28/02/17

I Racconti di Vin-Census: GIROTONDO

Frutto della sfrenata fantasia di Vin-Census, ecco a voi una sua personale visione del primo incontro alieno e, per chi sa leggere tra le righe (e tra i link), anche un piccolo ripasso sulla geometria dell'Universo e altro. Per tutti, una lettura rilassante e una strizzatina d'occhio a quel bene sempre più raro che si chiama Speranza!

 

Prologo

Sembrava di essere vicinissimi alla soluzione già nel ventunesimo secolo. Molte osservazioni avevano fatto pensare che la geometria dell’Universo fosse estremamente vicina a quella euclidea, dove la somma degli angoli interni di un triangolo è sempre di 180° e dove due rette parallele non si incontrano mai. In fondo era un bene anche per tutta la società e non solo per gli scienziati: bastava la scuola media per comprenderla. Insomma l’Universo era piatto e avrebbe continuato a espandersi, fermandosi solo in un tempo infinito.

Per un certo periodo di tempo sembrava che le supernove di tipo Ia si ribellassero a quell’idea, mostrando un Universo in espansione accelerata. Pochi anni di dubbi e incertezze, complicati dalla invisibile presenza di una inosservabile materia oscura e di una altrettanto oscura energia, poi l’Universo piatto aveva ripreso il sopravvento, dopo le prime osservazioni dirette delle onde gravitazionali.

L’astronomia aveva fatto un salto qualitativo impensabile. Si erano scoperti i gravitoni e molte altre particelle fondamentali, comprese quelle che spiegavano l’apparente mancanza di materia ed energia. Che sciocchi erano stati i fisici nucleari e quanto inutili erano apparsi -a posteriori- gli esperimenti eseguiti  facendo scontrare tra loro quei poveri protoni.  Si era capito, finalmente, che la meccanica quantistica coincideva perfettamente con la fisica relativistica. Bastava applicare la formula del sommo astrofisico nepalese Samal Buthra e tutto diventava ovvio, dall’effetto tunnel ai bosoni, ai fermioni e a tutta quella famiglia di particelle cui erano state attribuite uno “spin” e, addirittura, un profumo.

Con la nuova formula e le sue implicazioni si era ottenuta in laboratorio l’unica particella veramente elementare, proprio quella chiamata di Samal Buthra. Era lei, solo lei, a vivere nei primi 10-84 secondi dell’Universo. Una particella che era contemporaneamente energia e materia, solo che non aveva dimensioni né intensità. La formula del grande nepalese la rappresentava senza ombra di dubbio. Nel giro di pochi anni il telescopio Webb aveva mandato a Terra tante di quelle conferme ed evidenze che sembrava quasi impossibile non averci pensato prima.

Come al solito, l’uomo, prima di arrivare alla soluzione che è sempre la più semplice, è costretto a a girarci intorno creando ipotesi estremamente più complicate della verità. Forse il cervello umano è proprio fatto così: per cominciare a lavorare al meglio deve prima costruirsi problemi quasi insormontabili.

Così come la teoria della relatività non aveva distrutto Newton, così la teoria della particella unica non aveva distrutto né la fisica quantistica e nemmeno quella di Einstein. Erano esattamente la stessa cosa. Sarebbe bastato cambiare “occhiali” per accorgersene. Occhiali che erano lì alla portata di tutti. Purtroppo, però, senza di loro era quasi impossibile riuscire a vederli e quindi a  usarli. Il classico serpente che si morde la coda. Solo il prof. Buthra c’era riuscito riprendendo in mano un foglio di carta, una matita e qualche anno di riflessione solitaria. Anche se morì più che centenario non avrebbe potuto essere presente all’Evento Uno, come venne chiamato. Forse sarebbe stato l'unico in grado di comprenderlo fin dal primo istante.

Dopo di lui, la fisica fece passi da giganti e tutto sembrò scorrere liscio come un biliardo. Non c’era quasi bisogno di costruire strumenti sempre più potenti. Bastava applicare la formula di Buthra e tutto era prevedibile. Cercare fenomeni nuovi per confermarla ancora una volta stava diventando un gioco noioso e inutilmente dispendioso. Passarono millenni, in cui l’uomo riuscì a superare tante barriere sia spaziali che temporali credute a lungo insormontabili. L’essere umano sfruttò una tecnologia mostruosa e costruì aggeggi ultra sofisticati che potevano permettere viaggi in un futuro e in un passato non troppo distante. Analogamente si rese conto che non era necessario andare più veloci della luce, bastava avvicinarsi il più possibile alla costante fondamentale di Buthra.

Impossibile ottenerla praticamente, ma le approssimazioni raggiunte erano sufficienti perché l’Universo sembrasse realmente più vicino. Contemporaneamente, però, si rese conto che era inutile viaggiare nello Spazio per imparare, potendo prevedere tutto da Terra. E tutti attesero che capitasse quello che l’uomo aveva sempre sperato e temuto.

L’Evento Uno

Era il 10828 d.C  (le date continuavano a misurarsi così anche se molti avrebbero voluto cambiare lo zero dei tempi, facendolo coincidere con il momento della presentazione ufficiale della formula di Buthra alla comunità scientifica internazionale, ossia il 23 ottobre 2082), quando si verificò l’Evento Uno. Jun Tse Luon, il presidente della Terra, fu incaricato di darne l’annuncio e scelse di recarsi su Europa, il satellite di Giove, nella più grande città sotterranea, l’ultima costruita dai pionieri umani, dopo che avevano colonizzato Marte, Titano, Encelado e addirittura Tritone.

Sembrava il luogo più giusto per aprire una nuova era nella storia dell’uomo, una porta che si era aperta finalmente verso un futuro completamente diverso. Jun era solo nel suo modulo presidenziale (lo Sky Force One) che era stato sigillato completamente durante l’attraversamento della fascia asteroidale. Una precauzione che si continuava a utilizzare, dato che l’energia liberata in un impatto con un masso di soli pochi metri sarebbe stato comunque disastroso per il velivolo dell’uomo più potente del Sistema Solare.

Finalmente aveva a disposizione parecchi minuti per pensare e riflettere su cosa era successo. Forse, l’immensa portata dell’Evento Uno non era stata ancora compresa dai suoi cittadini e nemmeno da lui stesso. Perfino il sommo Buthra era stato ossessionato per tutta la vita dalla speranza di assistere personalmente a quel momento fantastico. Jun ripensò alle leggende che avevano accompagnato l’uomo più antico, alle favole create per sfruttare una situazione che ancora mancava nell’esperienza umana. Ripassò con la mente tutti i tentativi scientifici fatti per ottenere quel risultato, forse perfino più importante delle implicazioni della formula del grande nepalese, quella che aveva stabilito una volta per tutte la struttura generale dell’Universo, di una semplicità e di un’eleganza struggente. Proprio in quella visione così perfetta e poetica, mancava ancora la ciliegina sulla torta: la prova dell’esistenza di una forma di vita aliena.

Sembrava impossibile che tutta quella meraviglia di dimensioni incredibilmente grandi (ma anche incredibilmente piccole se si applicava la trasformata coerente della formula di Buthra) esistesse un solo essere vivente e che fosse proprio l’uomo. Eppure… Marte, Titano, Europa, Tritone, Encelado, erano risultati più che adatti a mantenere una vita primitiva e non solo. Ma niente, niente di niente. Non parliamo poi dei pianeti delle altre stelle. Alcuni erano identici alla Terra e tutto sembrava ideale per la nascita della vita. E, invece, ancora niente di niente. No, non poteva credere che l’Universo fosse stato costruito solo per l’essere umano.

Sì, era vero che le equazioni spaziali derivanti dalla formula di Buthra dimostravano che le dimensioni erano solo una variabile che poteva assumere qualsiasi valore tra zero e infinito, anzi li assumeva tutti contemporaneamente. Questo voleva dire che quell’incredibile estensione del Cosmo poteva essere contenuta dentro una singolarità con dimensioni nulle. Insomma, l’aveva capito anche lui, che non era uno scienziato, che l’Universo poteva essere considerato più piccolo di un chicco di caffè. Cercava di convincersi che dentro un chicco di caffè una vita biologica era perfino sovrabbondante. Ma sapeva che in realtà non era così e che lo spazio per miliardi di altre civiltà, o anche solo per forme biologiche primitive, c’era eccome!

Forse se fosse stato ancora vivo Buthra… Scrollò la testa quasi con violenza. Perché arrovellarsi con problemi che erano ormai completamente superati? Ci sarebbe stato tempo per capire perché c’era voluto così tanto tempo. L’importante era che l’Evento si era verificato. Gli alieni erano venuti a trovarli. Finalmente! Apparvero dal nulla e fecero di tutto per non creare il panico. Solo uno si mostrò ufficialmente e  riuscì a stabilire un contatto diretto e discreto con gli scienziati. Gli altri si erano occultati e attendevano in una buca quantica stabile. Nemmeno Jun l’aveva ancora visto e si era affidato completamente alle parole del Gruppo Scientifico Mondiale, che aveva proprio il compito di trasmettere le maggiori scoperte, con le giuste parole, al Presidente. Aveva visto un’espressione un po’ strana negli occhi del responsabile, ma questi aveva assicurato che tutto era sotto controllo e che il mondo poteva essere informato. Jun stava fremendo all’idea che sarebbe stato proprio lui il primo a dare quell’annuncio. Orgoglio, curiosità e paura, un mix che gli dava uno strano formicolio. Non doveva pensarci e si mise a rileggere il discorso che avrebbe tenuto l’indomani su Europa.

Il viaggio

Quell’anno era stato particolarmente caldo e Zron era andato spesso a tuffarsi nelle limpide acque della pozza numero sei, quella vicina alla città sotterranea della popolazione delle Bzun che col loro andirivieni sembravano non patire la temperatura veramente molto elevata. Strane creature le Bzun; sicuramente non stupide, ma il loro lavoro senza attimi di sosta lasciava ben poco tempo per pensare. La civiltà sarebbe rimasta ferma per secoli e millenni se avessero avuto il controllo della situazione. Fortunatamente, o forse era l’ovvia conclusione, il potere intellettuale e creativo era stato lasciato alla popolazione dei Wrum, di cui Zron era ben felice di fare parte.

Loro potevano volare e avere un’idea generale delle condizioni del pianeta. Erano milioni e milioni d’anni che ne studiavano le più remote caratteristiche, così come sapevano benissimo come interpretare le luci che splendevano di notte. Ovviamente non possedevano tecnologie di sorta. La ragione era ovvia: non ne avevano bisogno. Tutto ciò che desideravano loro e i loro compagni di avventura, più o meno evoluti, era a portata di mano. Qualsiasi desiderio sensato e qualsiasi opera migliorativa pensabile si basavano sull’utilità generale. Ne seguiva che l’applicazione non poteva portare a conflitti o a diverbi e il loro cervello, sfruttato al 99% delle proprie potenzialità, trovava la soluzione immediata e la rendeva automaticamente concreta.  Sì, era proprio un mondo magnifico quello in cui viveva.

Venne purtroppo il giorno, quel giorno, che cambiò completamente la loro esistenza. Nel cielo notturno, e poi anche in quello diurno, apparve una luce imprevista e inaspettata. Pochi istanti di riflessione, di confronti, di valutazioni e Zron e i suoi compagni seppero di cosa si trattava. E seppero anche che non avrebbe lasciato spazio e tempo per qualsiasi azione difensiva. L’energia che portava con sé era immensa. Solo il loro pianeta sarebbe sopravvissuto, ma loro e tutte le forme di vita, quasi sicuramente no. Restava una sola soluzione: andarsene prima della catastrofe.

Ci fu una delle rare riunioni che i Wrum effettuavano nei momenti più critici della loro lunghissima esistenza, mettendo in comunicazione simultanea tutti i loro cervelli. La strategia operativa venne accettata all’unanimità. Misero in atto una delle loro “tecnologie” mentali che potevano dominare le leggi dell’Universo: l’ibernazione delle oscillazioni elettroniche e il congelamento di ogni attività quantica. Il vuoto tornò vuoto e i loro corpi si trasformarono in bolle senza dimensioni in cui massa ed energia erano indistinguibili e immaginarie. Era come se fossero tornati nella fase immediatamente successiva alla nascita del Cosmo. Erano liberi di viaggiare nel tempo e nello spazio, dato che non esistevano ancora. Zron e i suoi compagni si sistemarono su una delle poche  traiettorie possibili per le particelle allo stato primitivo. Viaggiarono nel vuoto quantico, attraverso la materia, secondo una geodetica che sapevano controllare e gestire sapientemente. Era come se nascessero e sparissero continuamente lungo una specie di tunnel stabile e continuo. Era un viaggio di durata nulla, o -meglio- indeterminata, che li avrebbe portati in giro per l’Universo pur senza alcun vero movimento.

Impostarono il loro interruttore mentale capace di bloccare la stasi quantica in cui erano immersi e ripristinare le condizioni psico-fisiche originarie quando fossero giunti nei pressi di un pianeta in grado di accoglierli. Ci voleva molto fortuna, dato che l’Universo materiale era essenzialmente composto di atomi e molecole vaganti. Le stelle e i pianeti occupavano soltanto una percentuale irrisoria del volume totale. Chissà quanto tempo ci sarebbe voluto… anche se per loro il tempo non aveva più significato e si sarebbe ripristinato solo al momento del “risveglio”.

Molto dipendeva anche dalla geometria dell’Universo, uno dei pochi misteri che il popolo Wrum non aveva ancora risolto. Se fosse stato come qualcuno aveva pensato… chissà… Questo fu l’ultimo pensiero cosciente di Zron mentre guardava il suo pianeta e quell’oggetto che gli stava piombando addosso. In un attimo stabilì massa, velocità ed energia e non ebbe più dubbi: tutta la vita si sarebbe estinta, tranne -forse- qualche forma estremamente primitiva. Peccato! Guardò con un po’ di commozione quell’immenso continente circondato dalle acque in cui il suo popolo si era evoluto per milioni e milioni di anni. Poi staccò i contatti nervosi e il vuoto ebbe il sopravvento.

Il primo contatto

Jun Tse Luon si era appisolato e il gigantesco Giove, ormai vicinissimo, lo fece sobbalzare sulla poltrona. Non era mai stato nel sistema satellitare del gigante gassoso e capì perché chi aveva affrontato quel viaggio ne parlava sempre con un’enfasi che a lui pareva perfino esagerata. Ora, però, comprendeva e un senso di timore e meraviglia lo pervase. Sia accorse che le sue mani tremavano.  Riprese il controllo e si preparò a rientrare nel ruolo della persona più importante dell’intero sistema planetario. Guardò dall’oblo posteriore e controllò ancora una volta (non ve ne era certo bisogno) la navicella che portava uno degli esemplari alieni che avevano invaso letteralmente la Terra e gli altri pianeti e satelliti teoricamente abitabili. Solo tre giorni prima una vita diversa era arrivata dallo Spazio. Si stava per stabilire il primo contatto. L’Evento Uno si era finalmente verificato. Questa volta Jun tremò, ma non per la visione di Giove. Poi lo vennero a chiamare e il protocollo ebbe il sopravvento.

Zron, o -più probabilmente- uno qualsiasi della sua razza, aveva accettato di buon grado quella inutile messinscena predisposta dalla popolazione intelligente di quel sistema planetario. Gli scappò una specie di sorriso quando lo rinchiusero in quella comoda e spaziosa navicella, che per gli abitanti del luogo doveva considerarsi una prigione dorata. Per chi sapeva tornare al vuoto quantico e sfruttare a piacere l’effetto tunnel, parlare di prigione era un pensiero ridicolo. Per aiutare il primo contatto decise (anzi il suo popolo decise all’unanimità) di assecondare gli alieni in modo da non creare alcun problema al momento dei primi approcci diretti.

Zron trascorse il tempo necessario a raggiungere quella luna lontana dal pianeta in cui si era riattivato, riflettendo. Era pieno di gioia, ma anche di un po’ di meraviglia. Malgrado l’aspetto esteriore del pianeta principale fosse completamente diverso dal loro mondo originario -vegetazione completamente differente, molte grandi isole circondate dall’oceano, temperatura nettamente superiore, vita biologica del tutto aliena- non potette non accorgersi di alcune somiglianze a dir poco impressionanti. Anche se fisicamente diversi, gli esseri pensanti avevano un cervello rozzamente impostato come il loro. Sicuramente non era ancora in grado di autocontrollarsi, ossia di attivare immediatamente qualsiasi pensiero l’avesse attraversato. Capì che quel popolo sapeva molto dell’Universo e delle sue leggi, ma il sapere non implicava assolutamente il passaggio all’attuazione diretta. Conoscevano le particelle elementari e le oscillazioni quantiche, ma non erano ancora in grado di controllarle a piacere.

E poi c’erano loro… quegli animaletti inoffensivi e giocosi che lo colpirono profondamente! Per ovvi motivi provò subito a contattarli, ma senza alcun risultato, dato che una veloce ispezione delle loro onde mentali trovò solo un silenzio impressionante, simile a quello che nel loro lontanissimo mondo si verificava miliardi di anni prima. Un caso, un fortuito caso dell’evoluzione. La sua prigione dorata si mosse e Zron sentì che stava per essere presentato alla folla intervenuta su Europa e la sua immagine trasmessa immediatamente a tutto il sistema planetario. Che sistema trogloditico… però era già qualcosa. In ogni modo, una gioia incontenibile permeava il cervello di Zron e si trasmetteva immediatamente a tutti i suoi simili: l’evento uno si era finalmente verificato. Avevano incontrato un’altra forma di vita e addirittura intelligente.

Quando, a un comando di Jun, si sollevò lo schermo protettivo della camera speciale in cui era stato introdotto l’esemplare alieno un unico, lunghissimo “Ooooh” di meraviglia si sollevò in ogni luogo dello spazio interplanetario abitato dall’uomo. Tutto si erano aspettati, ma non quello! Le sottili ali trasparenti sbattevano a un ritmo frenetico, il corpo azzurro si dimenava torcendosi e distendendosi, i grandi occhi sembravano guardare tutto e tutti. Jun non riuscì nemmeno a iniziare il suo discorso di presentazione che l’urlo di meraviglia si era ormai trasformato in una lamento di delusione. “Tutto lì?”. Era soltanto un mostro genetico, creatosi probabilmente su Marte o su Titano. No, non era un alieno e non poteva certo considerarsi l’Evento Uno.

Non furono certo le parole di Jun, preparate attentamente, a modificare nuovamente lo stato d’animo dei terrestri e dei coloni. Nel cervello di ognuno di loro apparvero (sì, la parola più giusta è proprio “apparvero”) le parole di Zron e di tutto il suo popolo. Onde quantiche che si sovrapposero a quelle cerebrali e crearono interferenze oscillanti che si componevano in vere e proprie visioni. Gli esseri umani compresero e ammutolirono: il primo contatto si era instaurato e quegli esseri dall’apparenza solo un po’ strana erano proprio gli alieni tanto attesi. Lo stesso Jun interruppe il proprio discorso che ormai sembrava un gioco infantile. Le due razze stavano prendendo coscienza reciproca.

I Wrum controllavano e decidevano che cosa proporre ai terrestri; questi invece inondavano gli alieni di sensazioni, ricordi ed emozioni scollegate tra loro. Un vero caos di pensieri che solo i filtri-tunnel degli alieni riuscivano a inquadrare e a tradurre in qualcosa di logico e razionale. In un modo o nell’altro stavano parlando, anche se un’esatta definizione sarebbe stata ben più complicata.

Alla sera, mentre Giove spariva dietro l’orizzonte ghiacciato, Jun fu di nuovo solo nella sua stanza d’albergo. Quante cose erano successe quel giorno. Un giorno fantastico, troppo bello per essere vero. Gli alieni erano arrivati ed erano -ovviamente- pacifici. L’aspetto esteriore era tutt’altro che spaventoso, anzi. Talmente “normale” che aveva imposto un attimo di delusione. Un momento solo, però. Dopo era iniziato il colloquio diretto, tradotto e sintetizzato da quelle menti fantastiche.

Sicuramente avrebbero aiutato il cervello umano a staccarsi da quel due per cento che sembrava l’unica parte utilizzata. Gli alieni avevano fatto i complimenti alla razza umana. Con quel misero due per cento erano riusciti a giungere a una spiegazione quasi corretta dell’intero Universo. Non avevano ancora capito che ciò che pensavano poteva subito essere reso attivo, ma per quello ci sarebbero voluti ancora milioni di anni, com’era successo a loro.

L’indomani gli alieni avrebbero visitato la Terra e analizzato tutte le sue creature viventi e non viventi. Poi ne avrebbero fatto una sintesi e alla sera avrebbero parlato agli umani per dare una loro interpretazione e per definire il livello a cui erano arrivati nell’evoluzione della struttura quantica cerebrale. Il due per cento era utilizzato consciamente, ma probabilmente una percentuale maggiore era già in moto anche se in modo completamente inconscio. Avrebbero anche raccontato il loro viaggio e la loro storia antecedente il periodo senza tempo e senza spazio.

Jun si sarebbe invece incontrato con tutti i responsabili del Sistema Solare e tutti insieme avrebbero deciso cosa offrire agli alieni. Ma sapeva già la risposta: “E’ con sommo piacere che vi offriamo il nostro mondo. Potete porre fine al vostro peregrinare nel Cosmo. Avete di nuovo una casa. Benvenuti tra noi”. Tutti ne sarebbero stati contenti e d’altra parte lo spazio per gli alieni era enorme. Essi volavano per ogni dove e non avevano bisogno di respirare in continuazione. Vuoto interplanetario, atmosfera rarefatta o densa come l’olio non erano un problema per chi poteva gestire a piacere la propria consistenza fisica.  Per il loro mantenimento era necessario veramente ben poco. Una nuova era di amicizia fraterna stava per cominciare. Chissà quanti passi in avanti si sarebbero fatti. Peccato che Buthra non fosse lì con loro.

Il giorno del dubbio

L’indomani la gente della Terra si svegliò sotto un cielo più azzurro del solito. Il volo degli alieni metteva allegria e la gioia sembrava diventata tattile e reciproca. Gli era stato dato il via libera ufficiale e ne avevano subito approfittato.

Alla sera, cominciarono i colloqui e le spiegazioni. Le tecniche di ibernazione quantica erano ancora troppo complicate per i terrestri e gli alieni si limitarono a pochi concetti elementari. Ci sarebbe stato tempo davanti a loro. Preferirono raccontare ciò che li aveva costretti a partire dal loro lontano mondo che stava per essere sterilizzato di quasi ogni forma di vita, intelligente e no. Da quel poco che riuscirono a spiegare ai terrestri, questi capirono che la conoscenza dei Wrum era immensa. Loro erano solo all’inizio di una verità straordinaria e -forse- ancora più semplice di quanto la scienza terrestre potesse immaginare. La formula di Buthra era stata solo la prima lettera di un alfabeto che sembrava senza fine.

Rimaneva ancora un problema da risolvere per gli alieni e non ebbero alcuna remora ad ammetterlo ai nuovi amici dello Spazio: non erano ancora riusciti a stabilire il futuro dell’Universo. Tutto sembrava portare a un Universo piatto, la stesse conclusione a cui erano giunti i terrestri, ma si rendevano conto che nessuna quantità può essere veramente uguale a un numero intero perfetto.

L’Universo piatto, a geometria euclidea, comporta proprio che la quantità che misura il rapporto tra la densità reale del Cosmo e il valore critico sia proprio uno, seguito da infiniti zero. Basterebbe un piccolo decimale perché l’espansione diventi irrefrenabile o -alternativamente-  che prima o poi l’Universo si chiuda su se stesso.

La situazione era molto simile alle tre figure classiche della geometria più antica dell’uomo: parabola, iperbole ed ellisse. Se l’eccentricità fosse proprio uno, la figura sarebbe una parabola e seguendola  non si tornerebbe mai indietro nello spazio: si tenderebbe verso l’infinito . Ma nessun corpo può in realtà avere una traiettoria con un eccentricità in cui dietro a quel valore uno non ci sia prima o poi un decimale diverso da zero. Basta questo piccolo numero apparentemente insignificante per far diventare l’eccentricità maggiore di uno e muoversi su una iperbole che porterebbe all’infinito senza mai rallentare, anzi. Se invece l’eccentricità fosse minore di uno, si cadrebbe nell’ellisse, quella dei pianeti. Si tornerebbe sempre indietro. Per lungo che sia il viaggio si tornerebbe al punto di partenza. L’ultimo caso è proprio simile all’universo chiuso o -se si preferisce- a un Universo che prima o poi finirebbe di espandersi e ripiomberebbe verso il Big Bang.

In fondo le tre traiettorie prima descritte non sono altro che le geodetiche, ossia le linee di minima distanza che collegano tra loro punti dell’Universo. Un universo aperto avrebbe portato a iperboli, uno piatto a parabole. Uno chiuso a ellissi… Mentre queste riflessioni si incrociavano tra i cervelli alieni e terrestri, cadde improvviso il silenzio.

Girotondo

L’ultimo problema che ancora assillava gli alieni fu risolto contemporaneamente da entrambe le razze intelligenti, malgrado le separassero una distanza immensa, una differenza di capacità razionale spaventosa e un tempo evolutivo straordinario. Ora tutto tornava e su tutti cadde immediatamente una coltre di delusione. Durò soltanto un attimo, poi la voglia di spiegare ebbe il sopravvento.

Si seppe esattamente quanto gli alieni avevano viaggiato nel tempo misurato col metro terrestre: quasi esattamente 250 milioni di anni. Essi lasciarono il loro pianeta quando sulla Terra stava concludendosi il periodo permiano.

Il nostro mondo vedeva già molti pesci che erano usciti dall’acqua ed era dominato dagli insetti. Tutti i continenti erano uniti e formavano Pangea. Poi arrivò l’asteroide, implacabile e terribile. Aveva distrutto quasi il 90% delle specie viventi. Solo in pochi e i più primitivi si erano salvati. A meno che non fossero scappati prima dell’impatto… E così era accaduto. Zron e i suoi compagni avevano lasciato il loro pianeta prima che entrasse in agonia, alla ricerca di un mondo nuovo che li accogliesse. Ma l’Universo era chiuso e la loro traiettoria spazio-temporale era un’ellisse che  li aveva riportati al punto di partenza, sul loro pianeta, sulla Terra.

Sfortuna o fortuna, caso o volontà inconscia. Nessuno lo saprà mai. Si decise coralmente che l’Evento Uno rimanesse comunque per sempre e per tutti l’Evento Uno, anche se gli alieni non erano veramente alieni e anche se Zron aveva solo fatto un lungo giro per tornare alla vecchia casa.

La momentanea delusione si trasformò subito in gioia e le due razze intelligenti ricominciarono ad aspettare -insieme- l’Evento Due. Ci sarebbe mai stato? Forse poco importava sia ai terrestri che agli ex-alieni. Avevano entrambi imparato molto, molto di più di quello che si potessero aspettare.

Zron ne era più che convinto, come tutti, e volle celebrare la gioia del ritorno alla vecchia casa con un volo liberatorio e pieno di piroette.

Libellula

Un bimbo, nelle piccola città di Speranza, vide alzarsi dal suolo una meravigliosa e gigantesca libellula azzurra che sembrava emettere un suono quasi musicale: “Zron, zron, zron, …”. Batté le mani e la salutò. Era sicuro che sarebbe stata una sua carissima amica, per sempre.

 

Tutti i racconti di Vin-Census sono disponibili, insieme a quelli di Mauritius, nella rubrica ad essi dedicata

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