19/10/15

La mappa nascosta della Via Lattea *

E’ da moltissimo tempo che si cerca di analizzare sempre meglio il mezzo interstellare che si estende per tutta la nostra galassia. E’ proprio lui che ci può insegnare dove e come sono nate e nasceranno le stelle e i sistemi planetari. Finora, però, le mappe della galassia sembravano più simili a quelle che descrivono l’evoluzione del tempo sulla Terra, dominate da sistemi nuvolosi. Uno sprovveduto avrebbe detto “Stiamo cercando le zone di nascita stellare e dovremmo aspettarci zone di particolare “luminosità” sparse di qua e di là”. Avremmo potuto convincerlo dicendo che le zone di nascita stellare non si mostrano facilmente a causa della loro temperatura decisamente bassa. Se vogliamo che la gravità accumuli materia, deve lavorare senza impedimenti, dovuti a un frenetico movimento degli atomi e delle molecole.

E qui nasce il problema. Il materiale più usato per formare le stelle, l’idrogeno, ha bisogno di condizioni molto tranquille da un punto di vista di energia cinetica delle particelle. Temperature basse vogliono dire atomi non ionizzati, ossia neutri. Anzi, addirittura idrogeno molecolare. Bene, non ci resta che cercarlo… E qui casca l’asino: l’idrogeno neutro non si vede, perché non produce fotoni (a parte casi peculiari come la riga a 21 cm, con tutte le sue limitazioni).

Un sistema  però c’è: se non si può cercare l’idrogeno, si può sempre cercare un suo inseparabile amico. Ossia, “qualcuno” che sappiamo bene accompagnarlo sempre, anche se in percentuali estremamente basse. Non si vede immediatamente, ma usando certe lunghezze d’onda si riesce a scorgerlo. In poche parole, potremmo chiamarlo un “tracciante”. Ve ne sono parecchi che accompagnano l’idrogeno molecolare, un po’ come le “remore” con i grandi pesci. Se se ne vede qualcuna, si può giurare che vi è qualche squalo nei paraggi.

Questi traccianti sono generalmente composti come l’ossido di carbonio,  il cianogeno e parecchi altri. La cosa migliore, inoltre, sarebbe cercare di individuarli tutti assieme e non uno alla volta. E così si è fatto con un radiotelescopio australiano. La mappa della Via Lattea è cambiata completamente e ha fatto contento chi si aspettava ingenuamente un insieme di zone “brillanti” nei punti di nascita stellare.

La nuova mappa della Via Lattea. Ed è solo l’inizio di una ricerca che può dare risultati molto più accurati e quantitativi. In questa versione, relativa a una certa zona (settore 348), il 12CO è in rosso, il  13CO in verde il C18O in blu.  Fonte: The Three-mm Ultimate Mopra Milky Way Survey (ThrUMMS).
La nuova mappa della Via Lattea. Ed è solo l’inizio di una ricerca che può dare risultati molto più accurati e quantitativi. In questa versione, relativa a una certa zona (settore 348), il (12)CO è in rosso, il (13)CO in verde il C(18)O in blu. Fonte: The Three-mm Ultimate Mopra Milky Way Survey (ThrUMMS).

Una piccola-grande rivoluzione che permette di capire molto meglio le condizioni di temperatura, di densità e di distribuzione di massa delle “nursery” stellari e quindi anche della nostra stessa casa natale. Inoltre (non meno importante), si è stabilito che finora si è sottostimata la quantità di materia che forma le nubi interstellari di un fattore due o tre.

Non voglio tornare a fare polemica, ma immaginate la stessa cosa su tutte le galassie del Cosmo e -magari- anche nelle regioni intergalattiche dove sembra di non vedere niente e invece…

Questo tipo di ricerca non sarà certamente esaltante come certe ipotesi teoriche che rivoluzionano le basi stesse della fisica. Tuttavia, sono piccoli mattoni, basati su dati di fatto provati con accuratezza, che fanno salire la nostra costruzione sempre più raffinata del Teatro. Ogni tanto ci vuole un Newton, un Einstein, un Heisenberg, un Feynman, ecc.,  per qualche cambiamento drastico, basato su intuizioni di grandi menti e sulla capacità di sintesi di molte prove osservative. Ma i ricercatori non sono tutti Einstein…

Vi racconto un aneddoto che può essere indicativo e che può servire a tanti ricercatori in erba (e non solo). Io sono stato uno dei primi al mondo a occuparmi di proprietà rotazionali di asteroidi e delle loro ricadute sull’evoluzione collisionale. Come tutti i lavori pionieristici, molte cose sembravano non tornare assolutamente con le idee correnti. Ci sono volute molte osservazioni, confronti, ipotesi, per potere iniziare a costruire dei cambiamenti che non distruggessero niente di fondamentale, ma che risolvessero i dubbi più evidenti. Un mattoncino sopra l’altro, con profondo rispetto delle leggi ormai assodate e-soprattutto- della realtà osservativa. Oggi la meccanica e la fisica degli asteroidi ha fatto passi da gigante ed è diventata estremamente plausibile e descrivibile, senza nessun bisogno di rivoluzioni più o meno fantasiose.

Mentre io continuavo nel mio modestissimo lavoro di ricerca, attento a rimanere sempre nei binari di una fisica e di una dinamica ormai consolidate (ci volevano ben altre prove per pensare di smontarle), vi era un collega a cui tutto ciò non bastava. Lasciò la ricerca così minuscola, dedicata solo a oggetti piccoli, brutti e anche un po’ cattivi (ogni tanto picchiano contro la Terra) e decise che era il momento di cambiare nientemeno che la legge di Newton.

In che modo? Basandosi su osservazioni precise e inconfutabili? No, solo e soltanto perché vi erano ancora molte incertezze sia dal punto di vista fisico che dinamico (ad esempio le fasce intrecciate dell'anello f di Saturno). Incertezze dovute alla scarsa conoscenza di certi argomenti, appena nati, ma che potevano anche essere considerati punti di partenza per la nascita di un nuovo Newton e/o Einstein. Insomma, un collega (anche preparato) che pensava, però, che si potesse essere ricercatore solo e soltanto se si diventava famoso e se si inventava una nuova teoria del tutto o quasi.

Mi ricordo benissimo la sua presentazione della nuova teoria di fronte a molti ordinari di fisica e di matematica dell’Università (noi eravamo ancora molto giovani). Il bello è che aveva cambiato la legge di Newton non sulla base di chiare evidenze sperimentali, ma solo attraverso un artificio privo di qualsiasi motivazione di base: al posto della distanza al quadrato aveva inserito la distanza al cubo!

Con tale formula lo sviluppo delle equazioni differenziali e degli integrali finali cambiava sicuramente e invece di ellissi si ottenevano curve ben più strane, anche se abbastanza simili alle ellissi. In qualche caso, queste curve del moto potevano anche assomigliare di più a certi risultati osservativi che sembravano strani e parzialmente incomprensibili sulla base della teoria newtoniana, ma in moltissimi altri casi si discostavano completamente dalla realtà delle osservazioni.

Non sto a dirvi la reazione silenziosa di un grande esperto di meccanica celeste (pensavo stesse per subire un attacco di cuore) che continuava a non interrompere un discorso privo di senso (si poteva anche inserire la distanza alla quarta potenza oppure aggiungere qualche termine a casaccio). Nessuna interruzione, silenzio completo, fino a una frase insostenibile.

Il collega aveva appena dimostrato come le sue curve non fossero delle coniche, ma qualcosa di diverso. Tuttavia aveva bisogno di mettere il Sole, o Saturno o quello che preferite, da qualche parte e disse (me lo ricordo benissimo): “Inseriamolo nel fuoco di questa curva”. A quel punto la rabbia trattenuta del professore si scatenò apertamente: “Eh no, caro mio! Posso permetterti tutto, ma se non è una conica non puoi permetterti di considerare un punto come fuoco. Questo non te lo permetterò mai e poi mai!”. E a questo punto cominciò una rapida distruzione di una teoria fondata sul niente e chiaramente assurda. Una situazione penosa per il mio collega, ma estremamente istruttiva per chi cerca sempre e comunque lo “scoop” scientifico.

Perché ho raccontato questo aneddoto? Non lo so nemmeno io, ma, sicuramente, ha molti punti di contatto con tutta la serie di teorie esotiche e fantascientifiche odierne che hanno solo un grande vantaggio su quelle meno eclatanti e meno rivoluzionarie: non possono essere provate  e nemmeno distrutte, dato che si basano su dati inosservabili.

Ovviamente, tra tante illazioni e stimoli per voler stupire a tutti i costi (spesso i soldi sono gestiti da incompetenti e possono essere elargiti più facilmente se le richieste sono condite con situazioni estreme e fuori dalla visione normale), ci sarà anche il nuovo Einstein (prima o poi). Tuttavia, se regnasse una serietà maggiore, condita da grande modestia e perseveranza, sarebbe anche più facile accorgersi del nuovo genio…

Articoli originali QUI e QUI

10 commenti

  1. Daniela

    ...c'è anche il rischio che il nuovo genio, a corto di fondi e in difficoltà per arrivare a fine mese, lasci la ricerca scientifica e cerchi maggior fortuna in un talent-show!

    Grazie, Prof., per il racconto: è davvero istruttivo! :wink:

  2. Alexander

    Però visto che siamo entrati nel gossip adesso dovresti raccontarci che fine ha fatto il tuo giovane collega protagonista del racconto! :wink:

  3. una fine abbastanza ovvia... si è dato alla politica!!!! (e non sto scherzando...). :)

  4. Diego

    Secondo me frustrato ha cambiato mestiere???
    La passione è impetuosa e così come velocemente esplode,così velocemente brucia mentre l'amore persevera e con il tempo lega e costruisce....

  5. Diego

    Ecco Enzo perfetto quasi all'unisono.... :wink: :mrgreen:

  6. Alberto De Luca

    Quindi se capisco bene sono molcole che spesso accompagnano atomi di idrogeno e che emettono onde radio se pur vicine allo zero assoluto, giusto? Continuo con domande senza paura di svelare la mia ignoranza (ci hai anche recentemente invitato a farlo) ma perché non si sono svelate queste onde prima magari come un "fastidio di fondo"? ...e poi come funziona il tutto, si cercano certe frequenze e se le si trova è certo che ció corrisponda alla presenza di certe molecole? Ho intenzioneidi portare al centro di Medicina la mia famiglia e se riuscissi a capire un poco di più... grazie Alberto

  7. caro Alberto,
    il legame tra idrogeno e composti come il CO è ormai quasi sicuramente assodato (una molecola di CO ogni 10000 molecole di H2). Sono quindi poche anche se capaci di farsi notare nello spettro della zona studiata. Per farne una mappa è necessario utilizzare strumenti molto sensibili e solo oggi si è in grado di effettuare misurazioni di alta validità. Buona visita!!!!! Se c'è ancora Montebugnoli salutalo caldamente da parte mia!!!

  8. caro Alberto,
    volevo chiarire ancora meglio l'emissione nel radio. L'ossido di carbonio è polvere e si comporta da corpo nero ed è quindi capace di riemettere nel lontano infrarosso e nel radio, cosa che l'idrogeno molecolare non riesce a fare.

  9. Alberto De Luca

    Grazie! Per Montebugnoli mi farò latore e ti saprò dire.

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