14/03/23

L’OCEANO NASCOSTO (*)

Questo articolo è inserito nella sezione d'archivio "Oceani sotterranei nel Sistema Solare"

 

L'analisi delle forme assunte dalla superficie terrestre è di importanza fondamentale per la geologia e rappresenta spesso il primo passo da compiere per formulare ipotesi sui meccanismi che le hanno generate. Il medesimo approccio può rivelarsi molto utile nell'indagare i corpi celesti solidi del sistema solare e ipotizzare modelli del loro interno. E le sorprese talvolta non mancano...

Una frettolosa riflessione potrebbe indurre a considerare la geologia una disciplina di approccio relativamente semplice: l’oggetto di studio è a facile portata (proprio sotto i piedi), non esige destrezza con erte calcolazioni (dominio di fisici, matematici e ingegneri), tratta di cose materiali (sassi, minerali, fiumi, sedimenti, montagne etc.), rifugge da evanescenti concetti (spazi a multiple dimensioni, particelle immateriali, stiramenti e contrazioni temporali) e non abbisogna di sofisticati macchinari dai nomi inquietanti.

Finalmente una scienza a misura d’uomo, si dirà! Un bel paio di robusti scarponi, un capiente zaino, un accattivante martelletto in acciaio dolce, un’intrigante bussola, lente a dieci ingrandimenti, carta topografica, taccuino di campagna, penna e matite colorate a volontà. Un armamentario che affascinerebbe un alunno di scuola elementare.

E forse il geologo trattiene ancora in sé qualcosa di quel bambino e con sotterraneo piacere si balocca soppesando una pietra e aprendola in due con un colpo secco di martelletto, raspa attorno ad una roccia affondata nel terreno e l’immagina quale una estrema propaggine di un immenso corpo litico che sprofondi per chilometri nella crosta terrestre. Si raffigura, più sotto ancora, magmi ribollenti e gigantesche colonne di fusi ascendenti e su tutto, diligente alla bacchetta di un invisibile direttore d’orchestra, l’immane lavorio della tettonica che faglia, fonde, ingurgita, trasforma e risputa.

E il tempo. Tempo che non è quello degli orologi, dei cellulari, delle torri campanarie, dei calendari e della umana storia bensì quello profondo, scandito dall’universo, dalle costellazioni, dai dischi protoplanetari che divengono sistemi di pianeti, delle galassie che s’incontrano e sfilano via con il loro strascico stellare.

Pur senza cedere questo spirito incline alla fantasia, la geologia da tempo s’intrufola nelle stanze dei fisici e dei matematici e ghermisce qualcuno dei loro esclusivi ingredienti per provare ad usarli come architravi a meglio sorreggere nuove ipotesi, non sempre dedicate alla Terra.

Fra i temi più interessanti della geologia extraterrestre vi sono i corpi minori che rappresentano una meravigliosa occasione per indagare, per esempio, i fenomeni geologici in contesti meno costretti da una gravità schiacciante come quella terrestre, dove la reologia (la scienza che studia la deformazione dei corpi sottoposti a forze esterne) propone inedite soluzioni.

I corpi celesti rocciosi considerati “minori” sono ottimi candidati su cui, purtroppo, solo di recente sono venute a disposizione osservazioni  dettagliate grazie alle sonde automatiche. La lacuna dovrebbe gradualmente colmarsi ora che si inizia a intuire l’importanza di queste comparse come testimoni dell’evoluzione del sistema solare e della planetologia in generale.

Indagare la geologia di questi corpi non è impresa semplice a causa della mancanza di campioni raccolti sul posto e di verifiche dirette; una delle modalità principali si basa sull’analisi delle immagini fotografiche che permettono di analizzare le morfologie superficiali e da queste tentare di comprendere gli scenari geologici che possono aver dato luogo ad esse.

E’ compito tutt’altro che semplice, considerato che di norma sulla Terra si ha a disposizione una messe di dati molto vasta e variegata a corredo di quanto la superficie mostra agli occhi del geologo, allo stesso tempo la sfida è molto stimolante perché nelle indagini spesso ci si trova di fronte a forme insolite o a elementi con dimensioni ben al di fuori dell’ordinario terrestre (si pensi, ad esempio, alle strutture fotografate su Plutone, molto simili ai “penitentes” terrestri ma 150-200 volte più grandi).

Mimas, il più piccolo e interno dei satelliti regolari che formano la corte di Saturno, è caratterizzato dal bacino Herschel, un cratere da impatto con un diametro di circa 140 km e una profondità di circa 10 km, dimensioni enormi se comparato ai 400 km scarsi di diametro del satellite (fig. 1).

Fig. 1. Immagine ravvicinata del bacino Herschel su Mimas. Il picco centrale si eleva per circa 6 km dal fondo del cratere. Fonte: NASA/JPL/Space Science Institute.

Herschel è solo il più grande tra la miriade di crateri che crivellano la superficie ghiacciata del satellite e rappresentano di gran lunga la forma più diffusa su di essa, altre strutture geologiche quali fratture e faglie sono sporadiche mentre nessuna struttura riferibile al vulcanismo è presente.

Il semplice confronto con le forme presenti sulla superficie di altri satelliti ghiacciati, come Encelado o Europa (fig. 2), evidenzia immediatamente che qualcosa su Mimas non torna: un gran numero di crateri significa che il satellite non ha la possibilità di cancellare le cicatrici degli impatti che di conseguenza continuano ad assommarsi finendo per ricoprire quasi del tutto la superficie.

Questa caratteristica risveglia immediatamente l’attenzione dell’occhio geologico perchè sottende un’informazione di rilievo: il corpo celeste in questione è privo di attività tettonica, cioè sono assenti fenomeni che possano indurre deformazione, rottura e rimodellazione della crosta superficiale.

Nel caso di Mimas questa evidenza è contraria a quanto ci si aspetterebbe per un corpo avente un’orbita fortemente eccentrica (e = 0.0197) e molto vicina ad un pianeta massivo quale è Saturno poiché le forze mareali dovrebbero promuovere deformazioni rilevanti e sviluppare di conseguenza un flusso termico significativo (per attrito), a sua volta quest’ultimo, sollecitando gli strati più interni e rigidi, dovrebbe innescare una dinamica crostale.

Fig. 2. Confronto tra le superfici di Encelado, Europa, Io (sopra, da sinistra) e Mimas (sotto). Quest’ultimo, benchè sottoposto ad intense perturbazioni mareali come gli altri tre satelliti, non mostra evidenze di strutture geologiche indicative di un rinnovamento in atto della superficie, conservando le testimonianze dei numerosi impatti avvenuti fin da tempi remoti che invece sono sporadiche sugli altri tre satelliti. Le immagini sono a soli fini illustrativi delle morfologie superficiali e pertanto riprodotte a scala diversa l’una dall’altra. Fonte: NASA/JPL-Caltech/SETI Institute; NASA/JPL/Space Science Institute; NASA/JPL/University of Arizona.

L’assenza di un flusso termico importante ha indirizzato i primi modelli dell’interno di Mimas in direzione di un ammasso di roccia e ghiaccio sostanzialmente omogeneo cioè non differenziato in strati. La visita della sonda Cassini ha successivamente permesso di misurare i moti di librazione del satellite e i risultati hanno definitivamente escluso la possibilità dell’iniziale modello omogeneo in favore di un Mimas con un interno differenziato, eventualmente dotato di un nucleo roccioso di forma elissoidica oppure con un guscio superficiale di ghiaccio ed un sottostante oceano globale di acqua (fig. 3).

Fig. 3. Nel riquadro a destra i due modelli dell’interno di Mimas ritenuti maggiormente probabili sulla base delle misurazioni dei moti di librazione effettuate dalla sonda Cassini. Modello A: nucleo roccioso circondato da un oceano globale di acqua di profondità massima 40 km circa a sua volta racchiuso in un guscio ghiacciato di spessore compreso tra 24 e 31 km circa. Modello B: nucleo roccioso elissoidico racchiuso in un guscio ghiacciato spesso 71 km circa. Fonte: Denton, Rhoden, 20221.

Quest’ultima ipotesi, che in sintesi riconduce il satellite alla tipologia delle lune con un oceano sottostante alla superficie ghiacciata (Europa, Encelado) solleva però l’interrogativo circa l’assenza di manifestazioni superficiali dovute ad importanti sollecitazioni mareali. Se Mimas ha un oceano globale nascosto, perché è “geologicamente” inattivo da lunghissimo tempo, considerato che i suoi simili mostrano invece eclatanti fratture, flessure, faglie e dislocazioni del manto ghiacciato?

Una possibile risposta è fornita dallo studio della traccia geologica impressa sulla superficie del satellite da una delle vicende verosimilmente più traumatiche subite da Mimas: lo spettacolare bacino Herschel.

Lo studio (Denton C.A.; Rhoden A.R. 2022)1 ha simulato l’impatto generatore del cratere assumendo un modello bidimensionale di riferimento in cui è stato variato di volta in volta lo spessore della coltre ghiacciata sovraimposta ad un oceano su una sezione verticale di spessore costante. L'angolo di incidenza dell'impatto è stato fissato in 90°, il diametro dell’impattore in 4.8 km e la sua velocità in 15 km/s. La simulazione numerica è stata condotta usando il codice iSALE-2D (versione bidimensionale del codice utilizzato per la simulazione dell'impatto generatore del famigerato cratere Chicxulub. Alcune animazioni visibili QUI).

La prima simulazione ha verificato che l’esistenza o meno di un oceano profondo 1 km sotto una coltre ghiacciata di 70 km non ha alcun effetto sulla forma del cratere generato dall’impatto. Successivamente sono stati presi in esame modelli in cui lo spessore della coltre (la potenza, direbbe un geologo) è stata via via aumentata con passo di 5 km a partire da un minimo di 25 km e fino ad un massimo di 70 km.

Diametro medio, profondità media e presenza del picco centrale sono le caratteristiche principali del cratere generato dalla simulazione che sono state confrontate con le corrispondenti dimensioni di Herschel per individuare quale modello fosse il più verosimile.

I risultati hanno indicato che uno spessore di circa 55 km della coltre ghiacciata è sufficiente ad evitarne la rottura e a impedire che il sottostante oceano defluisca in superficie (fig. 4), come invece avviene in varia misura nel caso di coltri più sottili.

Fig. 4. Il risultato della simulazione numerica: in a) una coltre ghiacciata (in colore bianco) spessa 25-30 km viene rotta nell’impatto permettendo al sottostante oceano (in azzurro) di rifluire in superficie; in b) e in c) la coltre è abbastanza spessa perché la rottura non avvenga. In questi due ultimi casi il profilo della superficie non cambia in modo apprezzabile e tanto il picco centrale che il bordo del cratere hanno le stesse altezze. Fonte: Denton, Rhoden, 20221.

Poiché, secondo la simulazione, una coltre spessa 25-30 km all’epoca dell’impatto avrebbe permesso la fuoriuscita del sottostante oceano, determinando una morfologia di Herschel ben diversa da quella oggi presente, gli autori ne hanno dedotto che lo spessore attuale della crosta ghiacciata ipotizzato sulla base dei moti di librazione registrati da Cassini, da 24 a 31 km, doveva essere ben superiore al momento dell’impatto, presumibilmente di qualche decina di km.

I risultati hanno inoltre evidenziato che temperature del ghiaccio troppo basse avrebbero ridotto in modo considerevole la tendenza dei materiali a deformarsi in modo plastico dopo l’urto (va ricordato che la forma assunta dal cratere nei primissimi istanti successivi all’impatto non è la stessa assunta tempo dopo poiché i materiali subiscono un “rimbalzo elastico” alla ricerca di una morfologia d’equilibrio che viene raggiunta dopo una importante fase oscillatoria. Per una migliore esemplificazione vedere sempre le animazioni nell'articolo dedicato al cratere Chicxulub sopra citato).

Quest’ultima indicazione implica che probabilmente al momento dell’impatto Mimas già aveva un oceano interno che contribuiva ad aumentare il flusso termico dovuto agli effetti mareali e determinava perciò una temperatura meno bassa del ghiaccio soprastante (la stima indica in circa 80 K il valore che permette di ottenere una notevole concordanza tra le caratteristiche morfologiche di Herschel e del profilo risultante dalla simulazione).

Mimas avrebbe quindi visto il proprio guscio di ghiaccio assottigliarsi nel tempo, forse da uno spessore di circa 55 km fino agli attuali 30 km stimati sulla base dei dati forniti da Cassini. In altre parole l’oceano nascosto sta lentamente sciogliendo la coltre gelata “dal basso” ma questo processo ancora non è progredito a sufficienza per indurre fratture nello strato più esterno, che infatti non mostra evidenze “geologiche” di tale fenomeno.

E’ interessante notare come in questo caso la ricostruzione del possibile modello dell’interno di Mimas sia basata sul raffronto tra “forme”: la morfologia attuale del bacino Herschel e la morfologia risultante da una simulazione numerica. Il modello fisico finale proposto è quello che, fissata una serie di condizioni specifiche, determina la migliore convergenza tra le caratteristiche morfometriche (bidimensionali, cioè misurate su una sezione) del cratere reale e del cratere prodotto dalla simulazione.

Va sottolineato che il modello finale così ottenuto non esclude altre possibilità, altrettanto valide laddove vengano fissate condizioni differenti, l’assunzione di queste ultime riveste quindi un valore non trascurabile e diviene stringente la possibilità di avere a disposizione dati sperimentali che aiutino ad orientare la scelta.

Il modello suggerito, se avvalorato da ulteriori risultati, farebbe di Mimas il primo rappresentante di una eventuale nuova categoria di satelliti di medie dimensioni dotati di un oceano gelosamente “nascosto” sotto una coltre di ghiaccio “addormentata”, priva di strutture geologiche che lascino sospettare l’esistenza di un sottostante ambiente liquido potenzialmente adatto alla vita.

 

1 - https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1029/2022GL100516

2 commenti

  1. Alberto Salvagno

    È stato calcolato quando l'impatto che ha formato Herschel è avvenuto? Cioè in quanto tempo lo spessore del ghiaccio si è assottigliato da una sessantina di km agli attuali 30 (praticamente dimezzato)?

    Ma più di tutto: l'acqua sciogliendosi diminuisce di volume, quindi sotto la coltre di ghiaccio, perfettamente immobile come dici tu, dovrebbe essersi formata una depressione, magari piena di vapore acqueo. Sono completamente fuori strada?

  2. Guido

    Il bacino Herschel si stima non più vecchio di 1 milardo di anni ma permane notevole incertezza sull'età e potrebbe essere anche sensibilmente più giovane, secondo la letteratura in merito.

    Come dici giustamente il discioglimento del ghiaccio "dall'interno", cioè al contatto con l'oceano sottostante, determina una riduzione di volume. Però le condizioni di pressione e temperatura al contatto oceano-crosta dovrebbero escludere la presenza di vapor d'acqua. La riduzione di volume dovrebbe avvenire su scala globale, quindi Mimas dovrebbe tendere a "restringersi", sottoponendo la crosta ghiacciata a sforzi compressivi, ma di fratture da compressione per ora non si vede traccia in superficie (il che non significa che non vi siano in profondità).

     

     

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