18/05/21

ASTEROIDI METALLICI: fantasia o realtà? **

Questo articolo è inserito in "I miei amici Asteroidi"

 

Questo articolo è stato scritto dal nostro Guido e Enzo ha aggiunto una breve appendice nella quale si parla di un corpo celeste (Psyche) che potrebbe dare la conferma decisiva alle ipotesi così stimolanti dei geologi.

 

Il fenomeno noto come “vulcanismo” è all’apparenza semplice, numerosi film abbastanza recenti ne hanno fatto un protagonista d’eccezione, prodigo di terrificanti manifestazioni, riprodotte più o meno accuratamente da effetti speciali. Curiosando però un po’ meglio in questa eclatante dimostrazione di vitalità geologica si scopre un quadro decisamente articolato, ricco di dettagli interessanti e di sfaccettature insospettate.

Nella sua accezione più ampia il vulcanismo non si limita ai classici spettacoli di lava, gas, vapore, lapilli e polveri emessi con varie modalità da una falla della crosta terrestre, falla che permette al magma racchiuso in profondità di fuoriuscire e venire in contatto diretto con l’atmosfera o con l’acqua. Un vulcano è una struttura molto complessa, di cui la manifestazione superficiale rappresenta solo un elemento. Elemento giustamente tenuto sotto costante osservazione, considerato il suo potenziale distruttivo, largamente documentato nel corso della storia umana. Al pari dei sismi (che in alcuni casi possono essere intimamente legati all’attività vulcanica, al punto da costituire dei prodromi, o “precursori”, delle eruzioni e quindi utili per capire lo “stato d’animo” del vulcano) il fenomeno eruttivo costituisce uno dei pochi segnali che testimoniano sulla scala dei tempi umana il funzionamento di un “motore” interno, cioè di un dinamismo profondo tramite il quale la crosta viene continuamente rinnovata.

L’iconografia comune dello spettacolare edificio conico incoronato da fontane incandescenti e nuvole di polveri o i flussi lavici che tracimano da spaccature che paiono bocche infernali già lasciano capire che i fenomeni eruttivi possono svilupparsi secondo modalità anche molto differenti. Principalmente ciò è dovuto a fattori di natura chimica e fisica, in particolare la composizione del magma originario (p. es. la sua acidità) e la sua densità influenzano la fenomenologia di superficie, determinando diverse condizioni di fluidità della lava e di maggiore o minore frazione gassosa intrappolata nel fluido, per limitarsi ai fattori più evidenti.

Come d’uso l’uomo ha stilato una elaborata classificazione delle varie forme di vulcanismo e dei fenomeni connessi, basata su una pletora di osservazioni rilevate fin dall’antichità. Più di recente, con lo svilupparsi delle conoscenze sugli altri corpi celesti appartenenti al sistema solare, il quadro è andato ampliandosi: fenomeni eruttivi sono stati documentati su Venere, su Marte (in questo caso si tratta in realtà solo di vulcani ormai spenti) e su Io.

In altri casi è stato documentato il cosiddetto “vulcanismo freddo” o “criovulcanismo”. In generale esso consta dell’emissione di sostanze (ammoniaca, acqua, metano) allo stato gassoso o liquido sotto forma di getti fuoriuscenti da fenditure nella crosta ghiacciata di alcuni corpi celesti (Titano, Encelado). La presenza diffusa di strutture superficiali morfologicamente simili a coni vulcanici in molti altri corpi celesti minori (ricordiamo Cerere, Tritone, Europa, Plutone e Caronte, ma la lista si allungherà in futuro) lascia ipotizzare che questa manifestazione non sia rara. Il fenomeno è associato terminologicamente al vulcanismo per via della similitudine visiva (getti di materiale che fuoriescono dalla superficie e edifici solidi di forma conica) ma se ne differenzia per il fatto che non vi è fuoriuscita di magma, cioè di un “fuso silicatico complesso” per usare il termine geologico preciso.

La composizione del magma fornisce molte informazioni preziose sulle caratteristiche dei materiali presenti in profondità, a loro volta basilari per realizzare modelli di ciò che se ne sta nascosto al di sotto della superficie. In generale l’analisi di una lava (il magma fuoriuscito) è quindi un punto di partenza indispensabile per indagare la composizione di un corpo celeste solido.

I costituenti principali dei corpi celesti solidi sono roccia, ghiaccio (d’acqua, di anidride carbonica, metano, idrocarburi, etc.) e composti metallici. Così come è documentata la presenza di lave silicatiche consolidate sulla superficie lunare e marziana altrettanto non può dirsi di lave a composizione metallica o mista metallo-silicatica, che rimangono un oggetto ancora non supportato da osservazioni incontrovertibili, tanto sulla Terra che altrove.

La ricerca nel sistema solare delle evidenze di questo sfuggente tipo di vulcanismo, o ferrovulcanismo, deve necessariamente partire da osservazioni dirette della superficie che possano rivelare l’esistenza di tipiche morfologie. Si tratta, perciò, di un metodo basato sul confronto con analoghi elementi terrestri. Nel caso del ferrovulcanismo, però, la faccenda si complica perché sulla Terra i ferrovulcani, come accennato, ancora non sono stati accertati, e quindi viene a mancare il termine di confronto.

Uno dei pochi casi terrestri che può aspirare a diventare il primo ferrovulcano (estinto, è incerta una residua attività fumarolica) è El Laco, nella regione di Antofagasta, Cile settentrionale. E’ un complesso di vari edifici vulcanici (poco più di 5000 m di elevazione per il più alto, Pico Laco) di età stimata tra 2 e 5 milioni di anni ed ospita 4 flussi lavici ricchissimi in ossidi di ferro (principalmente magnetite - Fe3O4) con spessori che raggiungono i 90 m su un’estensione di circa 4 km2 (fig.1).

Fig. 1. Il sito di El Laco. Sulla destra il cono del Pico Laco. Sopra la strada al centro, sono visibili due dei flussi lavici a magnetite, di colore nerastro. Fonte Daniel P. Gauer

Il sito è oggetto di approfonditi studi, iniziati negli anni ’50 e finalizzati a scopi minerari (ancora oggi è produttiva una importante miniera di ferro) ma l’interesse più squisitamente geologico è alto, come in almeno un paio di altri siti, in Australia e in Iran, anch’essi candidati ferrovulcani. La fig. 2 mostra una delle recenti ricostruzioni tridimensionali della struttura vulcanica (Velasco F., Tornos F., Hanchar J. Ore Geology Reviews, 2016)1 ed evidenzia i flussi lavici a magnetite ed i loro rapporti stratigrafici con i flussi silicatici (andesite).

Fig. 2. Modello tridimensionale sezionato del vulcano Pico Laco. In colore nero i flussi lavici a magnetite, fuoriusciti alla base del corpo silicatico ad andesite, in grigio ed etichettato “II”. L’area riprodotta misura circa 2 km x 1,5 km (Velasco F. et al. 2016, modificato).

In attesa che su El Laco sia sollevato l’ultimo velo che ne permetta il definitivo riconoscimento di ferrovulcano o meno, un altro gruppo di ricerca ha aggiunto un tassello di rilievo sull’ipotetico fenomeno seguendo un approccio illustrato in una recente pubblicazione (Soldati A., Farrell J. A., Wysocki R., Karson J. A. Nature Communications, 2021)2.

Gli autori hanno cercato di simulare fisicamente l’effusione di flussi lavici silicatici ad alto contenuto metallico e ne hanno descritto in dettaglio sia le morfologie risultanti che alcuni parametri caratteristici, tra cui la velocità di scorrimento. Lo scopo è quello di avere a disposizione un modello fisico di riferimento per riconoscere eventuali forme analoghe sulla superficie dei corpi celesti, in modo da ricavare informazioni circa il loro contenuto in metalli.

L’esperimento è stato condotto usando una fornace utilizzata normalmente per produrre lave silicatiche di vario tipo di cui si intendono studiare le modalità di fluizione. Durante gli esperimenti il fuso lavico contenuto nel crogiolo viene in solo in parte sversato, perciò sul fondo rimane un residuo spontaneamente arricchito in fusi a composizione metallica, accumulatisi a causa del maggior peso specifico. In occasione del successivo sversamento completo vengono quindi prodotti flussi silicatici con una importante frazione metallica, ricreando pertanto condizioni strettamente analoghe a quelle ipotizzate per il ferrovulcanismo.

Differenze morfologiche

Il crogiolo è stato riempito con rocce basaltiche ad alto contenuto in ferro, ridotte in frammenti centimetrici, scaldate ad elevata temperatura (900-1250 °C) e mantenute in tali condizioni per ore in modo da ottenere una lava esente da componenti gassosi.

La fig. 3 evidenzia bene il comportamento della colata. In particolare appare evidente che la lava appena sversata si separa in due flussi di comportamento ben diverso: il flusso metallico fluisce sotto a quello silicatico, emerge dal fronte in avanzamento e si spande in tipiche ramificazioni intrecciate mentre il flusso silicatico conserva una morfologia più compatta e prevalentemente laminare.

Fig. 3. Diversa morfologia dei flussi: in a) il flusso metallico, in giallo, emerge dal fronte del flusso silicatico di colore arancio-nero. In b) a raffreddamento avvenuto, il flusso metallico si è consolidato in una morfologia ramificata e intrecciata mentre il flusso silicatico ha dato luogo ad una morfologia laminare, più coesa e con caratteristiche pieghe superficiali, assenti nel flusso metallico. (Soldati A. et al. 2021).

A consolidamento avvenuto i due flussi conservano colorazioni differenti: nero per il fuso silicatico e grigio argenteo per quello metallico. L’ultima fuoriuscita di flusso metallico assume forme non ramificate e più tipiche di materiali coesivi (fig. 4).

Fig. 4. Il flusso metallico fuoriuscito inizialmente presenta una morfologia a rami intrecciati (a), quello fuoriuscito per ultimo assume una morfologia tipica di un materiale coesivo (b). Si noti la notevole differenza cromatica tra il fronte silicatico, nero, e quello metallico, argentato. (Soldati A. et al. 2021).

Dinamica dei due flussi

Le misurazioni di velocità di scorrimento dei due flussi hanno evidenziato una differenza cruciale: il flusso metallico è circa 10 volte più veloce di quello silicatico. Con il procedere del fenomeno il fronte del flusso silicatico si arresta mentre il flusso metallico prorompe dal fronte e continua la sua corsa. Il flusso metallico continua a scorrere in sottili filamenti anche sui lati del flusso silicatico (fig. 5) e, essendo quasi 3 volte più denso, tende a sprofondare nel corpo di quest’ultimo. Il dato sulla viscosità è sorprendente: il flusso silicatico è 150 volte più viscoso di quello metallico.

Fig. 5. Dettaglio dei sottili filamenti metallici (colore chiaro) che seguono rugosità e solcature sulla superficie del flusso silicatico (in colore scuro): in a) a caldo e in b) dopo il raffreddamento. In c) caratteristica frammentazione del filamento metallico. (Soldati A. et al. 2021).

Problemi di scala

In esperimenti di questo genere si presenta un problema, noto come “fattore di scala”. Viene simulato al meglio un fenomeno che in natura assume dimensioni enormi rispetto a quanto è possibile riprodurre in un laboratorio e non è detto che il fattore dimensionale sia privo di influenze sul risultato (l’effetto è cruciale nella simulazione con modelli fisici dei regimi idraulici fluviali). In altre parole chi dice che sversare 450 kg di lava da un crogiolo riproduca esattamente una vera effusione vulcanica, che coinvolge masse laviche enormi (per citare una delle differenze più eclatanti)? E se il fattore di scala influisce, quanto influisce e con quali modalità? Spesso è proprio questo l’aspetto che consiglia al ricercatore massima cautela nel confidare dei risultati sperimentali e che rende indispensabile il confronto con l’evento naturale.

Gli autori naturalmente si sono posti il problema ed hanno cercato di rendere l’esperimento più naturale possibile (sono state fuse specifiche rocce campionate sul terreno, l’arricchimento in ferro della lava è avvenuto per differenziazione gravitativa, le temperature naturali sono state accuratamente riprodotte etc.). Per il fattore dimensionale è stato considerato il fatto che da un punto di vista dinamico i flussi nell’esperimento e quelli naturali possono essere considerati simili. In particolare si è considerato che gli specifici fattori fisici che influiscono sulla dinamica delle colate laviche (inerzia, viscosità, tensione superficiale etc.) determinano differenze sostanziali nelle morfologie dei flussi solo al di sotto di certe dimensioni. Per esempio la forma finale di una colata di massa assai piccola risente molto dei valori di tensione superficiale ma per masse superiori ad un certo limite il comportamento dinamico non viene influenzato dalla tensione superficiale, perciò, affinchè l’esperimento fornisca esiti affidabili, è sufficiente che esso venga condotto con una massa superiore a tale limite. Ciò è stato effettivamente fatto usando quasi mezza tonnellata di fuso, una simulazione con 10 kg di lava avrebbe dato luogo a morfologie fortemente dipendenti dalla viscosità e quindi inutili a confronti con i flussi naturali).

Come e dove cercare?

Avere un campionario morfologico di riferimento per le colate metalliche derivanti da ferrovulcani è fondamentale, non solo per cercare questi fantomatici protagonisti sulla Terra, dove peraltro si possono mettere in campo anche analisi dirette sul posto, ma soprattutto per individuarli altrove. La rilevazione a distanza tramite sonde orbitanti rimane strumento d’elezione, ma per distinguere i dettagli morfologici che l’esperimento ha mostrato occorre una risoluzione più elevata di quella degli attuali sensori orbitanti.

Naturalmente una ricerca indirizzata in modo casuale non avrebbe alcun senso, vanno perciò individuati i migliori candidati ad ospitare i ferrovulcani, ma dove si potrebbe iniziare a cercarli allora? Sempre che questo tipo di vulcanismo possa esistere davvero, naturalmente.

 

Il mistero di 16 Psyche

(di Enzo)

Tra tutti gli asteroidi della fascia principale ve ne sono soprattutto due che hanno sollevato un interesse molto particolare: 4 Vesta e 16 Psyche. Sono sicuramente due oggetti piuttosto grandi dato che il primo si aggira intono ai 500 km di diametro e il secondo intorno ai 250 (ma in questo caso il valore è veramente solo una media brutale, come vedremo tra poco). Tuttavia, in questo contesto, non sono certo detentori di particolari record: Vesta è il terzo per dimensioni superato largamente da Cerere con i suoi quasi 1000 km e di molto poco da Pallade, mentre Psyche è soltanto il tredicesimo. Dimensioni, comunque, notevoli, che, in qualche modo, influenzano le loro caratteristiche eccezionali più evidenti.

Quello che stupisce è la loro composizione superficiale. A tal punto che per Vesta è stata coniato un gruppo tassonomico speciale, V, e per Psyche il gruppo M, condiviso da pochi altri asteroidi. Attraverso gli anni, gli indici di colore (B-V e U-B) li avevano già messi in evidenza, ma le tecniche spettroscopiche hanno confermato appieno le prime ipotesi. Vesta ha una superficie composta da qualcosa di molto simile alla lava basaltica, il che implica un oggetto che abbia avuto un passato da ... "pianeta", ossia con una differenziazione: un nucleo di tipo ferroso e una crosta dovuta soprattutto alla fuoriuscita di materiale, in gran parte siliceo. Un qualcosa di molto simile a quanto è capitato alla Terra, a Marte e anche alla nostra Luna.

Un piccolo pianeta che ha visto, perciò, la presenza di vulcani di tipo terrestre. Ciò che stupiva era però il fatto che solo lui (pur non essendo il più massiccio) sembrava aver subito un processo di forte riscaldamento e di separazione dei materiali in base al peso (i più pesanti verso il centro e i più leggeri verso la superficie). Come mai Cerere e Pallade si mostravano invece oggetti primitivi, incapaci di essersi evoluti in tal senso? Sicuramente Cerere ha avuto e, forse, ha ancora, fenomeni di criovulcanismo, a causa di un interno probabilmente rimasto caldo per lungo tempo o, addirittura, un oceano sotterraneo (cosa che sta diventando la norma per molti corpi minori). Qualcosa di simile a Encelado, a Tritone e chissà a quanti altri corpi quasi-planetari. Ma ben lontano da mostrare segni di differenziazione così evoluta come quella di Vesta. Perché? La domanda è ancora senza una chiara risposta, anche se la sonda Dawn è andata a visitare sia Vesta che Cerere da molto vicino.

Una chiara e importante caratteristica superficiale di Vesta è un gigantesco cratere da impatto che ne caratterizza quasi tutto un emisfero. Un cratere estremamente utile per riuscire ad avere nelle nostre mani dei pezzetti della crosta basaltica di Vesta. No, non grazie alla missione spaziale, ma grazie a un meccanismo fisico e dinamico di grande efficienza e spettacolarità. I frammenti, scagliati più o meno lontano, a seguito dell'urto quasi catastrofico, hanno formato una "famiglia", ossia un insieme di piccoli asteroidi con i tre elementi orbitali a (semiasse), e (eccentricità) e i (inclinazione) rimasti estremamente simili tra loro.

Una famiglia che conserva, però, un carta d'identità estremamente chiara e leggibile: anch'essi hanno una composizione simile al corpo "genitore".  Molti di loro sono entrati nelle pericolose risonanze con Giove e hanno imboccato una strada molto incerta e rischiosa, tale da farli evolvere collisionalmente e dinamicamente in modo caotico fino a farli cadere sul Sole o, a volte, sui pianeti interni, ossia Mercurio, Venere, Marte e -perché no?- la Terra.

Pezzettini di Vesta che si sono frantumati attraverso collisioni con altri fratelli anche di origine diversa, che, alla fine, hanno raggiunto il nostro pianeta come meteoriti. Queste meteoriti sono state classificate come eucriti, diogeniti, ecc., ma quello che è importante è che hanno mostrato il luogo di partenza, risultando del tutto uguali alla composizione superficiale di Vesta, l'unico ad avere quel tipo di materiale. La natura stessa ci ha regalato frammenti di Vesta da poter studiare comodamente a casa, ben prima che si potesse pensare a una missione spaziale capace di sorvolare il grande asteroide che aveva così ben seguito l'evoluzione termica dei pianeti terrestri.

Cerere e Vesta, due mondi così uguali e così diversi, in cui i due tipi di vulcanismo più comuni (quello di tipo magmatico terrestre e il criovulcanismo) fanno mostra di sé. Ma cosa c'entra tutto ciò con il ferrovulcanismo?

Beh... il più piccolo Psyche, con il suo tipo tassonomico M, si mostra come un enorme blocco metallico, composto da ferro e nichel, rimasto pressoché "nudo", a seguito di eventi sicuramente epici di cui si conosce ancora assai poco.

E allora, qualcuno potrebbe dirmi: "Abbiamo nelle nostre mani anche dei pezzetti di Psyche? Basterebbe cercare tra le meteoriti e trovarne qualcuna simile alla composizione superficiale del genitore". In realtà è stato fatto e alcune meteoriti molto simili sono state trovate, le mesosideriti, composte da una matrice che contiene in parti quasi uguali una lega di ferro e nichel e composti silicei, simili alle eucriti e diogeniti.  Insomma, anche Psyche sarebbe stato un piccolo pianeta che ha subito una differenziazione, ma che, al contrario di Vesta, ha messo a nudo le sue parti più interne, ossia un nucleo in qualche modo simile (a parte le dimensioni) a quello del nostro pianeta.

Anche Psyche, allora, avrebbe dovuto subire un impatto quasi catastrofico in grado di staccargli e frantumare la crosta superficiale? Sarebbe la migliore risposta, ma... dov'è la famiglia di Psyche, ossia dove sono i frammenti di tale urto con elementi orbitali quasi identici a quelli del nucleo principale? No, non esiste o, al limite, dovrebbe essere composta da frammenti talmente piccoli da non essere ancora stati osservati. Cosa ben difficile.

Non solo però... Per riuscire a distruggere e scaraventare nello spazio mantello e crosta dell'antico Psyche sarebbe stato necessario un proiettile più grande di lui e la statistica ci pone seri ostacoli. Ma Psyche ha un altra caratteristica non unica, ma decisamente imbarazzante: non ha una forma assimilabile a una sfera, ma a un ellissoide e, in particolare, potrebbe essere classificato come ellissoide a tre assi di Jacobi. Già alla fine degli anni '70-inizio anni '80, lo avevamo inserito nella lista dei cosiddetti "pile of rubble" che avrebbero avuto la possibilità, a causa del grande momento angolare ed essendo assimilabili a un liquido (minutissimi frammenti tenuti assieme dalla forza di gravità), di assumere una peculiare forma di equilibrio. Il suo periodo di rotazione è solo poco più lungo di quello previsto da un ellissoide di quel tipo (circa quattro ore invece di circa tre), ma, come sappiamo, la rotazione può essere benissimo  stata leggermente modificata da urti di minore importanza.

Però, però, continua a mancare la famiglia, ossia il tratto fondamentale che lega un antico oggetto semi distrutto alle meteoriti terrestri. Le ipotesi alternative non mancano, così come è molto incerta l'evoluzione termica del progenitore. Un corpo più grande che ha perso il vestito esterno a causa di urti ripetuti? Un oggetto talmente antico da non mostrare più i frammenti originatesi nel tremendo urto, spariti letteralmente a seguito della loro lunga vita collisionale? Un corpo già differenziato prima dell'urto o capace di riscaldarsi nuovamente dopo l'assemblaggio dei frammenti? Purtroppo si cade nelle ipotesi più o meno plausibili, ma senza possibilità di vere conferme. Da Terra si è fatto molto, ma non si può fare di più.

Tuttavia, Psyche, pur mantenendo un grande mistero sulla sua origine ed evoluzione, è sicuramente composto principalmente da metalli quali il ferro e il nichel e non pochi hanno già stimato il pazzesco valore finanziario di una massa metallica così grande. Probabilmente, qualche magnate desideroso di "conquistare" lo spazio interplanetario ci sta già pensando, ma, fortunatamente, Psyche non si può trasportare vicino alla Terra e andare avanti e indietro con i piccole quantità del suo materiale prezioso sarebbe antieconomico.

Fortunatamente, la NASA ha pianificato una missione su Psyche che dovrebbe partire nel 2022 e arrivare nel 2026 (vedi QUI per maggiori informazioni). Una opportunità unica, un corpo che non è fatto né di ghiaccio né di roccia, ma di ferro e nichel. Un corpo che avrebbe potuto, in tempi passati, dar luogo a fenomeni vulcanici proprio di tipo ferroso. Eh sì, sarebbe un boccone veramente ghiotto per i geologi che troverebbero un esempio naturale magnifico, confrontabile con ciò che si riesce a creare in laboratorio solo su piccola scala o che sulla Terra potrebbe, probabilmente, solo assomigliargli lontanamente. Aspettiamoci di vedere veramente le colate di lava metallica risplendenti nel loro colore argentato... magari  proprio nelle prime immagini che giungeranno  da un mondo che pur essendo piccolo ci insegnerebbe moltissimo.

P.S.: Per adesso se ne parla poco, per vari motivi, ma siamo pronti a scommettere che quando certi giornalisti parleranno della missione si faranno scappare previsioni molto intriganti, del tipo: "E se Psyche, composta com'é di metallo, fosse un'astronave aliena?". Pensando ai terrapiattisti non ci stupiremmo... 

 

1 https://doi.org/10.1016/j.oregeorev.2016.06.007

2 https://www.nature.com/articles/s41467-021-21582-w

 

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