07/07/18

La freccia di Zenone e il gatto di Schrodinger ***

Zenone, proprio l’ideatore del paradosso di Achille e la tartaruga, aveva proposto altri paradossi, di cui uno è entrato prepotentemente nel campo della Meccanica Quantistica. E’ entrato a tal punto da potere -forse- cambiare in modo decisivo le prospettive di vita dell’altrettanto famoso gatto di Schrodinger. Ne parliamo in modo molto semplificato, ma sufficiente a comprendere come ancora una volta i legami tra i vari risvolti della fisica siano continui e che per secoli la mente umana li abbia sempre avuti ben presenti anche se sotto aspetti solo apparentemente diversi.

Data la difficoltà degli esperimenti che sono riusciti a provare un comportamento addirittura inaspettato e strano anche per la stessa meccanica quantistica (e se c’è qualcosa di assurdo è proprio lei) cerchiamo di volare molto bassi, lasciando a chi volesse entrare nell’essenza più profonda della problematica un link professionale. Noi, in fondo, siamo solo preoccupati per i gatti, dato che non tutti i felini hanno l’astuzia proposta in questo fantastico racconto di Maurizio.

Cominciamo col ricordare il paradosso della freccia di Zenone. E’ un paradosso molto meno intuitivo di quello di Achille e della tartaruga, dato che lavora soprattutto sulla diminuzione sempre più grande dei tempi e non della distanza.

Zenone scaglia una freccia verso un bersaglio (non verso il gatto si Schrodinger come qualcuno aveva forse pensato dopo aver letto il titolo!) e sa benissimo che la freccia colpirà il segno. Tuttavia, lui segue un altro ragionamento e dice: “Consideriamo la freccia osservata in un certo istante. La freccia deve apparire immobile, dato che in quell’istante può solo occupare una certa posizione nello spazio. Poiché il tempo in cui la freccia si muove è fatto di singoli istanti, essa è immobile in ognuno di essi, ossia è in stato di “riposo”. Il movimento non è altro che la somma di istanti di riposo, quindi la freccia non si muove, ma è immobile per l’eternità. In altre parole, il moto risulta impossibile, in quanto dalla somma di immobilità non può risultare il movimento. Il paradosso della freccia si risolve con il calcolo infinitesimale, secondo cui i singoli istanti di tempo non sono nulli, ma infinitamente piccoli. Per cui in un tempo infinitamente piccolo la freccia si muove di uno spazio infinitamente piccolo.

Il succo è che la somma di infiniti termini non è sempre infinito, ma può essere un numero finito (concetto di limite). O, se preferite, è come se scrivessimo che la velocità di un corpo è uguale a v = s/t. Zenone assume che t = 0, da cui risulta s = 0. Ma noi sappiamo che la forma 0/0 non vale zero, ma un certo valore finito che dipende dal calcolo del limite per il tempo che tende a zero.

Oggi, ovviamente, il paradosso di Zenone può far ridere e appare perfino difficile da comprendere, talmente sembra banale la risposta. Eppure, la meccanica quantistica lo ha riportato in auge ed è nato il paradosso quantistico di Zenone. Il punto di contatto è il seguente: Zenone assume che una misura istantanea mostri una situazione “statica” e che una serie continua e numerosissima di queste misure non possano portare ad una “evoluzione” dinamica della freccia. Per la fisica classica è un ragionamento privo di senso, ma lo è anche per la meccanica quantistica? Sicuramente no, dato che sappiamo bene quanto sia importante per lei l’operazione della MISURA.

E’ stato appurato (e dimostrato sperimentalmente per atomi costruiti "ad hoc") che se si osserva per migliaia di volte al secondo una particella che sta degenerando è possibile accelerare o rallentare il processo. Il secondo metodo  è quello che ci interessa di più. Il tutto risulta possibile proprio perché qualsiasi atomo (o particella in genere) vive in una situazione di sovrapposizione di stati e l’operazione di misura fa collassare verso uno solo di questi. E, invece, se le misurazioni di un certo stato (poniamo quello iniziale) avvengono a un ritmo impressionante lo stato non evolve e resta quello iniziale. Non è certo facile entrare a fondo nella situazione.

A noi basta dire che “teoricamente” l’operazione di misura dovrebbe disturbare la particella attraverso la connessione con il mondo circostante (il sistema non è più isolato). Ciò è sicuramente vero, però, solo quando la misura porta a un’informazione. Ma una ripetizione tale che l’intervallo di tempo dell’operazione sia praticamente zero evita la distruzione dello stato, in quanto non riesce a stabilirlo. In gergo, viene chiamato “quasi misura”, un qualcosa che disturba, ma non aggiunge informazione e lascia lo stato sempre nelle condizioni di inizio. Come conseguenza, potremmo (per adesso ci si riesce solo con atomi di tipo binario, che hanno stati o 1 o 0) rallentare fino all’infinito il decadimento di un atomo radioattivo.

Per i meno esperti possiamo fare un esempio legato, normalmente, alla sfortuna o alla fretta: se guardiamo una pentola messa sul fuoco e abbiamo una gran fretta di vederla bollire, state pur certi che non bollirà mai (un po’ come aprire una scatola di medicine e farlo sempre dalla parte sbagliata). Nella vita normale, descritta dalla fisica classica, sappiamo che questa conclusione è impossibile e si dà colpa all’ansia o alla iella.

La pentola quantistica...
La pentola quantistica...

Consideriamo, adesso, una pentola “quantistica” dominata dalla probabilità e da stati sovrapposti. All’istante iniziale l’acqua non bolle. Dopo qualche minuto torniamo a vedere come va la faccenda. In quel momento l’acqua ha una certa probabilità di bollire e una certa probabilità di non bollire ancora. In poche parole, per sapere se l’acqua bolle o no dobbiamo andarla a vedere e far collassare la funzione d’onda. Tuttavia, ciò non influenza il fatto che in un tempo successivo l’acqua possa bollire. Immaginiamo di andare a vedere ogni 2 o 3 minuti. All'inizio non può ancora bollire, ma, prima o poi, arriverà il momento in cui la probabilità di bollire non è più zero, ma sta crescendo. Questa probabilità salirà alla successiva osservazione fino a che avrà raggiunto il 100%. Notiamo bene che ogni volta è come se ricominciassimo da capo e poco importa se la volta precedente il collasso aveva mostrato l’acqua del tutto tranquilla.

In parole povere, abbiamo dato il tempo all’acqua di cambiare la probabilità di essere in un certo stato. Ma noi abbiamo veramente fretta e stiamo sempre con gli occhi puntati sulla pentola. Ciò vuol dire che noi continuiamo a vedere per frazioni di tempo infinitesime l’acqua e facciamo collassare il suo stato. E’ un po’ come la freccia di Zenone. Facendo in questo modo la freccia resta sempre ferma. Nella meccanica quantistica, però, il passaggio al limite (un  qualcosa di deterministico) non funziona come nel mondo macroscopico. Continuiamo a essere in balia della probabilità ed è possibile (ma non certo facile) calcolare che se la frequenza delle osservazioni tende a infinito si rimane sempre nelle condizioni della prima osservazione. Detta in parole estremamente povere: non diamo alla funzione d’onda il tempo di evolvere ossia di variare la propria probabilità. Il fatto di disturbare continuamente il sistema lo obbliga a non cambiare mai. Conclusione: l’acqua non bollirà mai!

Il passaggio al nostro celebre gatto è immediato! Basta tenere continuamente d’occhio l’atomo radioattivo in modo da vietargli di evolvere e rimanere sempre nello stato iniziale. Prima o poi verrà aperta la gabbia e il micione uscirà tranquillo, vivo e vegeto. Il nostro disturbo continuo all’atomo lo ha sempre fatto collassare nello stato di riposo. Il gatto non ha mai corso alcun pericolo, perché la probabilità che l’atomo avesse anche la minima probabilità di essere decaduto è stata evitata. Questo sì che sarebbe vero amore per i cari micini, alla faccia di Schrodinger e del suo assistente! Per non andare ancora oltre e considerare il gatto come un VERO osservatore… basterebbe che fosse lui a osservare continuamente l’atomo radioattivo!

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A questo punto fatemi volare, come sempre, con la fantasia (ma è poi tale?): e se l’effetto Zenone di estendesse alle particelle dell’intero Universo? Potremmo dire che esso esiste solo e soltanto perché c’è qualcuno che lo osserva (viva gli astronomi!), ma non solo (questo lo aveva già detto Einstein con il suo solito sogghigno riguardo alla Luna: “Dovrei pensare che la Luna esiste solo quando la guardo?”). No, c’è molto di più… l’Universo potrebbe non evolvere affatto se ci fosse qualcuno che osservasse continuamente le sue particelle. Potremmo mandare miliardi di milardi di batteri intelligenti a scrutare continuamente ogni atomo del Sole e farlo brillare per sempre. Ecco risolto, senza viaggi stellari, il futuro dell’uomo…

Per chi volesse andare nei dettagli e scavare più in profondità posso suggerire questo articolo.

 

2 commenti

  1. Maurizio Bernardi

    Quindi, non è la connessione internet ad essere lenta, ma siamo noi che la blocchiamo quando stiamo con lo sguardo fisso sul "...loading".

    E l'occhio del padrone che ingrassa il bue?

    La vista è la chiave di tutto !

  2. esattamente, mio caro... Però se continui a guardare una bella ragazza, lei resterà sempre giovane e bella.  Se ne deduce che uomini e donne vecchi e brutti sono stati guardati poco dai loro compagni p chi per loro...

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