12/04/21

MAZZINI

Questo è il terzo dei "Tesori di Guido" raccolti nella sezione d'archivio ad essi dedicata

 

MAZZINI

(di Guido Ghezzi)

 

I monumenti che vegliano piazze, incroci e luoghi di svolte storiche sono muti operai di memorie.

Sta ai vivi dar loro voce.

 

       I

Stamattina ho inutilmente cercato la schiena di Mazzini.
Al termine della lunga discesa verso il centro cittadino, proprio all’uscita del parco di Villetta di Negro si erge, bianca ed austera, una colonna dorica in marmo di Carrara. Sopra la colonna il mio occhio è abituato a vedere un Mazzini, volto verso la torre del vecchio osservatorio dell’Acquasola. Rivolge lo sguardo verso la città, pensoso, le braccia conserte e nella mano sinistra, appoggiata al petto, un plico di fogli che si indovinano dai contenuti sofferti e di lungo rovello.
Ma stamane sopra il capitello dorico lui non c’era.
Non ho visto la sua schiena magra, non ho visto quel dorso scarno, quasi privato da ogni energia in favore della fronte volitiva e del volto fiero, fisso al domani.
Dov’era dunque? Un’ignobile mano lo aveva forse trafugato? Oppure il giornaliero vilipendio che s’infligge alle nostre opere d’arte aveva colpito anche lui, vittima di un dissesto, di un cedimento ignorato, di un crollo improvviso? O invece era stato portato nella bottega di qualche marmista per un sollecito restauro?
Solo quando ho aggirato la colonna dal capitello deserto ho capito.
Mazzini era lì, seduto ai piedi della colonna, in posa composta ma lontana da quella consueta ed energica cui era abituato da tanti anni. In cima alla colonna aveva stoicamente sopportato gelo, temporali, afa, piombo, composti aromatici, rumore e persino piccioni, senza battere ciglio.
Ora invece se ne stava seduto lì sotto, sempre rivolto verso la torre dell’osservatorio e sempre stringendo in mano i suoi fogli ma con sguardo scorato, quasi spento. Persino il candore del marmo sembrava aver perso forza; l’avrei detto ingrigito, ombreggiato qui e là da inedite imperfezioni, privato della materica nobiltà dei secoli.
Dov’erano la sua facondia, il suo animo combattivo, il suo occhio mobile e penetrante, il suo pensiero ribollente? Perché aveva abbandonato il suo posto sul capitello da cui irradiava incrollabile fiducia nei giorni futuri per adagiarsi sui gradini della scalinata a fissare le aiuole?
Possibile che quest’Italia invecchiata, senza nerbo e fiducia e ormai tanto lontana da quella giovine, bella e fiera da lui immaginata avesse spento anche il suo fuoco?

 

       II

Nonostante l’ubicazione in austero contesto su un incrocio di affollata transumanza e la ragguardevole mole, l’improbabile trasformazione del monumento non pareva aver solleticato l’attenzione dei cittadini. Non uno sguardo sembrava aver colto l’assenza al sommo del capitello; forse le spalle marmoree curve sui gradini erano state distrattamente scambiate per la cerata di un senzacasa appena riavutosi dal sonno o forse la troppa frenesia mattutina, composta con il disinteresse per i luoghi scontati, avevano impedito di avvertire la novità.
Ma il volto immobile recava il disegno di un dubbio feroce: l’ammanco sulla colonna forse non era stato colto perché già di ammanco nel pensiero comune si trattava; perché di quel Mazzini lassù rappresentato restava solo memoria confusa; un vago turbinìo di date, prigionie, esili, di frasi scolastiche. Troppo poco per reggere il peso del marmo e dei secoli.
Del vigore di pensiero dell’uomo, della profondità del suo sentire, dell’incrollabile confidare del suo spirito politico c’era forse ancora qualche sperduto bruscolino tra gli accosti delle pietre; della sua Italia e dei suoi Italiani, pur a ben cercare, neppure l’ombra.
- Dunque fu solo uno sterile vagheggiare? Qui è l’approdo ultimo di una barca abbandonata dall’equipaggio? – l’interrogativo sembrava pencolare dalle labbra livide, ripetuto, poi un refolo breve lo sfaceva nel fresco mattinale.

 

       III

Marmo.
Questo marmo non può aver forma di dubbio, è mandato restare nei giorni che immiseriscono, non
cedere al torpore che diffonde.
Questo è tutto ciò che mi fu chiesto. Questo è tutto ciò che ancora posso.
E’ tempo ch’io torni al mio posto. Quel che sta scritto su queste mie carte rimane verità, la verità
dei tempi e non del solo presente; continuerò a difendere queste parole dall’oblio. Saranno la mia
casa, il mio rifugio, il mio orizzonte, il mio faro. E continuerò a proporle al silenzio di queste donne
e di questi uomini che scorrono qua sotto, ignari come detriti nelle mani della corrente. Rimarrò qui,
fermo. Terrò ancora nel pugno questi fogli aggrediti dagli acidi aeriformi e aspetterò.
Aspetterò che una fronte s’alzi tra quei detriti, arresti la corsa inerte e fissi l’occhio in questi miei.

2 commenti

  1. flavia lodigiani

    stupendo: mi ricorderò di arrestare la corsa inerte e incrociare gli occhi dei prossimi marmi  parlanti che incontrerò sul mio cammino, perché le loro verità non risultino più vane e disperse.

    grazie Guido

  2. Guido

    Grazie Flavia, anche da parte di Mazzini.

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