04/12/14

Il sogno dei 21 centimetri: abbassa quella radio per favor… **

Approfitto di una recente osservazione eseguita con il radiotelescopio di Arecibo (il più grande del mondo) per fare il punto sulla conoscenza del gas che è servito a formare le stelle delle galassie primordiali.

Le caratteristiche del gas che serve come materia prima per la costruzione delle stelle sono abbastanza ben conosciute. Deve essere piuttosto freddo ed essere composto essenzialmente di idrogeno molecolare. Niente di più semplice. Basta cercarlo in giro per l’Universo e sapremmo quanto ne avevano le prime galassie e come si è evoluto. Purtroppo, un gas di questo tipo è “neutro”, ossia non è ionizzato e, quindi, come sappiamo ormai bene dalla spettroscopia, non riesce ad emettere fotoni: nessun fotone nessuna informazione!

Per essere ancora più chiari, torniamo alla prima luce dell’Universo, che si riferisce al momento in cui la temperatura scende (3000 K) al punto da permettere la formazione degli atomi di idrogeno neutro. I fotoni sono finalmente liberi di lanciarsi verso lo spazio ed essere infine raccolti dalle nostre strumentazioni odierne dopo un viaggio che è durato  circa quattordici miliardi  di anni.

Questo momento così importante nella storia del Cosmo è quello che ha originato la celeberrima radiazione cosmica di fondo e che si riferisce proprio a un’età dell’Universo di soli 380 000 anni. Ovviamente, durante il lungo viaggio, l’energia della radiazione è diminuita in modo macroscopico e il redshift ha spostato di molto la lunghezza d’onda originaria, che oggi si presenta nella regione delle microonde (circa 2 mm). Essa permea l’intero Cosmo, regalandogli una temperatura di poco superiore ai 2.7 K (lo zero assoluto si trova a -273 °C).

Questo lampo di luce è durato però solo un attimo. Una volta formatisi gli atomi neutri di idrogeno, niente più poteva emettere luce e l’Universo entrò nella sua fase oscura, dove tutto era immerso in una nebbia impenetrabile. Un periodo lungo, durato almeno fino a un miliardo di anni dopo il Big Bang, quando finalmente la sempre più frequente  nascita di stelle e galassie  permise agli atomi di ionizzarsi e produrre nuovamente la luce, che ancora oggi illumina il cielo (ne abbiamo parlato QUI). Le stelle e le galassie sono riuscite a disperdere la nebbia, proprio come fa il Sole nelle grigie mattine d’inverno della pianura padana (quando ci riesce…).

Tuttavia, quella nebbia è un bel fastidio per gli astrofisici. Non nasconde un periodo qualsiasi e di scarsa importanza, ma proprio uno dei più fondamentali, quello in cui si sono formate le prime strutture a grandi dimensioni del Cosmo, proprio le galassie e le stelle. Se è vero che alla loro nascita la luce è riuscita a volte ad attraversare le nebbia e a giungere dopo più di  13 miliardi di anni fino a noi (come, per esempio, QUESTA), niente si può sapere delle loro fasi di formazione.

Qualcuno potrebbe dire: “La nascita delle stelle è un fenomeno che continuiamo a vedere anche oggi. Più o meno sarà stata la stessa cosa”. Non è così semplice. Nell’era oscura esisteva quasi soltanto idrogeno e si formava lo prima generazione di stelle. In che modo? All’interno di ammassi gassosi già aggregati (galassie primitive) o come oggetti singoli, che poco alla volta si sono uniti a formare la loro città cosmiche (come queste due giovanissime galassie che si stanno unendo compiendo un balletto denso di vita!) . Erano sicuramente dei giganti, i primi che hanno inseminato lo spazio di elementi più pesanti dell’idrogeno, dell’elio e di qualche traccia di litio.

Sarebbe veramente indispensabile poter scrutare in quella nebbia durante la formazione stellare, capire come il gas neutro si è accresciuto, come si sono formati i mostruosi buchi neri primordiali, attorno a cui -forse- si  sono andate a costruire le galassie. Insomma, tutto un mondo da scoprire, che, purtroppo non ci ha inviato luce e che non riusciamo a vedere nemmeno con i più grandi e sofisticati telescopi. Niente da fare, l’idrogeno neutro non emette radiazione!

Ma è proprio vero? In effetti no. Gli atomi di idrogeno sono stabili, ma in grado di cambiare, di tanto in tanto, una caratteristica del loro  elettrone. Non più di tanto, ma sufficiente per darci qualche speranza. Per capire come possono cambiare questi atomi cosi sedentari e poco reattivi, dobbiamo analizzare il senso di rotazione delle particelle positive e negative (chiamiamola “rotazione”, ma è qualcosa di leggermente più complicato). A seconda di come ruotano si può ottenere uno stato di maggiore o minore energia. Se la rotazione è concorde si è in una fase di massima energia, se invece le rotazioni avvengono in senso opposto si passa a una configurazione di minima energia. Nell’idrogeno vi sono solo un protone e un elettrone e quindi la scelta non è molto difficile.

Anche se questo cambiamento capita molto raramente, gli atomi erano talmente tanti che non era difficile che l’inversione di “rotazione” capitasse in quelle nubi immerse nella nebbia più impenetrabile. Mi direte: “Sì, sì, molto bello, ma se non si riesce a vedere niente, poco ci importa che elettroni e protoni eseguissero questi balletti nemmeno troppo entusiasmanti. Noi non possiamo certamente assistere alla loro esecuzione non potendo ricevere una luce che non riescono a produrre”. E invece, no… Quando il verso di rotazione si ribalta e passa da uno stato di alta a uno di bassa energia, l’idrogeno neutro, pur nella sua apatia, emette un particolare fotone, scagliandolo verso lo spazio.

Il cambiamento del senso di rotazione dell’elettrone all’interno di un atomo di idrogeno neutro produce l’emissione di un fotone a 21 cm.

SI_spin_21_cm

Nello spettro elettromagnetico si presenta come una linea di emissione collocata esattamente alla lunghezza d’onda di 21 cm. Un segno, un’etichetta indelebile, che individua atomi di idrogeno completamente nascosti. Non possiamo non cercare di leggerla e di seguire attraverso di lei la storia di quegli ammassi di gas non ancora arrivati alla fine del loro lavoro di costruzione.

A parole sembra bello e semplice, ma nei fatti estremamente difficile. Innanzitutto, questa emissione ha subito un enorme redshift e quando arriva a noi è ormai spostata a una lunghezza d’onda dell’ordine dei due metri, diventando un segnale radio. Beh… abbiamo i radiotelescopi. Sì, ma le sorgenti di emissione delle riga a 21 cm sono moltissime e i segnali si mischiano creando non poca confusione. Le nostre trasmissioni avvengono proprio in quelle lunghezze d’onda: magari confonderemmo un ammasso di gas con una risata sguaiata di un tipico ignobile programma televisivo del giorno d’oggi.

Sto un po’ scherzando, ma non troppo: molte lunghezze d’onda usate nelle telecomunicazioni cadono proprio in quell’intervallo così interessante. Senza contare, inoltre, i segnali di disturbo delle stelle, del Sole, dei campi magnetici e di cento altre sorgenti fastidiose. E, poi, pensiamo a quante cose deve aver superato questo povero fotone durante il suo viaggio, non ultima la nostra atmosfera che ne limita e ne deforma il passaggio. Insomma, le potenzialità ci sono tutte, ma riuscire a discriminare le righe che provengono proprio dalla fase oscura è un bel problema tecnologico.

Quando, finalmente, si potranno avere gli occhiali giusti per distinguere i segnali “veri” e debolissimi, sarà un momento decisivo per lo studio della cosmologia. Si potranno finalmente “vedere” e descrivere i momenti di formazione delle prime stelle e galassie, eliminando la privacy che queste strutture hanno cercato di preservare in tutti i modi.

In realtà qualche informazione si riesce ad averla. Per gli oggetti vicini, come gli ammassi di gas della nostra galassia e di quelle abbastanza vicine, il segnale a 21 cm è abbastanza leggibile. Per oggetti molto più antichi ci si affida ad altri composti che vengono eccitati dalla formazione stellare e che possono essere legati all’idrogeno neutro (ne abbiamo parlato spesso). Non è certo la stessa cosa, ma è meglio che niente. Tuttavia, lo studio del gas antecedente la formazione stellare rimane ancora un sogno scientifico e tecnologico. Ci vogliono radiotelescopi terrestri (enormi), ma non ci vogliono i disturbi radio dell’uomo e dell’Universo…

Recentemente si è compiuto un grande passo avanti. Utilizzando il radio telescopio di Arecibo che, costruito proprio su un avvallamento naturale, è, con i suoi 305 metri di diametro, il più grande a singola antenna. Non si può muovere, ma anche da fermo riesce a osservare di tutto e di più (basta aspettare che gli oggetti celesti gli passino sopra…).

Si sono studiate ben 40 galassie cercando e trovando l’emissione dell’idrogeno neutro e si è riusciti ad avere ottime informazioni. Non siamo ancora nell’infanzia dell’Universo, ma -comunque- ci si è spinti fino a tre miliardi di anni fa: un passo in avanti non indifferente! Oltretutto, i risultati sono stati inaspettati: la quantità di idrogeno neutro è di molto superiore alle attese: da 20 a 80 miliardi di volte la massa del Sole, una riserva di carburante stellare impressionante, oltre dieci volte superiore a quella della nostra Via Lattea. Qualcosa che ci si aspettava per galassie molto più primigenie.

Immagini ottiche di quattro delle galassie molto ricche in idrogeno atomico osservate dal radio telescopio di Arecibo. Fonte: SDSS
Immagini ottiche di quattro delle galassie molto ricche in idrogeno atomico osservate dal radio telescopio di Arecibo. Fonte: SDSS

Come mai dopo tanto tempo la materia disponibile è ancora così tanta? Che cosa ha fermato la formazione stellare? O che altro? Bisogna capire molti "perché" e molti "come" e sperare  di tornare ancora più indietro nel tempo.

Le cose si stanno muovendo, dato che è in fase di costruzione lo SKA (Square Kilometre Array) che dovrebbe aumentare di un fattore 50 le capacità degli odierni radiotelescopi.

Se non possiamo spegnere la TV, miglioriamo le nostre orecchie tecnologiche!

Articolo originale QUI

8 commenti

  1. Mario Fiori

    Sarebbe bello , caro Enzo, che l'umanità intera naturalmente spengesse tutto , magari per solo 48 ore, per far sì che i radiotelescopi possano ascoltare l'Universo con la sua "voce" completa; non dico assolutamente che bisogna tornare all'età della pietra delle trasmissioni, solo 48 ore per la Scienza, cioè qualche insulsa trasmissione magari anche un po' di più...l'Universo ringrazierebbe comunque. Pura illusione lo sò, sogni di una notte di...mezzo autunno.

  2. Michael

    Letto il titolo, pensavo d'aver sbagliato blog. 8-O
    :lol: :mrgreen:

  3. foscoul

    Enzo pensavo se si impiantassero antenne sul lato oscuro della luna si avrebbero benefici oppure le nostre trasmissioni darebbero fastidio pure li, scusa la domanda forse dico una cavolata. :-?

  4. Alvermag

    Ciao Enzo, ti chiedo un paio di puntualizzazioni.

    Affermi che: "Non siamo ancora nell’infanzia dell’Universo, ma -comunque- ci si è spinti fino a tre miliardi di anni fa: un passo in avanti non indifferente!".
    Ora, tre miliardi di anni fa vuol dire un'età dell'universo di circa 11 miliardi di anni (più o meno), a cui corrisponde un redshift nell'ordine di 0,2 più o meno, cioè molto basso.

    Siccome leggo che si osservano oggetti con Z=8 - 10, mi sembra che 0,2 sia un numerino assai misero. Il fatto di non essere andati molto in là nell'osservazione di queste nubi oscure (sempre in rapporto alle osservazioni di galassie e quasar molto distanti che però consentono la ricerca di lunghezze d'onda assai diverse) dipende dalla tenuità dei segnali e dalla loro rarità, insieme alla difficoltà di evidenziarli nel rumore di fondo prodotto dalle attività umane, o c'è anche un qualche aspetto di altra natura?

    Ti vorrei inoltre chiedere quali meccanismi possono attivare l'inversione della "rotazione" elettronica nelle molecole di idrogeno al fine di produrre la radiazione a 21 cm. Può trattarsi di scontri tra molecole o c'è qualche "meccanismo" quantistico che può favorire, di quando in quando, tali "oscillazioni" energetiche?

    N.B.: Enzo, non rimbrottarmi per il fatto che voglio sempre andare oltre pensando che stimo poco il fatto di essere arrivati a rilevare segnali a Z=0,2 per le nubi "oscure". Chiedo solo lumi, anzi lampioni!!!!

  5. @Foscoul,
    il più grosso problema sarebbe costruire qualcosa sulla Luna e mantenerlo efficiente. Sulla luna non subirebbe interferenze importanti da parte della Terra, ma da quelli cosmici sì. Per il momento direi che è meglio pensare a migliorare i terrestri...

    @Alvy,
    la difficoltà sta nella somma delle varie cause che hai detto...

    Si è stabilito che la trasformazione avviene per via spontanea in media ogni 10 **7 anni. Ragione per cui non è possibile effettuare esperienze di laboratorio. Potrebbe anche darsi che si ottenga lo stesso risultato attraverso sporadiche collisioni, anche se in quelle condizioni del gas sono rarissime...

  6. davide1334

    enzo,quando parli di ammassi gassosi già aggregati cosa intendi? più che galassie primitive si potrebbero definire nebulose primitive no?e durante la fase oscura che temperatura media vi era nell'universo?

  7. sì, Davide, intendo quello: insiemi piuttosto densi di atomi di idrogeno ancora, però, lontani tra loro. Una fase primitiva di aggregazione. La temperatura del rumore di fondo è intorno ai 3000 K. Poi sarà sicuramente scesa, tuttavia, l'importante è che non ci siano state collisioni capaci di ionizzare il gas. La temperatura fa muovere più velocemente, ma ci vuole anche qualcosa di vicino con cui scontrarsi per liberare elettroni, farli accelerare e creare fotoni.

  8. foscoul

    Certo Enzo di getto ho pensato alla luna ma è ovvio che le problematiche sarebbero non di poco conto. :-?
    Comunque bell'articolo molto interessante e leggendo i commenti trova spunti da cui partire per trovare la maniera migliore di "vedere"questa radiazione. :roll:

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