22/05/19

Ma che figura ! (retorica) - 4

Cosa c'è di meglio, visto il tempo primaverile inclemente, che ci dissuade da gite fuori porta, se non dedicare un tranquillo weekend casalingo a dare una sistemata alla nostra collezione di figurine retoriche? Apriamo con trepidazione la quarta bustina (ma anche la prima, la seconda e la terza se ve le siete perse), appena comprata in cartoleria e godiamoci la prima figura retorica.

Prima figurina...

EPIFORA

Un attimo di sgomento davanti a questo nome che evoca architetture medievali (nel senso buono)

Ebbene, possiamo stare tranquilli, l'epifora non è un bifora, come questa del Bargello a Firenze, né come qualsiasi altra finestra entangled con una sua gemella .

E' ben altro...

figura retorica epifora

L'epifora è una figura retorica in cui, alla fine di due o più versi o frasi, viene ripetuta la stessa parola. Si trova più frequentemente nella poesia che nella prosa.

Lasciamo per una volta da parte il solito primo della classe, Alighieri Dante ( presente !) , e vediamo una epifora che non stenterete a riconoscere....

Scusa è tardi, e penso a te
ti accompagno e penso a te
ti telefono e intanto penso a te.

L'insistenza con cui “e penso a te” si riaffaccia ad ogni verso è il segno della impossibilità di liberarsi di quel pensiero dominante, che accompagna il protagonista in ogni gesto in ogni istante, un continuo “portare in aggiunta” ( in greco, epiphérō ha esattamente questo significato).

Per chi non avesse riconosciuto il testo , si tratta della canzone “E penso a te” musica di Battisti e parole di Mogol.

Nella prosa non è minore l'effetto che si può ottenere reiterando un concetto o la descrizione di un comportamento, per illustrare una idea fissa, un atteggiamento, al limite, ossessivo-compulsivo.

Un ottimo esempio che ho trovato in rete (www.softwareparadiso.it) è il seguente:

"Geronimo aveva sempre fame e ogni momento era buono per mangiare. Sembrava che avesse bisogno di alimentarsi in continuazione, perciò diceva anche che è bello mangiare. E anche quando pareva che la comitiva non avesse nulla da fare, lui aveva un'idea fissa nella mente: mangiare."

Direi che l'efficacia di questo brano non ha bisogno di ulteriori commenti.

Passiamo quindi alla seconda figurina:


ANAFORA

Anche qui, non allarmatevi, la nostra anafora non ha nulla a che fare con queste…

figura retorica anafora

Dal greco antico, significa ripresa. Ecco la definizione che ne dà il vocabolario:

"Figura retorica che consiste nel ripetere una o più parole all'inizio di periodi o frasi successive."

Ribadiamo il fatto che la ripetizione dei vocaboli avviene all'inizio delle frasi consecutive, proprio il contrario della epifora.

Un esempio chiarisce il meccanismo di questa figura retorica:

"I tetti delle case erano di coppi rossi di argilla. I tetti delle case avevano ciascuno un comignolo. I tetti delle case erano tutti uguali a una prima vista."

L'uso dell'anafora prevale nei testi di poesia ed il risultato (auspicato) è quello di un effetto lirico. Nella narrativa il suo impiego è più problematico per il rischio che l'insistenza della ripetizione appaia una forzatura fuori luogo. Sarebbe controproducente.

Allora sarebbe meglio aggiungere qualche variante tra gli stessi vocaboli, come nell'esempio che segue:

"I tetti delle case erano di coppi rossi di argilla. Gli stessi tetti avevano ciascuno un comignolo e sembravano tutti uguali a prima vista."

Il periodo scorre meglio perché le ripetizioni, nella narrativa, sono sempre difficili da soppesare e, spesso, anche inutili se non dannose.

 

Vediamo la prossima....Finalmente una figurina che non ci crea problemi, data la sua affermata popolarità

METAFORA

Qualcuno potrebbe pensare che la parola metafora non deriva dal greco ma, ad esempio dallo spagnolo. Ebbene, sbaglierebbe.

Il termine deriva dal greco antico e significa, letteralmente, trasferimento.
La definizione che si trova nei vocabolari è questa:
"
Figura retorica che consiste nel trasferire a un oggetto il termine proprio di un altro, secondo un rapporto di analogia."
Non solo un oggetto, ma anche una persona, e non solo una termine , ma una intera locuzione in grado di sostenere l'analogia.
Esempio:
"
Quando il mare Mediterraneo diventerà il nostro giardino, allora potremo dire di essere veramente a casa."

Non si sta paventando il prosciugamento delle acque del mare nostrum (magari a causa del riscaldamento globale), ma si intende indicare come il mare possa diventare un luogo accogliente, familiare, sicuro. Se però avessimo scritto “come il nostro giardino”, allora avremmo fatto una similitudine e non una metafora. Eh sì, stiamo spaccando il capello in quattro... ( una metafora, ovviamente).

Ecco ora un esempio in cui è una persona a essere individuata per analogia:

"Romeo era acuto osservatore, aveva sviluppate le caratteristiche fisiche e mentali che lo rendevano il falco delle alte vette."

Dove, oltre al soggetto che è una persona, si mette in evidenza un'intera espressione volta a trasferire il proprio significato a Romeo.
La metafora alberga senza preferenze particolari in prosa, come in poesia.

Impossibile non citare la metafora di Massimo Troisi nel film “il postino”...

E per chiudere con la poesia, ricordatevi: “La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve.”

Siamo così all'ultima figurina...

POLIPTOTO

Mah...! oggi, evidentemente, è un giorno particolare, con questi nomi un po' fuorvianti.

Non c'è stato un errore di composizione della bustina, non si sono mischiate figurine della nostra amata raccolta a quelle della raccolta sulle creature marine.

No, il poliptoto non è un polipo napoletano.

figura retorica poliptoto

E' semplicemente una delle più classiche figure retoriche.

Ne possiamo trovare uno , famoso, nel canto tredicesimo dell’Inferno dedicato a Pier delle Vigne, in cui Dante si concede un raffinato poliptoto, tutto giocato sul verbo “credere”

Cred' io ch'ei credette ch'io credesse

che tante voci uscisser, tra quei bronchi,

da gente che per noi si nascondesse.

Credo che Virgilio abbia creduto che io credessi

che tutti quei gemiti uscissero, tra quegli sterpi,

da persone che si nascondevano da noi.

Più vicini ai nostri giorni, il titolo del film “Io so che tu sai che io so” con Alberto Sordi e Monica Vitti, e i ragionamenti di Pippo e Pappo alle prese con il quiz delle palline rosse escogitato dal perfido Nobody.

Il nome poliptoto (che si può scrivere con diversa grafia, polittoto e che viene anche detto “variazione”) consiste in una ripetizione di un termine, che accumula, elencandoli, più significati. Nella stessa frase, o nello stesso verso o in versi contigui, il termine viene ripetuto modificandone la funzione sintattica. Questo serve a trasmettere l'idea della molteplicità (dal greco polyptoton = caratterizzato da molti casi). L'uso appropriato richiede e dimostra l'abilità retorica dell'autore nel piegare la parola alle proprie esigenze espressive.

Insomma, roba per primi della classe: gente come Catullo, Plauto, Tasso, Petrarca, etc.

Bene, per questo weekend siamo a posto.

Non perdete il prossimo episodio, mi raccomando!

Oreste Pautasso

pautasso

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