02/08/22

L’INIZIO DELLA FINE: L’EVENTO DI HOPEWELL*

Il presente articolo è inserito in Pianeta Terra e in Archeoastronomia

 

L'influenza dei mutamenti ambientali sulla storia umana è un fattore non secondario con cui varie culture si sono dovute confrontare. Le indagini archeologiche moderne, condotte con metodi sempre più raffinati, permettono di evidenziare dati preclusi agli studiosi di un secolo fa e di avanzare nuove ipotesi sull'improvvisa decadenza di civiltà fiorenti. E talvolta i mutamenti ambientali sembra siano stati tanto inattesi quanto rapidi e distruttivi. Veri e propri "fulmini a ciel sereno". L'antica civiltà nordamericana "Hopewell" fu cancellata dalla caduta di un corpo celeste?

 

Geologia ed archeologia sono parenti.

Non propriamente parenti stretti, ma in ogni caso parenti e il punto di contatto è duplice: strumenti d’indagine e contesto di indagine.

La comunanza del secondo punto di contatto, il contesto d’indagine, è motivata dal fatto che l’archeologia si rivolge alla ricerca di testimonianze materiali del passato, e queste sono molto spesso sepolte nel sottosuolo, per la precisione nei primi metri di terreno sottostanti alla superficie e sovrapposti al substrato roccioso, cioè in quel livello di sedimento sciolto che la geologia definisce “suolo”.

Ogni suolo è prodotto dalla disgregazione della roccia sottostante, quindi, a meno che non venga coinvolto in un fenomeno franoso che lo dislochi facendolo scivolare altrove per infine depositarsi su di un altro suolo o su un affioramento roccioso differente, è “figlio” del substrato su cui poggia. Il suolo viene poi colonizzato dal popolo vegetale, nel tempo questi lo rielabora, coadiuvato da molte specie animali e dai fenomeni atmosferici, a loro volta legati al clima ed alle condizioni fisiografiche locali.

Se si escludono le poche porzioni di terra emersa in cui le rocce affiorano e sono a diretto contatto con l’aria, è il suolo la struttura naturale che occupa lo spazio dell’interfaccia tra atmosfera e roccia: esso per primo subisce le conseguenze della vivacità climatica e biologica e, da qualche tempo ormai, anche dell’inguaribile frenesia umana.

In generale i suoli passano inosservati: ogni uomo li calpesta per tutta la vita ma ben di rado lo fa consapevolmente e sapendo che cosa sta calcando (ad eccezione degli agricoltori, dei cercatori di funghi e di qualche altra categoria), che quanto sta sotto i suoi piedi è il risultato assai complesso di una lunga evoluzione, il prodotto di un intreccio di eventi e di fattori spalmato su lunghi lassi temporali.

Per la disciplina che invece fa dei suoli oggetto elettivo di studio, la pedologia, essi sono oggetti degni della massima attenzione, differenziati per struttura, genesi, evoluzione e composizione. L’insieme delle numerose caratteristiche di un suolo ne definiscono l’appartenenza ad una delle categorie classificative della pedologia.

Nel 1975 l’USDA (United States Department of Agricolture) ha pubblicato un sistema di classificazione basato su una suddivisione gerarchica dei suoli, che prevede 6 livelli, in ordine di crescente specificità descrittiva: ordini, sottordini, grandi gruppi, sottogruppi, famiglie, serie.

Il livello tassonomico meno specifico (assimilabile per analogia al phylum della tassonomia zoologica) è perciò l’ordine (l’USDA ne definisce 12), che accomuna suoli in larga massima simili, mentre quello più specifico (assimilabile per analogia alla specie della tassonomia biologica) è la serie (ben 19000 secondo l’USDA), che invece accomuna suoli estremamente simili tra loro, spesso spazialmente vicini.

L’insieme delle caratteristiche individuali rilevate in un suolo ne definisce perciò l’appartenenza ad una delle serie, il notevole numero di queste ultime rende l’idea di quale possa essere la complessità di questo elemento, così spesso ignorato a dispetto del suo strettissimo rapporto con l’uomo.

Per fare qualche esempio (limitandosi per semplicità al livello tassonomico dell’ordine) esistono suoli appartenenti all’ordine degli Aridisol (o Aridisuoli), tipici delle regioni aride, spesso con elevati contenuti in sali; suoli appartenenti all’ordine dei Gelisol (o Gelisuoli), tipici delle regioni fredde come la tundra artica e contraddistinti dalla presenza del permafrost; suoli appartenenti all’ordine degli Inceptisol (Inceptisuoli), tipicamente poco evoluti, non più vecchi del tardo Pleistocene (alcuni suoli urbani ricadono in questo ordine), ma la varietà è davvero sorprendente.

Il principale elemento costitutivo del suolo è l’orizzonte pedologico, cioè uno strato definito ed identificabile di suolo, facilmente distinguibile dagli altri strati sottostanti o soprastanti. Poiché l’acqua interagisce sempre con un suolo infiltrandosi in esso, seppure con intensità anche molto diversa da caso a caso, i vari orizzonti pedologici recano i segni della maggiore o minore azione dell’acqua, che veicola minerali e sostanze organiche, formando accumuli o impoverimenti locali a varie profondità (fig. 1).

In quanto indicatore di determinate condizioni climatiche o ambientali, un suolo può fornire all’occhio indagatore dell’archeologo importanti informazioni in grado di confermare o meno le iniziali ipotesi di lavoro e indirizzare così lo sviluppo dell’indagine a tutto campo.

Fig. 1. Un profilo pedologico con diversi orizzonti (scala metrica in cm): da 0 a circa 30 cm si distingue l’orizzonte interessato dall’aratura, ricco di sostanza organica che conferisce una colorazione più scura rispetto all’orizzonte sottostante; da 30 cm a circa 55 cm si distingue l’orizzonte non interessato dall’aratura, soprastante ad un orizzonte chiaro; da 55 cm a circa 80 cm si distingue un orizzonte di colore più chiaro, indice di un impoverimento dovuto all’infiltrazione di acqua che trascina verso il basso i materiali; da 80 cm a circa 105 cm si riconosce molto bene un orizzonte ricco di mineralizzazioni di Fe e Mn (noduli scuri e resistenti); da 105 cm a fondo scavo si distingue l’ultimo orizzonte, argilloso, sovrapposto al substrato parzialmente litoide appena visibile a fondo scavo. Fonte: Regione Piemonte/ipla.

L’archeologo moderno a questo punto s’affida, oltre alle proprie sensibilità, conoscenza ed esperienza, ad alcune tecniche investigative tipiche della geologia e della geofisica: trivellate, sismica, georadar e magnetometria per individuare le aree in cui il suolo custodisce reperti o strutture di origine antropica, datazioni radiometriche e analisi al microscopio per esaminare i reperti una volta che questi sono stati portati alla luce dagli scavi.

Il grande vantaggio che l’analisi pedologica offre all’archeologo sta perciò nella capacità che i suoli hanno di registrare gli eventi ambientali e riproporli in sequenza temporale dagli orizzonti più profondi a quelli più superficiali, talvolta in continuità temporale; considerata l’importanza che le condizioni dell’ambiente e le loro fluttuazioni hanno spesso avuto nel regolare le fasi di ascesa e declino delle antiche civiltà (cosa vera anche per la nostra, ma spesso non lo rammentiamo), la lettura del suolo può aggiungere un’importante testimonianza di tipo oggettivo, utile a corroborare le ipotesi formulate per spiegare quei rivolgimenti  in cui vi sia il sospetto che un agente non antropico abbia influito sulla storia dei popoli del passato.

Un paragone, approssimativo ma efficace, può esser fatto con il famoso livelletto all’iridio rinvenuto da Walter Alvarez al confine K-T (Cretaceo-Terziario), fondamentale indizio di uno sconvolgimento ambientale che ebbe un ruolo importante (e forse determinante) nell’avviare un’estinzione di massa: in quel caso l’antichissima traccia è registrata nelle rocce e l’evento ebbe portata planetaria, mentre nel caso della ben più recente storia umana gli eventi sono stati (finora) di portata locale o regionale, e le tracce si trovano registrate nei suoli.

Tra le sfortunate popolazioni che subirono un declino inspiegabilmente rapido figura la civiltà denominata “Hopewell”, sviluppatasi tra il 200 a.C. e il 400 d.C. nel settore centro-orientale del continente nordamericano irradiandosi da un nucleo originario insediato nella valle del fiume Ohio (fig. 2) e presumibilmente discendente dalla precedente “cultura di Adena”.

La cultura Hopewell è ritenuta un elemento importante nel generale quadro delle antiche società tribali dei nativi americani; produsse manufatti di vario genere (vasellame, attrezzi, ornamenti) che furono scambiati con i popoli confinanti tramite una vasta rete commerciale, cui si affiancò la diffusione di tecniche funerarie e costruttive di sepolture, in particolare di tumuli.

Fig. 2. Diffusione della cultura Hopewell: in giallo le aree Hopewell, in rosa le aree della cultura Adena, successivamente inglobate da Hopewell. I quadratini viola indicano i siti con i tumuli, i quadratini rossi indicano tumuli Adena. Estratto da “Adena/Hopewell Map,” Open Virtual Worlds.

Il tumulo funerario costituisce la principale struttura architettonica testimone di Hopewell, se ne conoscono numerosi (fig. 3), a pianta pseudocircolare e anche ottagonale (il più grande misura circa 150 m di lunghezza per 9 m di altezza), ciascun tumulo poteva contenere anche centinaia di salme.

Fig. 3. Mappa risalente al 1848 in cui sono riportate le strutture Hopewell, tra cui un tumulo ottagonale (angolo in alto a sinistra) ed altri circolari, sono evidenti anche altre strutture di collegamento. Fonte "Ancient Monuments of the Mississippi Valley Comprising the Results of Extensive Original Surveys and Explorations" E. G. Squier e E. H. Davis. Smithsonian Institution, Washington D. C.).

Si trattava quindi di una civiltà di rilievo, sia per diffusione geografica che per livello culturale e per influenza sul panorama tribale coevo. Nonostante ciò Hopewell incappò in un subitaneo arresto della propria diffusione, a partire dal 400 d. C. circa la produzione di manufatti artigianali diminuì sia in numero che in livello qualitativo, la medesima sorte toccò ai grandi tumuli ed in generale l’intera rete commerciale e di scambi culturali si atrofizzò, indicando l’ingresso di Hopewell in un periodo di profonda crisi da cui non si riprese più.

Svariate leggende nordamericane, tramandate alle attuali etnie discendenti del popolo Hopewell parlano di un cataclisma proveniente dal cielo. L’etnia Myaamia riferisce di un serpente cornuto che serpeggiò nel cielo facendo piovere sulla Terra detriti infuocati prima di immergersi nelle acque dell’Ohio (qualcuno ricorda la Bisciabova?), altre (etnia Shawnee e Haudenosaunee) di una misteriosa “pantera celeste” che rase al suolo intere foreste, altre (etnia Ottawa) di una improvvisa “caduta del Sole” sulla Terra sotto forma di migliaia di scintille ardenti, altre ancora (etnie Huron e Wyandot) di una grande nube rotolante nel cielo, distrutta da un dardo ardente.

La traccia ancestrale descritta dalla tradizione orale dei nativi nordamericani pare riferirsi al medesimo fenomeno: un evento proveniente dal cielo, inatteso, molto rapido, di terribile intensità distruttiva. Le modalità dell’evento hanno da tempo suggerito l’ipotesi che possa essersi trattato di onde d’urto generate dall’esplosione nella bassa atmosfera di un frammento cometario, fenomeno noto come “airburst”, potenzialmente in grado di incenerire vaste aree vegetate e distruggere edifici e strutture presenti in superficie (secondo alcune ricostruzioni il ben noto evento che nel 1908 devastò l’area di Tunguska potrebbe essere stato un airburst).

Un articolo comparso su Nature nel febbraio 20221 riassume i risultati di analisi condotte in 11 siti archeologici della valle del fiume Ohio, ricchi di testimonianze risalenti alla cultura Hopewell, alla ricerca di possibili indizi a sostegno dell’ipotesi dell’airburst quale fenomeno scatenante del rapido declino di Hopewell, civiltà fiorente, geograficamente molto diffusa, ben radicata sul territorio ma fortemente dipendente dall’agricoltura. La grande estensione geografica delle aree coltivate rappresentava per Hopewell un vantaggio di fronte alle bizze meteorologiche locali, lasciando alla popolazione il tempo di compensare eventuali crisi agricole in un'area con gli abbondanti raccolti in altre zone. Tuttavia un rapidissimo evento apocalittico esteso su buona parte del settore centro-orientale del nordamerica avrebbe potuto portare a diffuse carestie che Hopewell non avrebbe avuto modo di fronteggiare efficacemente, imboccando così la via del declino.

Gli autori della ricerca si sono concentrati sull’analisi dei suoli negli insediamenti indigeni noti, sottoponendo ad analisi microscopica campioni prelevati negli orizzonti corrispondenti all’epoca Hopewell. In due degli 11 siti furono rinvenute altrettante meteoriti, rispettivamente nel 1819 e nel 1882.

Il primo indizio significativo è stato il ritrovamento di microsferule ricche in ferro e silicio (figg. 4 e 5), simili per diametro, morfologia e struttura fine alle microsferule trovate in corrispondenza del confine Cretaceo-Terziario, del confine Younger Dryas (Y-D, datato a circa 12850 anni fa e ritenuto indicatore di un importante impatto con un corpo celeste responsabile dell’improvvisa interruzione del graduale riscaldamento inziato dopo l’ultimo periodo glaciale) e nei sedimenti del sito di Tunguska.

Fig. 4. Il profilo pedologico del sito Hopewell denominato “Turner” nella Contea di Hamilton, Ohio. I pallini bianchi indicano i punti di prelievo dei campioni sottoposto ad analisi di dettaglio. L’orizzonte contenente i reperti Hopewell è contraddistinto dalla presenza di residui carboniosi (intorno a 0.75 m di profondità). Estratto da Tankersley, Meyers, Jordan et al.1

 

Fig. 5. Microfotografie al microscopio a scansione elettronica delle microsferule ricche in Fe e Si trovate nell’orizzonte Hopewell del profilo pedologico eseguito nel sito denominato “Turner”, Contea di Hamilton, Ohio. Le microsferule non sono state rinvenute negli orizzonti sopra e sotto all’orizzonte Hopewell. Da Tankersley, Meyers, Jordan et al.1

Il conteggio del numero di microsferule ha fornito una conferma significativa all’ipotesi dell’airburst, evidenziando un massimo nel suolo a profondità corrispondenti all’orizzonte Hopewell ed una sostanziale assenza negli orizzonti superiori e inferiori (fig. 6).

Fig. 6. Numero di microsferule ricche in Fe e Si trovate nei profili pedologici scavati negli 11 siti archeologici investigati. Si nota il massimo molto pronunciato in corrispondenza dell’orizzonte Hopewell (p. es. circa 130 microsferule conteggiate tra 0,5 m e 1 m nel sito A, denominato “Turner”) presente in tutti gli 11 siti. In alcuni di essi (sito A, sito D, sito K) il numero è molto più alto che in altri (sito G, sito I, sito E). Da Tankersley, Meyers, Jordan et al.1

Oltre alla ricerca delle microsferule è stata valutata la presenza di platino ed iridio nel suolo, entrambi elementi guida nella ricerca delle testimonianze di impatto con corpi celesti. I risultati (fig. 7) hanno fornito ulteriori conferme all’ipotesi dell’airburst: entrambi gli elementi hanno rivelato una anomalia positiva nella concentrazione in corrispondenza dell’orizzonte Hopewell, anomalia comune a 10 degli 11 siti, sebbene in modo variamente pronunciato. Nell’orizzonte Hopewell del sito “Turner” è stata misurata una concentrazione di iridio pari a 1,08 parti per miliardo (0,02 parti per miliardo è il valore medio della concentrazione di iridio nella crosta terrestre) e di 6,23 parti per miliardo per il platino (0,5 parti per miliardo è il valore medio della concentrazione del platino nella crosta terrestre).

Il dato del sito “Turner” rende l’idea del tenore dell’anomalia positiva di iridio e platino negli orizzonti Hopewell, ancora più significativa è l’analogia quantitativa con le concentrazioni di Pt e Ir riscontrate da Alvarez nel famoso livelletto di Gubbio al passaggio K-T (3,9 parti per miliardo per l’iridio e tra 4 e 8 parti per miliardo per il platino). Anche il citato passaggio Y-D presenta anomale abbondanze dei 2 elementi, comparabili con i dati dei suoli Hopewell.

Fig. 7. Distribuzione dell’abbondanza di platino e iridio in 4 degli 11 profili pedologici investigati. Si nota il picco molto pronunciato di entrambi gli elementi in corrispondenza dell’orizzonte Hopewell (poco più di 6 parti per miliardo di Pt e circa 1 parte per miliardo di Ir intorno a 0,65 m di profondità nel sito A, denominato “Turner”). Il picco è confermato per Pt in 10 degli 11 siti e per Ir in tutti i siti. Da Tankersley, Meyers, Jordan et al.1

Altri dati significativi arricchiscono il corpus indiziario, tra questi la diffusa presenza di resti vegetali carbonizzati e di manufatti con evidenti danni da combustione, superfici vetrificate e mineralizzazioni derivanti da litologie calcaree riscaldate a temperature superiori a 765 °C.

Tramite radiodatazione del carbonio ed analisi tipologiche dei manufatti (tecnica costruttiva, stile e forma di vasellame, riproduzioni figurative, utensili etc.) l'evento è stato anche inquadrato in un arco temporale compreso tra il 252 d. C. e il 383 d. C, grosso modo nel periodo tra la cattura dell'imperatore romano Valeriano da parte dei Persiani e la pace stipulata dall'imperatore Teodosio con i Goti.

La distribuzione areale di micrometeoriti, microsferule e anomalie positive di Ir e Pt ritrovate negli orizzonti Hopewell recanti segni di carbonizzazione ha fornito ulteriori dati. Come mostrano le figg. 8, 9 e 10 emergono tre evidenze significative:

  1. nel suolo del sito "Turner" si è registrata la coesistenza di microsferule aventi i maggiori diametri e dei massimi valori di concentrazione di Ir e Pt;
  2. le mappe a isolinee relative alle anomalie di Pt, di Ir e dei valori dei diametri delle microsferule indicano una distribuzione allungata in direzione NE-SO, con generale riduzione dei valori all'aumentare della distanza dal sito "Turner";
  3. l'anomalia positiva del Pt indica un secondo picco in un sito (Marietta) ubicato circa 200 km ad est del sito "Turner".
Fig. 8. Distribuzione geografica in scala di colori (in rosso i valori massimi) dei valori dell’anomalia positiva del Pt. L’anomalia è massima in corrispondenza del sito “Turner”. Si noti una seconda anomalia positiva, meno evidente, in corrispondenza del sito “Marietta”. Da Tankersley, Meyers, Jordan et al.1

 

Fig. 9. Distribuzione geografica in scala di colori (in magenta i valori massimi) dei valori dell’anomalia positiva dell’Ir. L’anomalia è massima in corrispondenza del sito “Turner”. Da Tankersley, Meyers, Jordan et al.1

 

Fig. 10. Distribuzione geografica in scala di colori (in rosso i valori massimi) dei valori del diametro delle microsferule. Le microsferule più grandi sono state rinvenute in corrispondenza del sito “Turner”. Da Tankersley, Meyers, Jordan et al.1

Le peculiarità di cui sopra suggeriscono la possibilità che l'epicentro dell'airburst sia stato il sito "Turner" ma che il fenomeno sia stato probabilmente multiplo e che la traiettoria dei frammenti sia stata da NE verso SO. L'epicentro dell'airburst interessò circa 500 km2 di superficie ma la distruzione interessò circa 14900 km2, pressochè la medesima estensione dell'intera regione Calabria.

L'evento lasciò una cicatrice profonda non solo nei suoli del sito "Turner" e degli altri siti Hopewell ma anche nella memoria collettiva dei sopravvissuti, come dimostra la diffusa tradizione orale dei loro discendenti cui si è già accennato; ma non basta, numerose opere d'arte Hopewell testimoniano il disastro in modo eclatante: frammenti di meteorite sono inclusi nei manufatti sepolti con i resti umani e presso il punto epicentrale gli antichi testimoni oculari riprodussero al suolo la sagoma lunga 500 m di una grande cometa (fig. 11), purtroppo obliterata dai successivi interventi antropici.

Fig. 11. La sagoma della grande cometa presso il sito Hopewell “Milford”. Fonte "Ancient Monuments of the Mississippi Valley Comprising the Results of Extensive Original Surveys and Explorations" E. G. Squier e E. H. Davis. 1848. Smithsonian Institution, Washington D. C.).

1 – https://www.nature.com/articles/s41598-022-05758-y

1 commento

  1. Alberto Salvagno

    Molto interessante, anche perché - confesso la mia ignoranza - della bisciabova ho sentito parlare diverse volte, della pedologia avevo qualche vaga nozione, ma della civiltà Hopewell vuoto assoluto.

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