04/08/20

"Cadono sempre in piedi": 3° pillola di storia

Questo è il quinto articolo della serie "Il fantastico mondo del gatto"

 

"Albert, abbiamo un problema!"

Parafrasiamo le parole con cui Jack Swigert, astronauta dell'Apollo 13, comunicò a terra l'inizio di quella brutta avventura fortunatamente a lieto fine, per introdurre il prossimo argomento: ok, cadono sempre in piedi... ma come è possibile che sappiano sempre qual è la parte giusta verso la quale girarsi, visto che, secondo Einstein, durante la caduta libera non si avverte il proprio peso e non si sa da che parte stanno l'alto e il basso finché non si raggiunge il basso?!?

Se state pensando che sia sufficiente osservare dei punti di riferimento per capire il verso della caduta, non state sbagliando. Peccato, però, che il nostro amico gatto sappia perfettamente dove sta il basso anche se viene incappucciato e "imbrogliato" facendogli iniziare la caduta con la testa rivolta dalla parte opposta rispetto alle zampe! Possibile che i gatti costituiscano la classica eccezione a conferma della regola seconda la quale Einstein avrebbe sempre ragione? Parliamone...

Prima di parlarne, però, facciamo un passo indietro per descrivere come lo studio del riflesso di raddrizzamento aereo felino abbia avuto un ruolo di rilievo nei grandi progressi delle neuroscienze agli inizi del XX secolo.

Il primo studio per chiarire come funziona, dal punto di vista neurologico, il capovolgimento del gatto, è datato 1916 ed è opera di Lewis Weed e Henry Muller della Johns Hopkins University: il loro obiettivo non era descrivere i movimenti effettuati dal gatto, ma comprendere il modo in cui il sistema nervoso li avvia.

Gli esperimenti di Weed e Muller provarono, innanzitutto, una cosa che non ci sorprende più di tanto: un gatto decerebrato (ovvero con il cervello funzionalmente inattivo) non mostra alcun riflesso di raddrizzamento. Viene, quindi, spontaneo pensare che si tratti di un riflesso complesso, di quelli che possono essere, almeno in parte, controllati con la volontà e non un riflesso semplice e totalmente involontario, tipo quello patellare che fa sussultare il quadricipite femorale, provocando l'estensione della gamba, quando il martelletto del medico colpisce lievemente la rotula (o patella).

Procedendo con l'indagine volta a capire quali sensi felini fossero coinvolti nella scelta della "parte giusta" verso la quale girarsi, i due ricercatori osservarono che:

  • Un gatto incappucciato con il sistema vestibolare integro: si raddrizza
  • Un gatto senza cappuccio con il sistema vestibolare danneggiato: si raddrizza
  • Un gatto incappucciato con sistema vestibolare danneggiato: non ci prova nemmeno a raddrizzarsi

 

 

Per Weed e Muller, quindi, non c'erano dubbi: i sensi coinvolti sarebbero la vista e la sensazione di accelerazione trasmessa al cervello dal sistema vestibolare. Il gatto in forma smagliante li userebbe entrambi, ma ne basterebbe anche uno solo per capire da quale parte posizionare le zampe per evitare di rompersi la schiena in seguito alla caduta. Insomma, anche se non vedesse, sempre secondo Weed e Muller, il gatto saprebbe come girarsi perché sentirebbe l'accelerazione grazie al sistema vestibolare.

Ed ecco che siamo arrivati a sbattere il naso contro il problema!

Einstein non aveva dubbi sul fatto che in caduta libera non si possa avvertire l'accelerazione e su questo principio, detto "d'equivalenza", aveva fondato nientepopodimeno che la sua Relatività Generale (che aveva fatto il suo esordio nel 1915, ovvero un anno prima della ricerca di cui stiamo parlando).

Quindi, delle due una: o Einstein si sbagliava oppure il gatto costituisce l'unica eccezione a questo principio universalmente verificato!

Se fosse formulata oggi, l'ipotesi di Weed e Muller non reggerebbe un millisecondo. Ai tempi, invece, complice (forse) il fatto che la Relatività non era stata ancora sperimentalmente verificata e non era (forse) molto conosciuta, né compresa, tale ipotesi fu ufficialmente smentita solo negli anni '60, ovvero oltre 45 anni dopo essere stata formulata.

A demolirla ci pensò Giles Brindley, fisiologo - ma anche musicologo e compositore - britannico (nato nel 1926 e tuttora - nel 2020 - vivente), grazie ad esperimenti effettuati con i conigli. Perché abbia scelto i conigli non ha voluto dirlo (forse perché nessuno glielo ha mai chiesto?), tuttavia anch'essi mostrano il riflesso di raddrizzamento aereo, quindi è ragionevole pensare che i risultati degli esperimenti siano validi anche per i felini.

I test di Brindley consisterono nel sottoporre i conigli ad un'accelerazione che, dal loro punto di vista, avrebbe variato il verso della gravità: l'obiettivo era verificare se l'animale, una volta lasciato andare, sarebbe caduto verso il suolo o verso la direzione apparente della gravità da esso percepita.

Ebbene, dopo avere "strapazzato" (con delicatezza, però...) svariati conigli con una catapulta, una centrifuga e un'inversione di marcia in automobile, dimostrò che, durante la caduta libera, non si orientano basandosi su com'è il campo gravitazionale nel momento preciso della caduta, ma su com'era alcuni secondi prima. Per l'esattezza, tutti i test mostrarono che mantengono memoria della direzione del campo gravitazionale per 6-8 secondi ed è grazie a tale ricordo che sanno da che parte si trova il basso.

In effetti, a pensarci bene, è logico che l'evoluzione abbia portato a questo risultato: durante una caduta, specialmente se rovinosa, è normale che il corpo dell'animale sia sottoposto a varie forze mentre si agita o viene lanciato. Mantenere il ricordo di dove era il suolo prima della caduta è senz'altro una strategia più efficiente che affidarsi alle sensazioni provate durante la caduta stessa.

Tutto chiaro e definito, quindi? Quasi... non possiamo non menzionare, infatti, G.G.J. Rademaker e J.W.G. ter Braak che, nel 1935, in attesa che Brindley mettesse d'accordo la caduta libera del gatto con la Relatività, riuscirono a mettere a punto il modello c.d. "Piega e torci", tutt'oggi generalmente accettato come la spiegazione più aderente alla realtà di quali siano i movimenti compiuti dal gatto per potersi raddrizzare (senza fare arrabbiare Newton, che tanto ci tiene alla conservazione del momento angolare!).

Modello (corretto) "Piega e torci": il corpo del gatto può considerarsi composto da due cilindri che, ruotando in direzioni opposte, gli consentono di raddrizzarsi senza violare la legge della conservazione del momento angolare. La spiegazione dettagliata di come ciò sia possibile l'ha data il nostro prof (quindi vi potete fidare!) e la trovate QUI 

Bene... ora che abbiamo finalmente compreso come fanno a cadere sempre in piedi i nostri amici gatti (e verificato che non c'entra niente la leggendaria benedizione di Maometto a cui un gatto avrebbe salvato la vita), siamo pronti per esplorare tutte le possibili applicazioni pratiche per le quali l'uomo ha studiato (e sta continuando a studiare) come riprodurre questa loro capacità.

E non stupitevi se parleremo di esplorazione umana dello spazio e robot tecnologicamente sempre più avanzati. Né stupitevi del fatto che ancora qualche margine di dubbio su come davvero fanno a cadere sempre in piedi, nonostante tutto, rimane!

Alla prossima...

 

Tutti gli articoli della serie "Il fantastico mondo del gatto" li trovate QUI

La fonte delle informazioni su cui si basano le nostre pillole di storia è il libro "Perché i gatti cadono sempre in piedi e altri misteri della Fisica" di Gregory G. Gbur, professore di Fisica alla University of North Carolina e grande amante dei gatti.

3 commenti

  1. Fiorentino Bevilacqua

    Bell'excursus. Solo bisognerebbe essere sicuri (io non lo so) che quei 6-8 secondi di ritardo nella "cancellazione" dell'ultima direzione percepita del campo gravitazionale, siano il frutto di un percorso evolutivo che ha portato ad esso (e al successo di chi lo esibiva) o, non potendosi fare di meglio (e, in fondo, non essendo molto dispendioso  né dannoso averlo), "stava lì" e il gatto ha saputo sfruttarlo al meglio (devo ancora leggere il post del Prof). In somma: quello che S.J.Gould ha chiamato... exaptation.

     

  2. Daniela

    E chi lo sa... che sia frutto di evoluzione, appare la soluzione più “logica”, ma quei birbanti dei gatti non hanno alcuna intenzione di dirci come stanno davvero le cose! :wink:

  3. Fiorentino Bevilacqua

    Sì, ma poteva essere presente negli antenati del gatto anche se non veniva utilizzato, anche se non serviva a nulla; il gatto se l'è ritrovato ed ha saputo utilizzarlo al meglio... Furbastro. Una vita in più...

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