15/04/17

Guardiamo nei buchi (non proprio neri) tra le stelle **

Questo articolo è stato inserito nella sezione d'archivio dedicata alla materia "invisibile" e in "Radiazioni di fondo: quante sono?"

 

Le stelle di una galassia come la nostra possono anche dare molto fastidio quando si vuole vedere più lontano o in mezzo a loro. Sappiamo bene che hanno il “brutto” vizio di emettere luce, e non solo, in modo imperioso, ed eliminarla non è cosa da poco. Se poi, si tiene conto che tutte le osservazioni vengono fatte dal Sistema Solare interno, pieno zeppo di polvere interplanetaria (sarebbe ora di dare una bella spazzata e New Horizons, unendo l'utile al dilettevole, lo sta facendo...) o addirittura dalla superficie terrestre che è circondata da un vestito alquanto fastidioso (l’atmosfera), si capisce che poter leggere se e cosa esiste tra stella e stella è un’impresa veramente difficile.

Eppure, vi è molto da imparare… sia localmente che molto più lontano. Per semplificare la questione, possiamo dire che ci sono due modi di agire, a seconda di ciò che si vuole ottenere: costruire uno strumento che riesca a “eliminare” tutta la luce parassita e guardare solo quella più debole, di una certa frequenza, oppure andare il più lontano possibile dalla Terra, verso lo spazio relativamente vuoto, e filtrare tutto ciò che si può. Nel primo caso stiamo parlando di localizzare il gas praticamente invisibile che esiste tra stella e stella della Via Lattea; nel secondo di cogliere solo la luce che proviene dalle galassie lontane e si diffonde in tutto il cielo, una specie di radiazione di fondo ottica

Seguiamo le due ricerche separatamente…

La prima possiede un qualcosa di veramente pionieristico che forse avrebbe meritato maggiori riconoscimenti.  Alla fine degli anni ‘70 del secolo scorso, un giovane ricercatore (Richard Reynolds) ideò un nuovo tipo di spettrometro (cos'è la spettroscopia è spiegato QUI) che ebbe il piacere di puntare nei buchi tra stella e stella, alla ricerca di un qualcosa che pensava dovesse esistere, ma che non si riusciva a vedere.

Dovunque egli guardasse scorgeva un alone rossastro e lo stupore aumentava sempre più. In poche parole, era riuscito a rendere visibile l’idrogeno ionizzato che permeava l’intera galassia. Ci sono voluti molti anni per capire appieno l’importanza del risultato e, finalmente, all’inizio del nuovo millennio venne costruito il Wisconsin H-Alpha Mapper (WHAM) spettrometro che iniziò una regolare analisi del cielo, prima inserito a Kitt Peak e poi a Cerro Tololo, in Cile.

Si è così ottenuta una mappa straordinaria dell’idrogeno ionizzato che inviluppa la Via Lattea e che ruota con essa. Una specie di atmosfera galattica, legata ovviamente alla vita e alla morte delle stelle, che non si localizza solo vicino a loro, ma si distribuisce come un velo uniforme o quasi, maggiormente concentrato del disco ma ben presente anche a grandi distanze dal suo piano. Le dimensioni sono di circa 75 000 x 6 000 anni luce. Per ricordare l’ideatore, ritiratosi nel 2005, questa tenue struttura è stata chiamata “Reynolds Layer”.

Per ionizzare l’idrogeno, ossia fare scappare l’elettrone, è necessaria una certa energia e questa non può che provenire dalle stelle. Ma, anche se potenti nelle loro azioni, hanno dei limiti entro cui agire. Capire esattamente come si sia formata una struttura così continua non è facile e, per adesso, si pensa che sia causata dall’esplosione energetica di stelle molto massicce che si propaga anche molto lontano dal punto originario. In altre parole, questo tenue lenzuolo rossastro indica che le stelle possono agire a distanze ben maggiori di quanto si era mai pensato. Il vuoto galattico è sempre meno vuoto e non vi è solo il classico mezzo interstellare con la sua polvere scura o luminosa, ma un ingrediente discreto e invisibile che contribuisce in modo essenziale alla evoluzione di una galassia, dalla sua infanzia frenetica fino alla sua vecchiaia piena di acciacchi.

Inoltre, lo “strato” di Reynolds si localizza anche ben lontano dal disco e apre la porta a qualche nuovo meccanismo energetico non ancora compreso.

WHAM continua a essere migliorato e adesso sta lavorando anche sulle Nubi di Magellano, per vedere se questa caratteristica inaspettata è una nostra peculiarità o è una caratteristica normale per le galassie e/o per una certa loro fase evolutiva.

Qui sotto la splendida mappa creata da WHAM: la nostra galassia in negativo? Qualcosa del genere…

La mappa dell’idrogeno ionizzato della nostra galassia, lo strato di Reynolds, il pioniere scopritore di questa caratteristica peculiare della Via Lattea. Fonte: WHAM Collaboration, University of Wisconsin-Madison, Space Science Institute, & National Science Foundation
La mappa dell’idrogeno ionizzato della nostra galassia, lo strato di Reynolds, il pioniere scopritore di questa caratteristica peculiare della Via Lattea. Fonte: WHAM Collaboration, University of Wisconsin-Madison, Space Science Institute, & National Science Foundation

Chi vuole conoscere meglio (tecnicamente) lo spettrometro usato, può leggere QUI.

Ben diversa è la seconda ricerca, in cui tutto ciò che sta tra stella e stella della Via Lattea è solo un disturbo e va eliminato. Lo scopo è quello di creare una mappa della radiazione ottica di fondo (COB, Cosmic Optical Background). Una radiazione nella lunghezza d’onda del visibile dovuta allo sfondo delle galassie distribuite un po’ ovunque nell’Universo locale (quello osservabile). Per semplificare il problema si è usato uno strumento inserito nella sonda New Horizons che, ormai, sta viaggiando ben al di fuori della zona più “sporca” del Sistema Solare. Tuttavia, basta leggere l’articolo originario per capire quanti filtraggi sono stati eseguiti e con quale accuratezza, mantenendo passo dopo passo l’informazione sull’errore.

Le ragioni di questa ricerca sono molteplici e le riporto pari pari: la luce che proviene dal fondo ottico dà informazioni importantissime sul numero totale di stelle, sulla loro localizzazione e su come lavorano le galassie che le contengono. Inoltre, è fondamentale per capire la natura peculiare di processi fisici “esotici”, come quelli che prevedono che la luce possa provenire dal decadimento della materia oscura. Eh sì, cari amici, lei è sempre lì… Non solo non si sa cosa sia, ma, addirittura, si stanno già studiando i processi fisici che potrebbero scaturire dal suo decadimento (di che cosa?).

Bene… ancora una volta, l’articolo originario non sarà molto citato, dato che conclude in modo molto stringato e nitido che “What we're seeing is that the optical background is completely consistent with the light from galaxies and we don't see a need for a lot of extra brightness. (Ciò che stiamo vedendo è che il rumore di fondo ottico è del tutto consistente con la luce emessa dalle galassie e non abbiamo bisogno di una luminosità addizionale)”. Così dicono gli autori e a noi basta e avanza…

 

3 commenti

  1. Mario Fiori

    Appunto , caro Enzo, volevo proprio chiederti, ma hai già risposto, "ma questa è altra materia normale che si nasconde, ma c'è, ed allora perchè si cita sempre questa "materia oscura", signori (?) cari (?) è oscura perchè si nasconde e va' scovata con appositi strumenti, si nasconde perchè vuole giuocare cfon noi, chiamiamola "materia normale nascosta" o "materia normale da scoprire" e divertiamoci pure con le sigle (in italiano) : la MNN o la MNS, ma sempre N è. Ma cosa decade ragazzi, l'inesistente ossia una materia fatta di particelle tutte da inventare, come decade? Ma chi decade? Forse la mente di alcuni.

  2. certo Mario, hai ragione... far decadere qualcosa che non si conosce nemmeno cosa sia è un colpo di genio!!! Ma... se....se...se...e ancora se.... allora.... :(

  3. Fiorentino Bevilacqua

    ...il primo articolo, inoltre, quello sull'alone (strato) di Reynolds, introduce nella determinazione della massa complessiva della Galassia (ma, credo, quindi, anche di altre galassie: perché non dovrebbero avere anche esse gas ionizzato tra le stelle?) altra materia, che, se ho capito bene, finora non entrava nel novero della massa della Galassia perché se ne ignorava l'esistenza. Anche questo potrebbe contribuire a rendere meno misteriosa, meno spiegabile, la "piattezza" della curva di rotazione della Via Lattea e, quindi, a rendere meno necessaria l'ipotesi della materia oscura ... che però "brillerebbe" quando decade...

    Credo anch'io che Reynolds abbia fatto qualcosa di eccezionale, che meriterebbe, magari assieme a chi scoprirà, grazie a VHAM, la stessa emissione nelle Nubi di Magellano, un riconoscimento importante, magari di provenienza nord europea ... Se non altro per premiare chi si pone domande inusuali, chi cerca dove nessuno ha mai pensato di trovare qualcosa...aprendo, così, nuovi filoni di ricerca e campi sconfinati nemmeno mai immaginati fino a quel momento  (mi pare di aver letto che Einstein si chiedeva cosa poteva accadere ad un uomo che si aggrappasse ad un raggio di luce...)

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