavia, vi era anche quella del Sole e questa si riversava  sulla Terra e sull’uomo in modo ben più violento e apprezzabile. Essa, come in fondo quasi tutte le stelle, sembrava avere un colore, molto simile al bianco e dava luogo a giochi naturali che non potevano passare inosservati perfino agli uomini delle caverne. Primo fra tutti l’arcobaleno. I raggi del Sole producevano nel cielo degli archi multicolori, poco dopo una bella pioggia e se la loro inclinazione rispetto all’orizzonte era sufficiente bassa.

Non ci fu certo bisogno di aspettare il genio di Newton per capire il processo che avveniva nell’atmosfera: un raggio entrava all’interno di una gocciolina d’acqua, sospesa in aria, e ne usciva separato in tanti raggi di vari colori (sette o sei, ma in realtà di tutte le sfumature che vanno dal violetto al rosso). Cosa analoga succedeva se si utilizzava un pezzo di vetro che venisse attraversato dalla luce solare.

Qual è stata, allora, la grande scoperta di Newton che ha dato il via a tutta la storia della luce che ancora oggi coinvolge e sconvolge gli scienziati (per altre e più sottili ragioni). Fino ai suoi esperimenti con un prisma di vetro triangolare, si pensava che fosse la sostanza vetro (o acqua o cose simili) a trasformare la luce bianca in luce colorata. In altre parole, che fosse una caratteristica del mezzo attraverso cui era costretta a passare la luce. Un fenomeno del tutto indipendente dalla luce che ci mandava il Sole.

Capite la grande limitatezza di questa conclusione? La luce, al massimo, avrebbe dato informazioni su ciò che attraversava e se lo attraversava, ma non certo su cos’era lei prima di toccare il vetro. Newton invece dimostrò che il prisma mostrava ciò che era insito nella luce e che il nostro occhio non riusciva a percepire. Era la luce stessa a essere composta di vari colori e il prisma non faceva che aiutare la loro separazione. I suoi esperimenti furono decisivi e inattaccabili.

Uno su tutti. Dopo aver prodotto la separazione dei vari colori, egli riuscì, attraverso una stretta fenditura, a farne proseguire solo uno. Esso fu nuovamente inviato contro un prisma. Se fosse stato il prisma a trasformare la luce, questa “selezione” sarebbe stata di scarsa importanza e la luce si sarebbe di nuovo scomposta. Ciò che osservò Newton fu, invece, che quel colore, separato dagli altri, non subiva alcuna trasformazione e usciva dal prisma tale e quale a come era entrato. I colori non dipendevano dal prisma, ma proprio dalle caratteristiche intrinseche della luce. Il prisma metteva solo in evidenza che quella che sembrava una luce “bianca” era invece formata da tutti i colori visibili all’uomo (ma non solo da quelli, come vedremo tra poco).

Non vogliamo certo raccontare tutta la storia dell’ottica e dei continui cambiamenti di idea sulla sua natura. Resta, comunque, il fatto indubbio che Newton capì la sua complessità e aprì la strada alla sua interpretazione. Ricordiamo che ai suoi tempi non si conoscevano gli elettroni e nemmeno i loro messaggeri e l’atomo era un’idea astratta, mal sopportata dalla Chiesa. Tuttavia, si sapeva, finalmente, che era composta da vari colori e che la loro unione portava al colore bianco.

Tutte quelle stelle lontane inviavano luce, anche se in modo molto flebile e, quindi, tutte quelle stelle inviavano lo stesso tipo di informazione. Riuscire a capire cos’era la luce voleva dire avvicinarsi all’Universo e ai suoi attori principali.

Ancora oggi la luce è l’unica vera informazione che l’Universo ci manda e all’inizio di questa chiacchierata abbiamo visto che essa non è altro che una forma di energia o di informazione che si crea in un ambiente molto particolare, dove vi è una battaglia feroce e leale tra gravità e agitazione di particelle invisibili. Questa informazione deve viaggiare per miliardi di anni  rimanendo comunque visibile anche se affievolita. Ci vogliono perciò messaggeri robusti o -ancora meglio- poco influenzabili da ciò che incontrano nel loro viaggio. Sappiamo benissimo che meno siamo grassi e pesanti e molto più facilmente riusciamo a muoverci nel traffico. Lo stesso deve avvenire per le particelle più piccole dell’Universo: meno massa hanno e meglio si muovono. La luce segue proprio questa strada. Al punto da non avere massa…

Una particella molto ambigua

Prima di vederne le caratteristiche più particolari dobbiamo, però, capire se è o non è una particella. La risposta è, anche oggi: “NI”. Tra Newton e noi, la luce ha cambiato spesso e volentieri natura: si è cominciato a vederla come corpuscoli e poi come qualcosa di simile alle onde del mare. Poi addirittura entrambe le cose assieme, anche se un altro grande genio della Fisica, Einstein, dimostrò senza ombra di dubbio che la luce DOVEVA comportarsi come particelle anche se non possedeva massa. Con lui nasceva il fotone, il vero e proprio messaggero luminoso, ma le sue caratteristiche rimanevano ancora molto ambigue, non solo per la nostra incapacità a capire, ma proprio per la sua natura reale.

Come già detto non possiamo fare la storia delle conquiste dell’ottica, sia da un punto di vista ondulatorio (intesa come onde) che particellare (come tanti piccolissimi proiettili), e nemmeno entrare più di tanto nella sua natura ambigua che esperimenti fondamentali, veri e propri capolavori “artistici”, hanno dimostrato inequivocabilmente, come quello della doppia fenditura di Feynman.

Per far ciò bisognerebbe parlare a fondo della meccanica quantistica, il cui nome mette subito paura non solo agli allievi ma agli stessi insegnanti. No, non la descriveremo, perché occorrerebbero libri e libri, dato che la meccanica quantistica può essere compresa solo dopo aver imparato perfettamente la meccanica e la fisica classica. Solo a quel punto, il girare pagina ed entrare in un mondo assurdo e privo di ogni logica comune, può essere un’azione fattibile anche se mai veramente comprensibile.

Per poter capire un dipinto di Picasso è necessario conoscere molto bene la storia dell’arte figurativa. Solo così si capisce la rivoluzione della nuova visione del mondo. Lo stesso Picasso è riuscito a esprimerla acquisendo prima una perfetta conoscenza mentale e tecnica dell’arte che l’aveva preceduto.  Insomma, nessuno nasce “imparato”!

Quello che potremo fare è solo estrarre da lei alcune conclusioni fondamentali, quelle che ci permettano di capire un po’ meglio cosa sia realmente la luce e perché è in grado di darci un numero incredibile di informazioni anche se sembra solo stuzzicare il nostro occhio. Non solo capire, però, ma anche decodificare l’informazione che viene trasmessa in modo criptico ed estremamente compresso (potrei dire “ultra-zippato”).

La luce è movimento

In realtà, se torniamo all’inizio dell’Universo, e alle varie fasi di ionizzazione e di stabilità degli atomi, dovremmo aver già capito che per avere luce, ossia energia visibile a grandissime distanze, è necessario che vi sia movimento delle particelle che compongono la materia. Devono agitarsi le molecole, gli atomi e ciò che costituisce gli atomi. In questo modo ci si oppone alla gravità, cresce la temperatura della materia e gli elettroni possono vivere in modo più o meno indipendente, ionizzando il gas.

Solo il movimento è capace di far nascere i messaggeri luminosi, quelli che abbiamo chiamato fotoni. In realtà, non è il solo modo di produrre luce, ma per quello che vogliamo descrivere può bastare. Come abbiamo visto, la luce non è altro che energia “in più”, che può tranquillamente disperdersi e lasciare le stelle. Ne basta la metà a continuare la lotta, come ci ha dimostrato il teorema del viriale che stabilisce l’equilibrio.

Cerchiamo, adesso, di essere veramente semplici, a rischio di mancare in precisione, ma questo è uno scotto che bisogna pagare nella divulgazione della Scienza. Essa è un serpente che si morde sempre la coda e se si vuole approfondire qualcosa si continua a girare ed aggiungere, ad ogni giro, nozioni sempre più vaste e complesse. Cerchiamo, perciò, di limitarci senza commettere errori troppo vistosi.

Tutto nasce dal moto degli elettroni che vengono “eccitati”, ossia agitati, dalla temperatura. La loro agitazione può fargli abbandonare il loro atomo e permettergli di muoversi a piacimento attraverso la materia, accasandosi altrove oppure no. Al limite, possono solo spostarsi un po’ in alto e un po’ in basso nella loro configurazione attorno al nucleo atomico (questa doppia possibilità è alla base della spettroscopia, tenetela bene a mente). E’ tutta questione di energia che gli viene data. In qualche modo è, quindi, un problema di temperatura che si raggiunge.

Non pensiamo, però, che una volta liberi di muoversi gli elettroni possano fare quello che vogliono. Sappiamo bene che sono ancora all’interno di una stella, di una massa immensa e densissima. In qualche modo ricorda l’Universo precedente alla prima luce, quando le particelle si scontravano tra loro in modo continuo e caotico senza riuscire a seguire una strada precisa.

Gli elettroni sono obbligati a frenare e ad accelerare ogni volta che passano vicino a nuclei positivi o ad altri elettroni. A volte vengono attratti, a volte respinti.  Sta agendo una forza molto potente, l’interazione elettromagnetica, quella che mette di fronte particelle di carica positiva e negativa.

Per comprenderla meglio, fateci fare un semplice esempio,  a portata della nostra vita quotidiana, che ci rimanda ancora una volta a Newton e alla sua “mela”. Se una mela si stacca da un albero (che cerca di tenerla stretta a sé attraverso forze che legano molecole e atomi tra loro) cade al suolo. Essa segue quello che le ordina la forza di gravità terrestre. Ma non solo la mela. Qualsiasi oggetto dotato di massa viene attratto, di più o di meno, se entra nella sfera di influenza di una massa molto più grande. Possiamo dire che questa massa (nel nostro caso la Terra) esercita la sua attrazione in uno spazio estremamente vasto attorno a lei. Gli oggetti che entrano in questo spazio subiscono la sua gravità. Questo spazio possiamo considerarlo come un campo da gioco, dove agisce un un’unica regola: quella di puntare verso il centro. Questo campo viene chiamato campo gravitazionale.

Anche le particelle positive e negative creano un campo da gioco, che si chiama campo elettromagnetico. Esso regola i movimenti di ciò che entra al suo interno e che ha una carica. Immaginiamolo come un oceano in cui non si vedano onde perché troppo piccole per le nostre possibilità o perché siamo troppo in alto. Tutto sembra tranquillo e stabile. Ma, scendendo sempre più in basso, magari usando una barca, ci accorgeremmo che le onde ci sono e come! Esse si sommano, si annullano, seguono direzioni qualsiasi o flussi particolari. Insomma una vera tempesta.

Chi è causa questa agitazione? Proprio le particelle cariche che si fanno sentire attraverso il loro continuo movimento. E’ come se ogni particella creasse un’onda particolare che si scontra con le onde delle altre particelle in modo apparentemente caotico. Bene, queste onde che si propagano potrebbero rappresentare abbastanza bene la luce. Gli elettroni, i più piccoli e quindi quelli che si muovono di più, causano queste vibrazioni nel campo da gioco e ogni vibrazione è un messaggio che manda ai suoi simili e a quelli di segno opposto. In un caso li avvisano di stare attenti, di tenersi a distanza perché due cariche negative devono respingersi; nell’altro, invece, comunicano che possono avvicinarsi dato che le cariche sono opposte e forse potrebbero nuovamente accasarsi.

Fatica inutile se la temperatura è troppo alta e il loro movimento è frenetico. Devono perciò deviare, accelerare, frenare e ogni volta che lo fanno creano una vibrazione che si trasmette alle altre particelle che, a loro volta, la trasmettono ad altri elettroni in uno scambio continuo di informazioni. Alla fine, dopo grande fatica e dopo molto tempo, qualche vibrazione, le ultime che si sono formate, escono dalla lotta tra gravità e agitazione e possono viaggiare nel Cosmo. In questo tipo di approccio non resta che concludere che i fotoni, ossia i messaggi mandati attraverso le vibrazioni, anzi le stesse vibrazioni, sono solo e soltanto onde di una mare composto praticamente di vuoto, ossia privo di un materiale, come l’acqua, che possa far propagare l’onda.

La luce, come abbiamo già detto, è stata a lungo pensata così. Purtroppo, però non è vero ed essa, spesso e  volentieri, si concretizza in particelle capaci di far sentire la propria presenza. Non resta allora che pensarla come entrambe le cose e dare alle vibrazioni una descrizione ben diversa dalla solita. Esse non sono onde  reali, ma onde di probabilità. In poche parole, esse rappresentano tutte le possibili posizioni che un fotone (intesa come potenziale particella) può occupare dopo che è stato creato da un elettrone. Una vibrazione che ci dice solo dove è più facile o più difficile localizzare la particella, la bottiglia con dentro il messaggio codificato.

Cercate di accettarlo come un dato di fatto dato che per capire (o meglio descrivere) la situazione bisognerebbe entrare nella dinamica delle particelle, descritta dalla elettrodinamica quantistica (QED per gli amici) e non è cosa che si può riassumere in poche righe o in poche pagine. Ognuno cerchi di vedere il fotone come  preferisce: non sbaglierà mai di molto. Tuttavia,  non si meravigli se ogni tanto il nostro amico cambierà la propria natura, ossia il proprio “stato”.

Fortunatamente, le situazioni più critiche e ambigue sono quelle che avvengono all’interno della folla, al centro delle stelle. Lasciamo pure che facciano quello che vogliono, che si comportino in un modo o nell’altro. Quando i più fortunati iniziano il loro viaggio verso di noi non hanno più incontri particolarmente importanti e possiamo immaginare che percorrano delle traiettorie rettilinee. In altre parole, questa è la traiettoria più probabile.

La direzione di arrivo è proprio quella di partenza, dopo aver -ovviamente- eliminato tutti i fastidi grandi e piccoli dovuti alla nostra atmosfera che è, nuovamente, molto affollata anche se non in modo frenetico come gli interni stellari. Capite anche benissimo perché spesso e volentieri si preferisce ricevere l’informazione luminosa al di fuori dell’atmosfera, attraverso occhiali speciali che stiano a un’altezza sufficiente (parliamo, ovviamente- dei telescopi spaziali).

Tutto questo discorso per dire che ciò che riceviamo dalle stelle è un messaggio ricco di informazioni e di energia (in fondo, è la stessa cosa), che nasce all’interno delle stelle, ma che si riferisce soprattutto a ciò che capita nei loro strati superficiali, poco prima di potersi muovere senza troppi inconvenienti.

Tutto molto bello e affascinante… ma sarebbe veramente fantastico poter costruire una stella in laboratorio per capire meglio come l’informazione si crea, si trasforma, si sovrappone e si lancia verso l’esterno. Bene, ciò, fatte le dovute proporzioni fisiche e mentali, è possibile. Questa stella in miniatura che ci permette di simulare la loro luce si chiama corpo nero.

Non ci resta, allora, che capirlo nel miglior modo possibile e vedere come descriverlo. Se ci riuscissimo potremmo estrapolare i risultati ai loro “cugini” giganteschi e riuscire a decodificare i messaggi che ci mandano.

19 commenti

  1. giorgio

    Caro Enzo non sarai mai lodato e ringraziato abbastanza.

  2. figurati Giorgio!!!! per così poco... :oops:
    e scusate le tante ripetizioni, ma l'articolo, come gli altri, farà parte di una raccolta generale diretta agli studenti delle scuole inferiori e superiori...
    Voi certe cose le sapete già molto bene... Però il ripasso è sempre utile :wink:

  3. Alvermag

    Enzo, trovo affascinante quest'idea delle perturbazioni che alterano la trama dello spazio-tempo trasmettendo fino a noi informazioni che provengono da un universo remoto. E' un pò come la vibrazione che raggiunge il ragno al centro della sua ragnatela nel momento in cui una preda vi rimane intrappolata.

    Una domanda Enzo, anche se - alla luce delle considerazioni che hai fatto nell'articolo - potrebbe risultare oziosa:

    Dunque .... la radiazione si propaga liberamente nel cosmo sotto forma di onda e noi non l'avvertiamo ... finchè ci raggiunge e la visualizziamo con i nostri strumenti sotto forma di particella (fotone) a causa della riduzione del pacchetto d'onda provocata dall'interazione della misura.
    A questo segnale noi attribuiamo energia e quantità di moto: le formule si rifanno però all'aspetto ondulatorio (visto che vi compaiono frequenze e lunghezze d'onda) che noi non avvertiamo e quindi non dovremmo poter misurare. Sulla particella (fotone) che invece avvertiamo e potremmo misurare ... in realtà non abbiamo elementi per fare alcuna valutazione essendo priva di ... tutto (massa e carica elettrica).

    Allora, la frequenza è quella dei fotoni che raggiungono lo strumento (x fotoni nell'unità di tempo): Ma ... e la lunghezza d'onda come può essere misurata in una particella che io visualizzo mentalmente come un "colpo" dato allo strumento?
    E' un dato reale o solo una conseguenza del modello teorico che si è adottato per spiegare la luce?

    Bene, la domanda mi sembra sufficientemente contorta (altrimenti non te l'avrei fatta io) :mrgreen:

  4. Alvermag

    Acc Enzo ho scritto una boiata.

    La frequenza dei fotoni al rivelatore è una misura dell'intensità della radiazione non della frequenza del fotone, porca pupazza!!!

    La questione quindi investe anche la frequenza oltre che la lunghezza d'onda.

  5. caro Alvy,
    in realtà, la trattazione della luce come onda può essere fatta benissimo, dato che proprio di onda si tratta... onda di probabilità. la QED ha proprio cercato di mostrare questa perfetta analogia. Ciò non toglie che l'onda, una volta che ha interagito con qualcosa, possa comportarsi come pacchetto d'onda. Non proprio particella, quindi, ma una quantità di energia che può causare movimento. La sua energia viene trasformata in energia cinetica degli elettroni. Parlare di quantità di moto non è perciò sbagliato... come non è sbagliato descriverla con una frequenza dato che di vibrazione probabilistica si tratta. Il succo di tutto è proprio legare energia e frequenza...

  6. no, no, non mischiamo le cose. La frequenza, legata all'energia della luce, è solo e soltanto c diviso la lunghezza d'onda.

  7. Alvermag

    Perfetto Enzo, a volte pur avendo afferrato i concetti specifici manca quel quid di visione generale che rende le cose più chiare.

    ..........legare energia (che ha un riscontro fisico nella velocità regalata agli elettroni interagenti con la radiazione) e frequenza (che è più ... sfuggente dovendo essere applicata ad un'onda si, ma di probabilità). Però, è straordinario.

    Perbacco Enzo, chissà come se a caveranno con le onde gravitazionali che richiedono lo stesso approccio. Non è che gli effetti vibratori delle onde gravitazionali già li vediamo? Voglio dire, non è che la vibrazione che riceviamo da una stella e che interpretiamo come luce contiene anche una parte che, in realtà, andrebbe attribuita alla gravità?

    Bene, ragazzi, se è così sono pronto per il Nobel: ho unificato gravità ed elettromagnetismo ...... :mrgreen: :mrgreen:

  8. caro Alvy...
    non dovrei risponderti nemmeno... :twisted: Le onde gravitazionali sono onde che deformano il tessuto spazio-temporale, quelle elttromagnetiche ne fanno parte... Per questa volta niente Nobel :mrgreen: :mrgreen:

  9. foscoul

    Alvy sei un mito.... Nobel subito!!! 8)

  10. carlo2002

    Quindi si sarà un articolo in cui verrà spiegato, nel solito modo semplice, il "Corpo nero" ?

  11. Sì Carlo... esce lunedì o al massimo martedì... :roll:

  12. Alvermag

    Una volta andavo in edicola per acquistare l'Astronomia, quando era diretta da Margherita Hack, adesso attendo l'uscita degli articoli di Enzo.

    Meglio di così ........ :-P

  13. Alvermag

    Ah ah ah Enzone .. incredibile!!!
    Ho appena scoperto su youtube una nuova disciplina:

    UFOLOGIA QUANTISTICA.

    Ma se pò esse più cretini? Ma porca vacca .. è proprio vero che al peggio non c'è limite.

    E tu te la prendi con Kolosimo? Quello era un dilettante.

  14. SuperMagoAlex

    Ciao Enzo, serviranno dei software particolari per analizzare gli spettri oppure è un lavoro che può essere fatto anche "a mano" ?

  15. grazie SMA!
    ma Domenico ha già fatto tutto lui... ha tanti di quegli spettri che non basterebbero tutti i castelli inglesi a contenerli... :mrgreen: :mrgreen:

  16. Acci Alvy!
    e pensare che era la prossima serie di lezioni sulla MQ che volevo scrivere... mi rubano il mestiere :twisted: :mrgreen:

  17. SuperMagoAlex

    Ciao Enzo, intendevo che sarebbe bello poter partire dalla foto della stella fatta con lo spettroscopio ed arrivare al grafico :)

  18. caro SMA,
    diciamo che questi articoli sono solo una prima fase del progetto più ambizioso in cui le figure saranno moltiplicate e migliorate. Prendiamolo come lo schema per qualcosa di più completo ed elaborato. Vi uso un po' come cavie... in modo che alla fine diate i vostri consigli per come impostare il tutto e renderlo più accattivate, semplice e completo. Completata questa versione preliminare, Domenico lo integrerà con tutti i suoi spettri e con tutte le sue righe e ne farà un testo per studenti, che a sua volta io metterò in linea qui. Qualsiasi consiglio e quindi ben accetto! Scriveteveli da qualche parte (come ad esempio punti da espandere, concetti da allargare, figura da inserire, cambi di strategie descrittive, ...) e poi alla fine ne facciamo una versione veramente completa e utile. Insomma, costruiamolo un po' alla volta, tutti assieme!!!!

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